La delibera comunale dell’assessore al commercio Gianassi (PD) di alcuni giorni fa, in cui si stabilisce l’aumento delle pene pecuniarie da 250 a 400 euro per chi «fa esposizione o vendita di gadget, souvenir, abbigliamento o simili che richiamino all’ideologia fascista o nazista», è chiaramente uno specchietto per le allodole della giunta Nardella per deviare l’attenzione dalla situazione disastrosa in cui versa il Comune. Si usa il pretesto dell’imbrattamento ad opera di ignoti del murale del partigiano Silvano Sarti con della vernice bianca per non parlare dei 200 milioni di euro venuti a mancare al bilancio comunale per il tracollo del turismo, per non parlare delle migliaia di fiorentini esclusi da bonus e contributi durante la pandemia per i criteri delle erogazioni, dei giardini rimasti chiusi per oltre due mesi dall’avvio della “fase 2” per i tagli a fondi e personale, dei prossimi che arriveranno per far fronte alla voragine del bilancio mentre si snelliscono le procedure per le Grandi Opere Inutili che minacciano la città e la Piana.
Quello dell’imbrattamento è certamente un gesto vergognoso ed esecrabile, tanto è bastato, alla giunta PD, per decretare, il succitato rafforzamento delle multe per chi vende materiale di tipo fascista. Ora, è evidente che queste trovate da campagna elettorale rimarranno nel cassetto, dove andranno a fare compagnia alle leggi Mancino e Fiano, e che servono unicamente per alimentare la corrente alternata dell’antifascismo padronale. Cos’hanno fatto in questi anni le amministrazioni PD per fermare veramente “l’onda nera”, se questo è ciò che li preoccupa di più? Perché, in base alla legge Scelba, non hanno impedito l’apertura delle sedi di Casapound a Coverciano e a Scandicci e non hanno chiuso i covi fascisti già esistenti, come quelli di Casaggì e Forza Nuova? Perché è ancora in corso il processo contro gli antifascisti del 2011 e non si spende una parola per i compagni di Firenze Antifascista colpiti con migliaia di euro a testa di sanzioni?
La verità, confermata dai fatti, è che l’antifascismo padronale è un’arma di diversione e distrazione di massa e questo risulta ancora più evidente se si guarda alla realtà storica per cui il regime fascista nacque in seno alla società borghese “liberale e democratica”, fu usato dalla borghesia come ultima spiaggia per salvare i suoi profitti dalla rivoluzione socialista che incedeva e minacciava il suo dominio. Oggi come ieri, infatti, non sono i fascisti i principali promotori della mobilitazione reazionaria: essi sono piuttosto gli strumenti che la classe dominante usa per reprimere il movimento comunista quando non ha altre vie d’uscita. Ai nostri tempi sono le Larghe Intese capitanate da PD e Forza Italia a svolgere questo ruolo; i gruppi degli scimmiottatori del fascismo del XX secolo sono in disgregazione e godono di sempre più scarso seguito tra le masse popolari: basti fare un paragone tra i voti ottenuti da Casapound e Forza Nuova alle elezioni del 4 marzo 2018 e a quelle del 26 maggio 2019, basti considerare che la stessa Casapound annunciò, in seguito alla clamorosa sconfitta elettorale alle europee dell’anno scorso, di riorganizzarsi come “associazione culturale” e di non presentarsi più alle elezioni.
Ogni anno, non appena si entra in periodo elettorale, le TV di regime e i talk show iniziano i loro soliti servizi giornalistici con lo stesso copione: andare a Predappio a intervistare “nostalgici” di varie generazioni, inquadrare la cripta Mussolini e i negozietti che vendono gadget del Duce e ammorbare l’opinione pubblica con l’ormai logoro mantra del “ritorno del fascismo”: ovviamente capiterà se non dovessero vincere i partiti delle Larghe Intese. Si tratta di uno strumento di controrivoluzione preventiva a pieno titolo volto a far credere alle masse popolari che il problema in Italia non sono le fabbriche che chiudono, le scuole che cadono a pezzi, il diritto all’istruzione pubblica praticamente cancellato dalla Didattica a Distanza, i diritti dei lavoratori soffocati nel lavoro telematico, la sanità pubblica devastata da decenni di tagli e privatizzazioni, il degrado materiale e morale in continuo aumento: di questo gli “antifascisti da salotto” non se ne preoccupano, o meglio, tacciono perché la responsabilità è loro e del sistema che rappresentano e difendono.
Noi promuoviamo l’antifascismo popolare, attivo per tutto l’anno e che abbiamo portato nel quartiere il 25 aprile – accolto con gioia e anche commozione da tanti rifredini – andando a deporre un fiore alle lapidi dei nostri partigiani e spiegando a giovani e meno giovani chi fossero Luigi Morandi, il comandante Potente, Anna Maria Enriquez Agnoletti. Per noi antifascismo è combattere per abolire i vincoli di fedeltà aziendale nelle aziende pubbliche e private e dare parola ai lavoratori, è la lotta per il diritto allo studio in sicurezza e di qualità per studenti e insegnanti, è impedire che i padroni e i loro scagnozzi in camicia nera continuino ad avere agibilità, perché tramite questa ci hanno condotto nel marasma in cui stiamo sprofondando. Per noi antifascismo non è ricordarsene solo in occasione delle feste comandate o strappare qualche miglioramento economico che ci riprenderanno alla prima occasione ma lottare per il socialismo, una società superiore a questa ormai marcia e decadente: la nuova società per cui sacrificarono la vita tanti compagni e compagne tanti anni fa. Questo è il testimone che vogliamo e dobbiamo raccogliere quotidianamente.
Diffidate delle imitazioni.
La sezione di Rifredi del Partito dei CARC
Firenze, 27 luglio 2020