Per sviluppare la lotta di classe fino a cambiare il corso delle cose, occorrono scelte chiare, coraggiose e all’altezza della gravità della situazione!
Sabato 11 luglio si è tenuta a Bologna la prima assemblea nazionale “in presenza” del Patto d’azione per un Fronte unico di classe anticapitalista (le precedenti, durante i mesi di lockdown, si erano svolte in video conferenza). La discussione ha fatto emergere alcune questioni su cui è necessario chiarirci e approfondire il confronto per promuovere quell’ampia e combattiva mobilitazione popolare che tutti i partecipanti all’assemblea e gli aderenti al Patto d’azione si propongono, una mobilitazione all’altezza della gravità della crisi sanitaria, economica, sociale e ambientale già in corso e che la pandemia ha fatto esplodere.
1. Il Patto d’azione aspira a diventare centro promotore di questa mobilitazione. Ed effettivamente perché la mobilitazione popolare si dispieghi in modo ampio e combattivo occorre un centro che la promuove, che valorizza, coordina, sviluppa, dà forza e prospettiva politica alla conflittualità, all’indignazione, alla rabbia, allo scontento diffusi e crescenti. Svolgere questo compito significa che il Patto d’azione diventa un’aggregazione di organismi e di organizzazioni (e non una specie di partito o una coalizione simil partito) che:
– diffonde, organizza e promuove l’orientamento e la mobilitazione contro le misure del governo Conte 2 che imita ed è subordinato alle Larghe Intese del polo PD e del polo Berlusconi e ai padrini delle Larghe Intese (da Confindustria al Vaticano, dai caporioni dell’Unione Europea agli imperialisti USA e sionisti) per un lavoro utile e dignitoso per tutti, la sanità pubblica, la salvaguardia e la riabilitazione del territorio e dell’ambiente, ecc.,
– lancia e conduce campagne comuni, che ogni organizzazione aderente sviluppa in modi e in forme specifiche e conformi con le proprie caratteristiche, così da sostenere e potenziare quanto già fanno e valorizzare le iniziative di lotta e gli insegnamenti di altri organismi e movimenti, mettendole in connessione, rafforzando in ognuna la coscienza della propria importanza, delle proprie possibilità e della propria forza, dando modo a ogni organizzazione di imparare e insegnare alle altre, di sostenersi a vicenda, di mettere in comune conoscenze, esperienze e strumenti di lotta,
– promuove e favorisce la nascita di nuovi organismi nelle aziende capitaliste e pubbliche, territoriali, tematici e il loro coordinamento: solo organizzati i proletari, quei “23 milioni che non sono (ancora, aggiungo io) con noi” di cui ha parlato Aldo Milani nell’assemblea, fanno valere la forza del loro numero.
Quindi svolge un capillare lavoro di base 1) per sostenere in ogni azienda gli operai avanzati e in ogni zona gli esponenti avanzati delle masse popolari che in qualche modo nel loro contesto particolare, in un campo o nell’altro, si organizzano per resistere all’uno o all’altro aspetto della crisi economica, sociale, sanitaria e ambientale del capitalismo, 2) per aiutare ogni gruppo di lavoratori avanzati a occuparsi con più forza e con efficacia crescente della sua lotta particolare, 3) per spingere ogni gruppo di lavoratori ad andare oltre il suo caso particolare e a legarsi agli altri gruppi che anch’essi nel loro particolare resistono e assieme creare la rete del nuovo potere che si rafforzerà fino a farla finita con il capitalismo. In questi mesi abbiamo visto cosa è possibile mettere in moto con le Brigate di solidarietà, con gli scioperi degli operai della logistica e di altre fabbriche per la chiusura delle attività non essenziali che i padroni volevano tenere aperte per i loro sporchi profitti, con le manifestazioni per il 25 Aprile e il 1° Maggio, con la lotta contro gli abusi della polizia, con la lotta dei lavoratori della sanità o dei familiari dei morti di Covid-19 per mancanza di cure o per scelte criminali come quelle della Regione Lombardia verso le RSA. Sono esempi preziosi che devono guidare l’azione delle organizzazioni aderenti al Patto d’azione. Sono la strada che forze come il SiCobas e altri sindacati combattivi, come il P.CARC e altre organizzazioni politiche hanno percorso in questi mesi. Rilanciare, allargare ed estendere in tutto il paese queste e simili esperienze è la strada per sviluppare il Patto d’azione per un fronte anticapitalista.
