[Italia] Sul ruolo delle forze dell’ordine e la costruzione del Governo d’emergenza popolare

Il 9 luglio, a Gallarate (VA), alcuni agenti della Polizia Municipale si sono resi protagonisti di un’aggressione immotivata contro un immigrato, colpevole di aspettare sul marciapiedi l’apertura del portone di una casa di accoglienza, la “Casa di Francesco”.

Le immagini dell’aggressione sono comuni a quelle delle tante violenze e dei tanti abusi che vengono documentati: quattro contro uno, la vittima immobilizzata a terra e colpita, infine l’arresto, la denuncia per resistenza e lesioni, i referti medici per gli agenti come prova della legittimità della violenza… Il commento fuori campo della donna che ha ripreso le immagini toglie, almeno in questo caso, le parole di bocca agli utili idioti che di fronte alle immagini di abusi e violenze commentano “chissà cosa è successo prima?”: prima non è successo niente! È un’aggressione gratuita, una delle tante, che dimostra la crescente degenerazione di una parte delle Forze dell’Ordine di questo paese. Anche per questo è sempre bene riprendere l’operato delle forze dell’Ordine: non è garanzia di incolumità, ma è un deterrente contro le violenze!

Guardando queste immagini il pensiero va subito in due direzioni: va a ricordare le vittime degli abusi in divisa che non hanno avuto “la fortuna” di essere riprese mentre agenti delle Forze dell’Ordine li massacravano: Giuseppe Uva (proprio a Varese), Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Riccardo Magherini e tanti altri, uccisi, criminalizzati e presentati all’opinione pubblica come delinquenti che in un modo o nell’altro “se la sono cercata”. Contemporaneamente, il pensiero va alle sommosse in atto negli USA, iniziate per l’omicidio di George Floyd da parte di quattro poliziotti, il 28 maggio, che hanno infiammato tutto il paese e ancora proseguono.

Oltre la rabbia e l’odio che queste stesse immagini generano, una prima, legittima e sacrosanta riflessione attiene al fatto che contro gli abusi, gli arbitrii e la violenza sempre più diffusa della Forze dell’Ordine, la ribellione è giusta e solo la mobilitazione popolare “smuove” quella coltre di melma, omertà e spirito di corpo che in genere la Magistratura non vuole o non riesce a smuovere. Abbiamo tutti sotto gli occhi le immagini dei poliziotti bianchi che negli USA si inginocchiano al passaggio dei cortei in memoria di Floyd: sono “scene vere” che senza la ribellione diffusa e le enormi manifestazioni popolari non si sarebbero viste. Per questo, trasformare la violenza della polizia, l’impunità di cui gode e le coperture cui gli agenti godono in una questione di ordine pubblico – cioè una questione politica – è giusto!

Una seconda e più generale riflessione è però necessaria, legata al contesto politico, alla fase storica, alle prospettive di “ritorno alla normalità” dopo che l’emergenza Covid-19 ha fatto emergere e aggravato tutte le brutture e le ingiustizie della società capitalista e ha dimostrato in modo palese il ruolo ormai completamente parassitario, oppressivo e antipopolare della classe dominante, la borghesia imperialista, e delle sue autorità e Istituzioni.

Non ci sarà nessun ritorno alla normalità: l’emergenza Covid-19 ha aperto una fase in cui l’incompatibilità fra gli interessi della classe dominante e quelli delle masse popolari si è acuita ed è destinata ad aggravarsi, in cui la rovinosa crisi della classe dominante trascina velocemente verso la rovina l’intera società, in cui più palesemente e urgentemente si pone per le masse popolari la questione di costituire un loro governo di emergenza per fare fronte agli effetti più gravi della crisi.

A questa seconda riflessione e al nesso con la lotta contro la repressione e gli abusi in divisa è dedicato questo articolo.

La situazione in breve

La grave situazione in cui è sprofondato il paese pone tutti i settori delle masse popolari, a vario livello, di fronte a un bivio: accodarsi alla classe dominante (indipendentemente dal colore del governo e dalle dichiarazioni dei suoi esponenti) o consolidare e rafforzare la strada della mobilitazione per affermare gli interessi delle masse popolari stesse. Le due strade sono distinte e inconciliabili, anche se la classe dominante fa largo uso dell’intossicazione dell’opinione pubblica e della propaganda di regime per far coincidere gli interessi delle masse popolari con quelli dei capitalisti, dei padroni, degli speculatori in nome di un “bene comune” che non esiste.

