Pubblichiamo l’intervista rilasciata all’Agenzia Stampa Staffetta Rossa da un infermiere dell’Ospedale “Santa Maria” di Terni, un presidio sanitario oggi avviato alla chiusura come molti altriospedali, tra cui quello di Perugia, Foligno e Spoleto, con l’obiettivo di trasformare l’Umbria in una regione di cliniche private d’eccellenza. Un processo in cui il PD – a seguito dell’inchiesta sulla Sanitopoli perugina conclusasi nell’aprile 2019 con le dimissioni della governatrice Marini e qualche arresto – ha semplicemente passato il testimone alla Lega, con l’assessore della salute e delle politiche sociali Luigi Coletto, smascherando di fatto un teatrino in cui per anni è andato e continua ad andare in scena lo spettacolo della privatizzazione della sanità, del suo smantellamento e con questo quello dei diritti dei lavoratori e dei pazienti
Dall’intervista emerge bene il percorso che ha portato allo sfascio del settore ed emergono bene anche quelle che sono oggi le difficoltà per il personale sanitario nel mobilitarsi. L’emergenza sanitaria però ha di fatto alimentato positivamente un ampio dibattito, e conseguenti mobilitazioni, sulla necessità di rimettere al centro la gestione pubblica della sanità. Anche in Umbria sono in corso flash mob e presidi, come quello che si è svolto lunedì davanti alla sede del consiglio regionale durante la seduta dell’aula in cui piatto forte era l’approvazione del Piano di potenziamento della rete ospedaliera, o quello di venerdì in Piazza della Repubblica a Terni.
Questi, oltre ad essere esempi di lotte già in corso sul territorio, sono anche mobilitazioni che si sommano e che possono coordinarsi con quelle degli operai delle aziende a rischio chiusura. Prima fra tutte la lotta per la nazionalizzazione di Acciai Speciali Terni, già svenduta sul mercato da ThyssenKrupp e Treofan, e in cui ora è in corso il blocco delle merci contro l’ulteriore svendita da parte di Jindal. Come si dice nell’intervista, il processo di privatizzazione sta portando i lavoratori della sanità a riconoscersi nella classe operaia perchè entrambi hanno toccato con mano il fatto che i padroni e la classe dominante con le sue istituzioninon sono la soluzione ai loro problemi, ma al contrario ne sono la causa! Sono invece le organizzazioni di operai, di lavoratori della sanità, con le masse popolari tutte, a sapere come risolvere i problemi in cui sono state trascinate dalla borghesia.
Il primo passo dunque deve essere quello di formare comitati nelle aziende ospedaliere e nelle fabbriche che si occupano della loro sicurezza, di quella degli altri lavoratori, delle loro famiglie e di tutta la cittadinanza. Che controllino l’operato di dirigenti espressione della classe dominante e dei padroni. Che segnalino e denuncino ciò che non va, e chee mobilitinoe organizzino gli altri. Che si colleghino con lavoratori e operai di altre aziende, mobilitino tecnici ed esperti. Organizzati è possibile, ed è per questo che è necessario ricostruire in ogni azienda pubblica e privata organismi come sono stati quelli dei Consigli di Fabbrica e dei Consigli all’interno degli ospedali degli anni ’70 (in proposito l’intervista a Edda Adiansi – CdD Ospedali riuniti di Bergamo), partendo anche in pochi ma decisi.
Oggi gli infermieri e il restante personale sanitario, insieme ai pazienti, agli operai e alle masse popolari tutte, possono mobilitarsi e organizzarsi per imporre alcune delle misure necessarie per far fronte all’emergenza sanitaria, economica e sociale:
- abolizione dei fondi pubblici per ospedali e cliniche private;
- aumento dei fondi destinati alla sanità pubblica per procedere immediatamente al recupero delle strutture inutilizzate e alla costruzione di nuove ove necessario;
- assunzione immediata del personale atto a garantire un servizio efficiente e condizioni di lavoro dignitose (abolendo anche il numero chiuso nelle facoltà di medicina e scienze infermieristiche) e immediato aumento dei salari che devono essere adeguati alle responsabilità e al tipo di mansioni;
- abolizione della regionalizzazione della sanità che deve essere gestita a livello centrale, con un unico statuto (no alle differenze tra regioni ricche e povere, no a un modello diverso per ogni regione, ma applicazione a tutte del modello più efficiente) e affidata a persone competenti in campo sanitario;
- abolizione dell’obbligo di fedeltà aziendale;
- coordinamento e partecipazione alle mobilitazioni degli operai delle aziende a rischio chiusura a causa dello smantellamento dell’apparato produttivo umbro e di tutto il territorio nazionale.