2. Questo lavoro di base è il campo su cui costruiamo la più ampia unità d’azione anticapitalista degli aderenti (attuali e futuri) al Patto d’azione e rafforziamo la rinascita del movimento comunista nel nostro paese. Le divergenze di orientamento e linee non impediscono e non devono impedire l’unità d’azione in campagne e battaglie. Nelle parole di tutti i relatori all’assemblea c’è stato un atteggiamento di apertura in questo senso, dettato principalmente dalla situazione d’emergenza e dalla necessità (“dall’urgenza”, come alcuni hanno ribadito) di trovare la strada per costruire un centro autorevole nel nostro paese che sappia raccogliere e far confluire ogni lotta, ogni rivendicazione nel senso dell’anticapitalismo. Quindi diciamocelo e diciamolo apertamente. Gli organismi aderenti al Patto d’azione sono divisi quanto a bilancio del movimento comunista e all’obiettivo di lungo termine che le masse popolari devono darsi. Nonostante questo si uniscono nel sostenere le rivendicazioni di ogni gruppo di lavoratori, di donne, di studenti, di immigrati e in generale di masse colpite dal corso delle cose imposto dall’UE e dalla NATO e fatto proprio (per inciso: in netta violazione della Costituzione del 1948 ufficialmente ancora in vigore) dai capitalisti e dai centri di potere del nostro paese. Si uniscono nel sostenere queste mille e in alcuni casi persino contraddittorie rivendicazioni, perché la resistenza delle masse popolari e il sostegno a questa resistenza aiuterà gli organismi aderenti al Patto d’azione a vedere più chiaro nel corso delle cose, a verificare le loro analisi e linee e a dirimere le loro divergenze, confluendo in una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e quindi nella definizione comune della linea che bisogna seguire.
3. Sugli obiettivi a lungo termine (la prospettiva) della mobilitazione popolare, ci sono divergenze tra le organizzazioni aderenti al Patto d’azione. Su questo non si tratta, come ha detto nel suo intervento Alessandro Mustillo (intervenuto per il Fronte della Gioventù Comunista all’assemblea dell’11 luglio), di “fare un passo a lato perché c’è una soggettività arretrata come non mai e la coscienza di classe è al minimo storico”, che significherebbe ricadere in un intergruppo, in una unità al ribasso. Si tratta invece di sviluppare l’unità d’azione e le iniziative comuni, il dibattito franco e aperto, la lotta tra linee. In quest’ottica faccio una domanda. Nell’assemblea vari relatori hanno parlato di “orientare in senso anticapitalista ogni lotta”. Cosa vuol dire in “senso anticapitalista”? Il capitalismo è un modo di produzione. Che cos’è un modo di produzione? È l’insieme dei procedimenti e delle relazioni tramite cui i lavoratori sono messi nelle condizioni necessarie per produrre e indotti a lavorare. Nella società borghese è il capitalista che mette i lavoratori nelle condizioni di produrre e li induce a lavorare: li assolda in cambio di un salario, li fa lavorare e vende il prodotto del loro lavoro per valorizzare il suo capitale. Il profitto del capitalista smette di essere il motore della produzione se i lavoratori sono messi insieme e indotti a lavorare da qualcos’altro e da qualcun altro. Per questo non basta essere anticapitalisti: non basta essere contro il modo di produzione capitalista, bisogna essere per un modo diverso di produrre i beni e servizi che servono alla società per funzionare, perché una società non vive senza produzione di beni e servizi. Siamo contro il capitalismo, certo, ma per farla finita con il capitalismo bisogna costruire un modo diverso di mettere insieme i lavoratori per produrre. La concezione comunista del mondo ci insegna che non si tratta di inventarlo (come facevano i socialisti utopisti: Fourier, Owen, ecc.), ma di scoprire qual è il modo di produzione di cui la società borghese stessa ha creato i presupposti. Bisogna sostituire l’azienda creata e gestita dal capitalista per aumentare il suo capitale, con l’unità produttiva costruita e gestita dai lavoratori organizzati, che lavora secondo un piano pubblicamente deciso per produrre tutti e solo i beni e i servizi necessari alla vita dignitosa della popolazione (al livello di civiltà che l’umanità ha oggi raggiunto) e ai rapporti di solidarietà, di collaborazione e di scambio con gli altri paesi. L’esperienza della prima ondata rivoluzionaria che ha cambiato il mondo (il primo “assalto al cielo”) e l’analisi del corso attuale delle cose indica che per farla finita con il capitalismo dobbiamo instaurare il socialismo, inteso come sistema sociale caratterizzato da tre elementi: 1. il governo del paese (il potere politico) nelle mani delle masse popolari organizzate aggregate intorno al partito comunista e guidato dall’obiettivo della transizione dal capitalismo al comunismo; 2. la gestione pianificata e pubblica delle aziende che producono i beni e servizi necessari a soddisfare i bisogni individuali e collettivi della popolazione, 3. la promozione della crescente partecipazione della popolazione, in particolare delle classi che la borghesia esclude, alla gestione delle attività politiche e sociali del paese, alla cultura, allo sport, ecc. Se qualcuno degli aderenti al Patto d’azione, dal bilancio del primo “assalto al cielo” e dall’analisi della fase, tira delle conclusioni diverse e indica in modo chiaro qual è il sistema sociale diverso dal socialismo con cui le masse dovrebbero sostituire il capitalismo odiato da tanti, farebbe un buon servizio allo sviluppo non solo del Patto d’azione, ma della lotta di classe nel nostro paese. Per dare prospettiva alla mobilitazione popolare contro le Larghe Intese occorre un progetto di paese alternativo a quello esistente. Per dirla terra terra: i nostri partigiani hanno vinto contro il nazifascismo lottando per “fare come in Russia”, non per strappare dei miglioramenti al regime fascista.