In un contesto in cui si estenderanno le mobilitazioni e le lotte per la difesa di quanto rimane di tutele e diritti e per una vita dignitosa, anche la repressione aumenterà e alla repressione di piazza (divieti di manifestazione, manganellate, arresti, multe, ecc.), alla repressione selettiva delle avanguardie di lotta (inchieste per terrorismo, arresti, perquisizioni, ecc.) e alla repressione aziendale e sindacale (licenziamenti di delegati e operai scomodi al padrone, commissioni disciplinari per aver violato l’obbligo di fedeltà aziendale, ecc.) si aggiungono e si aggiungeranno in maniera crescente i tentativi di controllo sociale, di intimidazione di massa, gli arbitrii poiché si farà più pressante la necessità della classe dominate di opprimere su vasta scala, con ogni mezzo, le masse popolari. Un “assaggio” di questo andazzo è stato il regime da caserma imposto con il pretesto del rispetto delle misure anticontagio durante le settimane di lockdown: militarizzazione dei territori, discrezionalità sulla durezza dell’intervento affidata direttamente alle FdO, centinaia di migliaia di multe, centinaia di abusi e violenze (molti documentati, ma molti no), repressione violenta di ogni protesta (come la strage nelle carceri dell’8 marzo), incitamenti alla popolazione affinché si trasformasse a sua volta in spia del vicino di casa.

Tuttavia, per la classe dominante la situazione è tutt’altro che favorevole.

Anzitutto, ogni intervento repressivo è dimostrazione della difficoltà di continuare a far valere il suo ruolo senza terrorizzare le masse popolari: la classe dominante non gode più della fiducia e del sostegno delle larghe masse e sempre meno riesce a mantenerle in una situazione di rassegnata collaborazione. La ribellione cova in ogni angolo e man mano che cresce la mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari, cresce anche la necessità dei settori meno influenzati e sottomessi dalla propaganda reazionaria di doversi schierare, di scegliere da che parte stare: continuare ad essere strumento di oppressione al servizio dei capitalisti e dei padroni oppure sostenere la mobilitazione popolare.

In secondo luogo, nonostante Forze dell’Ordine e Forze Armate siano state sottoposte a un lungo trattamento finalizzato a recidere i legami con le masse popolari (eliminazione della leva obbligatoria, più capillare addestramento, missioni di guerra, ecc.), quei legami non sono ancora rotti e, in definitiva, non si possono rompere. Anche se la classe dominante avesse l’ambizione di tornare al periodo in cui i graduati erano tutti appartenenti alle classi alte, la truppa è sempre e solo appartenente alla classi basse e per quanto indottrinamento, addestramento, riconoscimenti economici possano di certo allettare una parte della truppa, essi non riusciranno mai a sostituire l’origine di classe della maggioranza della truppa.

In terzo luogo, per mantenere il suo ruolo di dominio, la borghesia imperialista è costretta a violare le stesse leggi che pretende di imporre alle masse popolari, è costretta a violare tutti i principi, i valori e le leggi “democratiche” che pretende di incarnare, deve assumere un ruolo più palesemente eversivo. E questo alimenta contraddizioni anche nel suo stesso fronte tanto nei piani alti (la parte “democratica e progressista” della borghesia imperialista) e soprattutto nei piani bassi del suo campo (dipendenti dell’amministrazione statale, poliziotti, soldati, carabinieri, guardie carcerarie, finanzieri, tecnici, amministrativi, ecc.).

In ultimo, ma in definitiva è l’aspetto principale, sono da tenere in conto l’intervento e l’azione dei comunisti.

 
Nel nostro paese ci sono decine di partiti e organizzazioni che si definiscono comunisti o che si richiamano al movimento comunista che, nonostante le molte – e a volte profonde – differenze ideologiche e politiche, sono in larga misura accomunati dal fatto di non aver condotto un bilancio serio ed efficace dei motivi per cui il vecchio movimento comunista non ha fatto la rivoluzione socialista in Italia (e in nessun paese imperialista) e che pertanto ripropongono gli errori e i limiti del passato. In particolare ricalcano due tare storiche del movimento comunista nei paesi imperialisti: l’economicismo e l’elettoralismo. Per quanto riguarda l’economicismo, esso consiste nel credere che la rivoluzione socialista scoppi a seguito di vaste e prolungate mobilitazioni rivendicative (scioperi, manifestazioni, ecc.), per quanto riguarda l’elettoralismo, esso consiste nel credere che la rivoluzione socialista passi dall’allargamento del consenso per i comunisti sul piano elettorale. Entrambe le idee poggiano sulla convinzione che la rivoluzione scoppia e che il compito dei comunisti sia quindi prepararsi per quel momento, costruendo un partito comunista forte e coeso.
Certo, ampiezza del movimento comunista, forza, influenza e autorevolezza sulle ampie masse sono aspetti importanti, ma essi sono conseguenza della concezione che guida i comunisti e della linea politica rivoluzionaria perseguita dal partito comunista, non sono il risultato dell’opera di convincimento che i comunisti fanno fra le masse popolari.
Il movimento comunista rinasce e cresce non perché i comunisti sono tanti, ma perché sono rivoluzionari, perché si assumono la responsabilità di guidare le masse popolari a fare la rivoluzione, perché si danno i mezzi ideologici, politici e organizzativi per fare la rivoluzione, perché hanno una strategia e una tattica per fare la rivoluzione – da “Il nuovo potere” – Resistenza n. 7-8/2020

