L’autunno caldo che è alle porte

Praticamente tutti i promotori delle lotte rivendicative, siano essi esponenti autorevoli di comitati, sindacalisti o capi di partiti e movimenti politici, stanno parlando di “autunno caldo” per definire i mesi che abbiamo davanti. La situazione che stiamo vivendo è effettivamente effervescente e questo autunno coincide con tutta una serie di appuntamenti post-quarantena che lo rendono “caldo”: dalla riapertura di scuole e università non si sa ancora in quali forme, alla questione del lavoro, dalle votazioni per il referendum sul taglio dei parlamentari e per le elezioni regionali al probabile riacutizzarsi del virus con tutte le manovre che ne conseguiranno. Praticamente tutti i settori delle masse popolari, a livelli diversi, sono in agitazione o in mobilitazione: partendo dagli operai e lavoratori dei grandi gruppi come FCA, Whirlpool, ArcelorMittal, ecc., ai lavoratori della sanità pubblica e privata, a quelli del comparto scuola e università (insegnanti, ATA, personale esternalizzato) e agli studenti, ai lavoratori autonomi e partire IVA, a quelli dello spettacolo, della logistica, della Grande Distribuzione Organizzata, fino ai tanti comitati dei parenti delle vittime del Covid e ai giovani organizzati nelle Brigate di solidarietà. Una mobilitazione per certi versi ancora a macchia di leopardo, embrionale, ma chi si ostina a dire che nel nostro paese non si muove nulla o è in malafede oppure nega l’evidenza!

I comunisti devono sostenere senza riserve ogni mobilitazione che le masse popolari oppongono agli effetti della crisi, anche se si sviluppa su obiettivi parziali, anche se si presenta con manifestazioni contraddittorie (ed è inevitabile che sia così), anche se, inevitabilmente, nessuna lotta rivendicativa – neppure la più ampia, radicale e unitaria – sarà sufficiente a rovesciare il potere della borghesia imperialista. Pertanto, è fuori strada chi si illude che con le mobilitazioni del prossimo autunno, con l’Autunno Caldo del 2020, sia possibile “far pagare ai padroni il conto della crisi” o che sia possibile costringere la classe dominante a una rovinosa marcia indietro per cui si trovi costretta a concedere mentre è invece in attacco, procede con lo smantellamento di quello che rimane di tutele, diritti e conquiste.

Saremo in ogni piazza, in ogni azienda, in ogni scuola e in ogni territorio che le nostre forze permettono di raggiungere per fare di ogni lotta una scuola di comunismo per gli operai e le masse popolari che ne sono protagonisti e vi partecipano affinché assumano un ruolo che va al di là delle singole rivendicazioni. Cosa vuol dire? Per spiegarlo partiamo da un riferimento storico, dall’Autunno Caldo del 1969, appunto.

Una lezione che abbiamo tratto dall’analisi di quell’esperienza è che “niente scoppia”, nel senso che anche le mobilitazioni e lotte dell’autunno 1969 sono state il frutto di un processo, dei tanti scioperi, proteste, lotte e contraddizioni dei mesi e anni precedenti. Altra lezione, l’aspetto dirimente, è che nonostante con le lotte del 1969 la classe operaia avesse dimostrato la sua forza, non c’era un partito comunista che fosse capace di condurre l’attacco contro la borghesia imperialista per la conquista del potere. La lotta, seppur tenace, dura e valorosa, è rimasta sul piano rivendicativo, non ha messo in discussione la detenzione del potere politico ed economico della borghesia e per questo anche la gloriosa esperienza dell’Autunno Caldo, così come quelle precedenti del Biennio Rosso e della Resistenza antifascista, si sono esaurite.

La questione centrale, quindi, non è la rivendicazione alla classe dominante, ma la presa del potere politico da parte delle masse popolari. Mille lotte, mille mobilitazioni, mille generose esplosioni di ribellione non avranno sviluppo (lo vediamo anche oggi con le mobilitazioni negli USA o con quelle dei Gilet Gialli in Francia dello scorso anno) se i comunisti non sono capaci di legarle sempre più strettamente alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato, al rafforzamento del nuovo potere delle masse popolari organizzate.

Senza un loro centro dirigente, la classe operaia e le masse popolari non sono una forza politica. Il centro dirigente è il Partito comunista adeguato a condurre la classe operaia a conquistare il potere e a instaurare il socialismo.

Quanto sarà caldo questo autunno e quanto avanzeremo nelle condizioni per l’instaurazione del socialismo dipende infatti da quante organizzazioni operaie e popolari si formeranno e da quanto noi comunisti saremo capaci di svilupparle e farle coordinare tra loro e con quelle che già esistono. Dobbiamo infatti approfittare della crisi politica della borghesia, della breccia aperta dalle masse popolari con le elezioni del 4 marzo 2018 (che ormai più che una breccia è una voragine). Questo per le organizzazioni operaie e popolari vuol dire non limitarsi a rivendicare alla borghesia migliori condizioni di vita e di lavoro, ma mettersi nell’ottica di cominciare loro a prendere le misure che servono, imponendo l’attuazione di quelle che non riescono ancora a prendere alla classe dominante, rigettando le logiche corporative e da orticello.

Per noi comunisti significa fare tutto quanto è in nostro potere per estendere la mobilitazione e il coordinamento delle organizzazioni delle masse popolari, usando anche le lotte rivendicative e tutti gli appigli che la situazione ci offre in modo dialettico, alimentando l’ingovernabilità del paese (vedi articolo sul Referendum) e facendole confluire sempre più coscientemente nel grande fiume della rivoluzione socialista che oggi si alimenta con la lotta per costituire il Governo di Blocco Popolare.

L’emergenza da Covid-19 ha mostrato bene come tutti i settori della società siano tra loro connessi e che non è possibile riformarne o migliorarne nemmeno uno se non si mette mano a tutto il resto del sistema, se non si risale e si interviene sull’origine di tutti i problemi, cioè al sistema economico capitalista in crisi. Dai mesi di quarantena, sono emersi tanti esempi positivi che vanno nella direzione che indichiamo. Non si tratta di “unire le lotte” o di “fare lotte più radicali”, ma di creare gli embrioni di nuova governabilità delle masse popolari: le Brigate di Solidarietà (vedi articolo a pag. 5) si stanno sempre più ponendo come soggetti autorevoli sui territori, come organismi occupano non solo di assistere le famiglie in difficoltà ma di organizzarle per mettere mano ai loro problemi. Pensiamo anche alla battaglia per l’istruzione pubblica e il diritto allo studio che ha visto uniti in Toscana studenti e insegnanti negli scorsi mesi (vedi articolo su Resistenza 07-08/20) e che proprio in queste settimane sta vedendo compattarsi sempre di più il fronte del comparto scuola, che comprende tutti i lavoratori, gli studenti fino anche ai genitori, per ripensare all’apertura di settembre in modo alternativo e sempre meno dipendente dalle (poche) direttive ministeriali.

Ora più che mai è il caso di dire, citando Lenin: “anche la storia ha bisogno di una spinta”.

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