4. Durante l’assemblea a più riprese è stata citata la mobilitazioni delle masse popolari negli USA, come esempio a cui deve ambire il Patto d’azione nel nostro paese… “dobbiamo fare come negli USA”. Vediamo di analizzare quell’esperienza per raccoglierne gli insegnamenti. Effettivamente la ribellione è frutto della lotta contro il razzismo, combinata con la rabbia per la gestione criminale dell’emergenza sanitaria e per le sue conseguenze economiche e sociali. La feroce repressione poliziesca non solo non è riuscita a soffocare le rivolte, ma le ha alimentate e ha portato la ribellione fin dentro le istituzioni e le autorità statali. Le cronache di oltre un mese di rivolte raccontano la successione di mobilitazioni, eventi, battaglie e iniziative che pongono gli USA in una situazione che, solo alcuni mesi fa, i cantori della forza e dell’onnipotenza della classe dominante ritenevano impossibile: “parlate di socialismo nel XXI secolo? siete fuori dalla storia!”. Ora è evidente che quelli fuori dalla storia sono loro.
Le masse popolari USA danno una lezione a tutti coloro che si lasciano influenzare dalla propaganda di regime sul fatto che la borghesia è forte, coesa, imbattibile. La borghesia imperialista è un gigante dai piedi di argilla: è lacerata da mille contraddizioni, per proseguire la sua opera criminale deve servirsi di agenti che prima o poi le si rivoltano contro (vedi Assange, Snowden e simili), suscita nemici ovunque (vedi le organizzazioni islamiste che ha creato e le si rivoltano contro), impone condizioni tali che anche senza l’intervento dei comunisti persone e gruppi si levano a combattere contro il suo dominio. Riesce a mantenere il suo dominio principalmente perché il movimento comunista cosciente e organizzato non ha ancora superato i limiti che nel secolo scorso gli hanno impedito di vincere, di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. La grandezza degli sforzi e delle risorse che la borghesia deve dedicare a distogliere le masse popolari dalla lotta di classe (il sistema di controrivoluzione preventiva) è una conferma di quanto il suo dominio è pericolante e di quanto potenzialmente sono grandi le nostre forze. Le sommosse negli USA dimostrano che, anche in una situazione di debolezza del movimento comunista, la classe dominante non riesce a impedire la ribellione delle masse popolari.
Noi non conosciamo abbastanza la situazione degli USA per dire quale sarà l’esito delle rivolte in corso, però sappiamo (questo ognuno di noi lo ha più volte visto nella storia recente e passata) che senza l’azione di un centro autorevole della classe operaia e delle masse popolari, che è combinazione dell’azione del partito comunista che opera da stato maggiore della guerra contro la borghesia e di un fronte di forze che operano nella direzione della costruzione del nuovo potere, la ribellione si esprime principalmente come contestazione, come protesta e come rivendicazione, ma di suo non si sviluppa in modo da portare la classe operaia e le masse popolari a conquistare il potere. L’eroismo e la generosità, il coraggio e la determinazione del proletariato da soli non sono sufficienti a rovesciare il potere della borghesia: ci riusciranno se l’opera di un partito comunista con una strategia e un piano di azione adeguato alla situazione le farà concorrere alla costruzione di un nuovo sistema di potere, del potere delle masse popolari organizzate.