Il compito dei comunisti

La linea per fare fronte alla repressione consiste essenzialmente nel fare leva sulla solidarietà di classe delle masse popolari, nel chiamarle alla mobilitazione per difendere gli spazi di agibilità politica che ancora rimangono, nel trasformare ogni attacco repressivo in occasione per portare sul banco degli imputati le autorità e le istituzioni che l’hanno ordinata (o, nel caso degli abusi di polizia, permessa). In quest’ottica, è sempre giusto e necessario denunciare ogni abuso di polizia, ogni violazione della Costituzione, documentare ogni violenza in divisa e rompere il clima di omertà su cui contano le autorità e le istituzioni.

Ma da comunisti abbiamo il compito di individuare e sostenere, fino a mobilitarli, tutti coloro che nel campo del nemico mal sopportano, mal tollerano e non digeriscono la deriva reazionaria che la classe dominante vuole imporre alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate. In ogni corpo e in ogni contesto esistono agenti che intendono mantenere fede al giuramento sulla Costituzione che hanno fatto. Sono forse pochi, di certo sono isolati, controllati, minacciati e vengono apertamente colpiti quando non si sottomettono alle disposizioni dei vertici e delle catene di comando (vedi il Carabiniere R. Casamassima nel caso Cucchi), ma, da “lavoratori in divisa”, rappresentano il “tallone di Achille” per i promotori della mobilitazione reazionaria e per gli apprendisti stregoni del moderno “Stato di Polizia”.

Da comunisti, non dobbiamo fare l’errore che fece il PSI durante il Biennio Rosso. La mancanza di un Partito Comunista con un preciso piano di guerra e con una comprensione avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe fu l’aspetto determinante che impedì che la classe operaia diventasse il punto di riferimento per i soldati: emblematiche in questo senso le posizioni tenute dal PSI rispetto all’Impresa di Fiume e agli ammutinamenti nell’esercito specialmente nelle città portuali1.

Durante il Biennio Rosso, l’estremismo, il settarismo e il dogmatismo della sinistra del PSI e degli anarchici impedirono l’unione fra la classe operaia e le masse popolari insorte in tutto il paese e i militari che si ammutinavano. In mesi in cui in più occasioni le truppe si erano rifiutate di intervenire per reprimere scioperi, espropri e manifestazioni, il caso più emblematico fu quello della Rivolta dei Bersaglieri di Ancona che si rifiutavano di partire per l’Albania.

Tale mancata alleanza è un esempio che dimostra i limiti ideologici (di comprensione della realtà, di strategia, di tattica e di linea) della testa del movimento rivoluzionario, che determinò la sconfitta del movimento rivoluzionario. Sono quei limiti che oggi i comunisti devono superare, intervenendo in ogni ambito in cui si manifesta la lotta di classe (in cui si contrappongono gli interessi delle masse popolari con quelli della borghesia imperialista).

Da comunisti dobbiamo fare come, nel 1917, fece Lenin nei confronti dei soldati. Di diverso segno, e con risultati ben diversi, è l’esperienza dell’intervento dei comunisti nelle truppe della Russia zarista. Durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), i bolscevichi intervennero coscientemente, e cioè guidati dalla Concezione Comunista del Mondo, nell’Esercito fino a sostenere la formazione dei Soviet dei Soldati, unendo così saldamente contadini, operai e soldati, partendo dai loro bisogni (“pane, pace e terra”) nell’abbattimento del vecchio mondo e nella costruzione della nuova società socialista.

Essere contro la polizia non basta. Le masse popolari hanno bisogno di un loro governo.