Quale è la situazione della sanità pubblica in Umbria e quali sono le prospettive?
E’ una domanda a cui non è facile dare una risposta veloce,se non articolandola. Prima della istituzione del Servizio sanitario nazionale, le prestazioni di rilievo sanitario venivano erogate essenzialmente a livello comunale: infatti la legge 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, affidava le competenze di gestione del servizio interamente al Comune, al quale erano attribuite tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera non espressamente riservate allo Stato ed alle Regioni. Il processo di unificazione dei trattamenti sanitari e dei sistemi di erogazione delle prestazioni trovava infatti il suo punto di riferimento a livello territoriale nell’Unità sanitaria locale (USL) che, dal punto di vista giuridico amministrativo, poteva essere definita come una vera e propria struttura operativa del Comune.
L’approvazione della “riforma-bis” della sanità ha rappresentato il primo tentativo di porre al centro dello scenario sanitario locale la Regione: titolare della funzione legislativa e amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e responsabile della programmazione sanitaria regionale.
Il cammino verso la regionalizzazione e l’aziendalizzazione del sistema era destinato a trovare ulteriore sviluppo nell’organica riforma culminata nel d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, orientata alla ricerca di nuovi equilibri tra le Regioni e gli Enti locali nel processo di razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale. Con tale riforma alle Regioni viene assegnata la responsabilità totale della programmazione e del governo in particolare viene attribuito, alle autonomie locali, voluta fortemente dal governo Berlusconi – Bossi, un nuovo ruolo nel governo dell’assistenza sanitaria, non più finalizzato alla gestione diretta del servizio ma funzionale alla cooperazione tra i diversi livelli territoriali nella formulazione delle strategie assistenziali più adeguate ai bisogni della popolazione, favorendo quei gruppi privati che vedono nella sanità un mezzo di profitto, infine, per ordine cronologico, abbiamo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001. Detto questo i governi del “centrosinistra” che si sono susseguiti nella nostra regione, hanno evidenziato la loro incompetenza attraverso la nomina di Direttori e loro apparati, la stesura di piani sanitari regionali che non tenevano conto della situazione demografica dell’Umbria.Vi informo che l’ultimo aggiornamento del piano regionale in sanità è del 2015, e di fatti a tutt’oggi la mia Azienda Ospedaliera, come nel resto dell’Umbria, le strutture sono dirette da commissari straordinari che hanno i poteri limitati, questo sta ad intendere che la giunta di “centrodestra” vuole proseguire sulla stessa scia dei precedenti, in una battuta, credo che l’Umbria salterà di nuovo alla cronaca dato che da “concorsopoli” della giunta PD a “sanitopoli” della giunta Lega il passo è breve, il quadro è grave, si va avanti alla cieca; l’emergenza SARS CoV2 ci ha dimostrato di che pasta è fatta la Lega ed i suoi servitori.
Nell’ospedale nel quale lavori ci sono comitati di lavoratori in lotta a difesa della sanità pubblica e dei posti di lavoro? Quali sono le prossime mobilitazioni?
Al momento sono presenti i sindacati confederali, Cgil Cisl e Uil più alcuni sindacati autonomi come la Fials, Fsi e di categoria Nursing Up e Nursind,e delle associazioni di familiari dei pazienti per vari reparti come l’Oncologia, la Pediatria, il Centro Trasfusionale.Si adoperano a livello di volontariato, si battono per un ospedale “migliore” attraverso campagne di raccolta fondi per l’acquisto di presidi ed elettromedicali, o report sui giornali quando riescono a “farsi pubblicare”.