5. Su un punto nell’assemblea eravamo quasi tutti d’accordo: il Patto d’azione non deve ridursi a coordinare le lotte e a dare solidarietà reciproca tra organizzazioni. Il Patto d’azione deve assumere un ruolo politico, hanno detto vari compagni nei loro interventi. Lo ha detto chiaro un operaio iscritto al SiCobas, come ha riportato Alessandro Zadra: “non possiamo più fare finta che la politica non c’è, perché loro (i padroni, ndr) la fanno, quindi noi dobbiamo fare la nostra politica”. Quale deve essere la nostra politica, il nostro piano politico “più complessivo” a cui ha accennato Aldo Milani? Nel suo intervento il compagno Milani lo ha fatto intravedere quando ha detto che “alla SDA di Capriano avevamo ottenuto il migliore dei contratti, poi due mesi dopo hanno chiuso il magazzino”. Bisogna tenere aperte le aziende che i padroni vogliono chiudere, delocalizzare o ridurre. Siccome però non si tratta di una singola azienda qua e là, ma di rimettere in funzione o di tenere in funzione interi settori produttivi che i padroni hanno smantellato o stanno smantellando o hanno privatizzato con i risultati che l’epidemia ha mostrato bene (siderurgia, trasporto aereo, elettrodomestici, sanità e con annessa produzione di farmaci e ricerca, ecc.), ci vuole un governo che lo faccia, che nazionalizzi le aziende e le faccia funzionare per produrre i beni e servizi che già fornivano o per convertirle ad altre produzioni che servono. Va bene fare pressione a questo fine sul governo Conte 2 e possiamo anche approfittare di tre cose: 1. il governo e le “alte sfere” hanno una fifa nera che monti la tensione sociale, 2. ci sono contraddizioni tra le forze che reggono il governo, 3. anche alcuni suoi esponenti e persino qualcuno dell’opposizione parlano di nazionalizzazioni e di “nuova IRI”. Ma anche solo la vicenda di Autostrade per l’Italia, il rifinanziamento delle missioni di guerra, il balletto sugli aiuti europei, la melina su Alitalia ed ex Ilva mostrano che il governo Conte 2 e in particolare la forza di maggioranza, il M5S, sono sempre più al rimorchio del PD, di Berlusconi e di Confindustria. Quindi? Occorre cambiare governo. Ci vuole un governo deciso e in grado di tenere aperte le aziende, farle funzionare, non darle in mano a multinazionali straniere o a “capitani coraggiosi” che le comprano per spremere i lavoratori e intascare aiuti statali, per accaparrarsi quote di mercato e conoscenze, per far fuori concorrenti e poi dopo averle spolpate le chiudono. Vuol dire essere in grado di imporsi ai padroni nostrani più recalcitranti, alle multinazionali e quindi di sostenere uno scontro serio e duro con la comunità internazionale degli imperialisti europei, americani e sionisti. Quindi dev’essere un governo forte non per il numero di voti raccolti e per la “investitura parlamentare” che (forse) riesce a ottenere, ma perché è espressione di una rete di organismi operai e popolari capaci di prendere in mano l’economia del paese a prescindere dai capitalisti e dai loro traffici, perché agisce su mandato e in stretto legame con i comitati di operai, le RSU e gli RLS, cioè con quelli che 1. hanno interesse a tenere aperte e a far funzionare le aziende, 2. sanno quali sono i problemi, 3. sanno cosa occorre per risolverli, hanno interesse a risolverli e sono capaci o possono imparare a risolverli.
Su questo aggiungo solo una cosa: guardiamo anche solo all’esperienza dei coordinamenti nazionali che si sono formati negli anni scorsi, come il Coordinamento NO Debito e la Piattaforma Sociale Eurostop. Alcuni degli attuali aderenti al Patto d’azione li hanno presenti perché vi hanno partecipato. Questi coordinamenti hanno lanciato piattaforme di misure generali per far fronte alla crisi e, a sostegno di quelle misure, hanno tenuto periodicamente delle assemblee, indetto manifestazioni e scioperi (in alcuni casi anche su scala nazionale), promosso la creazione di nodi locali. Ma non si sono occupati di chi avrebbe dovuto attuare le misure generali che indicavano come necessarie, di quale governo occorreva per attuarle e come fare per costituirlo: per questo si sono esauriti dopo il classico ciclo “assemblea-manifestazione”.
Il Patto d’azione deve essere contemporaneamente ambito di unità d’azione, fucina di confronto tra comunisti, anticapitalisti, organizzazioni che sono contro il corso delle cose e strumento di iniziativa in campo politico. Avrà seguito e sviluppo se prendiamo il “toro per le corna”: far diventare ogni lotta contro i padroni e le loro istituzioni, lo strumento, la scuola pratica con la quale quale educhiamo i proletari, e impariamo noi, a costruire le nuove istituzioni dal basso, a creare la rete del nuovo potere che si rafforzerà fino a costituire un proprio governo d’emergenza (e da lì avanzeremo verso l’instaurazione del socialismo).
Per assumere un ruolo politico bisogna ragionare e lottare per prendere il potere nel nostro paese: è una questione che non può essere accantonata e trattata “quando saremo forti e autorevoli”… diventeremo “forti e autorevoli” se fin da subito, ora, ragioniamo, pensiamo e lottiamo in quella direzione. “Pace, terra e lavoro” dicevano i bolscevichi, ma quello che rendeva realistiche quelle parole d’ordine era che per attuarle organizzavano e mobilitavano a lottare anche per “tutto il potere ai soviet”. Oggi dobbiamo costruire i soviet, cioè organismi operai e popolari che prendano il potere. Al lavoro compagni!
Per il Partito dei CARC,
Ermanno Marini