Per i comunisti non si tratta di convincere a parole singoli e corpi delle FdO e FFAA a non reprimere le masse popolari, piuttosto di avanzare nel denunciare senza sosta gli abusi in divisa e chi li perpetra e contemporaneamente nel sostenere quanti, dall’interno dei corpi dei “tutori dell’ordine”, aspirano ad organizzarsi (sindacati, associazioni a scopo sindacale, ecc.) per mettere il proprio ruolo al servizio delle masse popolari, delle loro rivendicazioni, delle loro aspirazioni [leggi la lettera di una guardia giurata].

Per concretizzare ciò è necessario realizzare l’obiettivo immediato della costituzione del Governo di Blocco Popolare (GBP), il che significa anche porre, adeguandola ai nuovi interessi, la Pubblica Amministrazione al servizio delle masse. Infatti, contro abusi, soprusi, repressione e controllo sociale, la denuncia è giusta e doverosa essendo il primo passo sia per per smascherare il volto del nemico che per chiedere la solidarietà da parte delle masse popolari, ma la questione rimane la prospettiva.

Infatti, per esercitare realmente l’articolo 52 della Costituzione (l’educazione delle FFAA secondo lo spirito democratico della Costituzione) e per condurre la rivoluzione socialista alla vittoria è necessario lottare, qui e ora, per il GBP che tra le sue 7 misure generali pone la necessità, dandosi i mezzi e gli strumenti, di “epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano l’azione del GBP, conformare le Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza), le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 (in particolare a quanto indicato negli articoli 11 e 52) e ripristinare la partecipazione universale più larga possibile dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico”.

Il GBP dovrà farà valere la propria direzione sulle FdO, sulle Forze Armate e sulla Pubblica Amministrazione: sarà un governo in cui le Forze Armate e di polizia saranno ancora grossomodo quelle di oggi, salvo le epurazioni degli elementi ostili come ad esempio il VII° Reparto Mobile di Bologna o gli agenti che hanno assassinato Cucchi, Aldrovandi, Uva, Magherini, ecc.

Quegli agenti fedeli alla Costituzione, figli del popolo, figli di operai, devono avere nei comunisti un loro alleato.

Con la stessa determinazione e convinzione con cui si lotta contro la repressione, bisogna cercare e sostenere quegli agenti più legati alle masse popolari e che resistono alle prove di “Stato di Polizia”, che sono l’anello debole di una catena di comando criminale, che si oppongono all’uso antioperaio e antipopolare delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate. Esse sono, per natura, uno strumento della classe dirigente della società: sono addestrati ad essere aguzzini e a difendere gli interessi dei capitalisti e dei padroni, finché la borghesia imperialista dirige la società; saranno addestrati a sostenere le masse popolari e a operare per la vera sicurezza del paese, quando la classe operaia e le masse popolari saranno diventate la nuova classe dirigente della società.

Nel frattempo, in quel lasso di tempo, esse sono terreno di costruzione della nuova egemonia della classe operaia e delle masse popolari organizzate che lottano per il potere, anche perché la lotta per instaurare il socialismo non è lotta contro i poliziotti, i carabinieri e i militari: è lotta contro la borghesia imperialista e il suo clero per sostituire al loro marcio sistema un ordine sociale in cui ogni adulto svolge un lavoro utile e dignitoso e riceve tutto quanto è necessario per una vita dignitosa(dall’Avviso ai Naviganti 70 del (nuovo) PCI).

 
Anche lo Stato socialista ha bisogno di una sua Polizia (e di sue Forze Armate, come insegnano le esperienze dell’Armata Rossa sovietica e cinese o le più recenti FANB2 in Venezuela), forgiata secondo una concezione distinta da quella della difesa degli interessi borghesi: difende le masse popolari e ne discende direttamente da esse in quanto loro espressione in ragione della dittatura del proletariato. Non solo, diventa parte integrante della costruzione della società socialista, come dimostra l’esperienza della CEKA3 che, sotto la guida di F. Dzerzinskij, incarnò da subito, oltre a quella repressiva (prevenire ed eliminare la controrivoluzione), una funzione educatrice nei confronti delle masse popolari, come dimostrano le colonie penali per orfani e giovani sbandati (vedi Poema Pedagogico di A. S. Makarenko) sorte in ogni angolo del nascente Stato Sovietico.

1Per approfondimenti, Il Biennio Rosso in Italia e la forma della rivoluzione socialista oggi in La Voce 63 del (n) PCI;

2Forza Armata Nazionale Bolivariana;

3Abbreviazione di Èrezvyèainaja komissija (“Commissione straordinaria”). È stata la polizia politica segreta istituita dal governo sovietico il 20 dicembre 1917 (attiva fino al 1922);

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