Il sottoscritto ha tentato di organizzare, con il passaparola, un gruppo “autorganizzato” per creare un comitato di lavoratrici e lavoratori, rivolto verso il comparto a cui appartengo e non alla dirigenza; anche loro non se la passano granché bene, ma dopo alcuni incontri i più si sono dileguati, perché? Tra noi c’è stato “l’infiltrato” di turno che ha portato avanti il mandato datogli dalla dirigenza per avere in cambio una “posizione economica” come previsto nel CCNL, atteggiamenti che storicamente appartengono al bagaglio culturale dei subalterni. Molti tutt’oggi si lamentano, dai pazienti alle lavoratrici e lavoratori, ma mancando un riferimento credibile, vivendo in un bombardamento mediatico continuo, tra tv e social media, far emergere e ragionare sul problema lavoro e diritti non è facile.
Per quanto riguarda le mobilitazioni siamo appesi al filo dei confederali che si limitano a comunicare che ci sono “iniziative intraprese da parte delle segreterie” ma sono molto attenti a non organizzare assemblee, a non convocare quei pochi iscritti rimasti in azienda per timore del contradditorio. Oggi essere iscritto al sindacato “concertativo” è come essere segnato al “circolo bocciofilo”, in cui se ti serve un qualcosa, mai un diritto, si adopera a mo’ “di segreteria per l’azienda”. Credo che in questo clima sarà difficile organizzare un qualcosa che rompa la gabbia in cui siamo rilegati, anche se siamo definiti “lavoratori garantiti” giacché il nostro contratto collettivo nazionale è firmato da parte dello Stato. Chiaramente questo non significa che mi arrenda ma è solo una costatazione di fatto delle difficoltà che oggi si hanno ad organizzare le persone che lavorano. Aggiungo che nel pubblico impiego, storicamente, i lavoratori non hanno mai portato un grosso contributo alle lotte operaie, nelle piazze e nelle fabbriche, giacché eravamo in una posizione garantita, cosa che oggi è smentita dal fatto che stiamo lavorando a livello dell’operaio di fabbrica, precario e sottopagato. Qui sarebbe opportuno aprire un grosso capitolo sul precariato presente nella pubblica amministrazione iniziato con il “libro bianco” degli anni ’90.
Quali sono secondo te le difficoltà che oggi i lavoratori della sanità incontrano nell’organizzarsi?
Anche questa è una domanda che richiede una risposta articolata, ti rispondo con una storia, raccontatami da un paziente che ho avuto nel reparto dove lavoro; “…Arriva il lunedì mattina. Suona la sveglia. Io Mario (nome di fantasia) indosso la mia amata/odiata tuta blu ed esco di casa, pronto per una nuova settimana di lavoro. Varco i cancelli della fabbrica, timbro il cartellino. Mi reco al posto di lavoro: quel posto che sento mio come una proprietà e che non abbandonerò per tutto il giorno, per tutta la settimana, forse, se mi salvo da questa malattia, per tutta la vita. Perché? Per vivere e mantenere la moglie, Teresa (nome di fantasia), casalinga e i nostri tre figli, insomma faccio l’operaio. Il mio mestiere è quello dell’assemblatore. La mia mansione è identica giorno dopo giorno: meccanica, ripetitiva, eppure fondamentale nella catena di montaggio. Ogni tanto passa il capo reparto. Ci salutiamo. C’è rispetto reciproco ma anche distacco: io so cosa vuole esattamente da me l’azienda per cui lavoro e anche i suoi responsabili sanno esattamente cosa io debbo dare a loro, con i tempi di lavorazione misurati in modo scientifico e un salario uguale per me e tutti gli altri assemblatori che lavorano in Italia nello stesso settore produttivo…”
Ecco quella di Mario è una storia come tante, molto comune trent’anni fa come oggi, per quella moltitudine operaia indistinta che animava la “fabbrica fordista”. Anche per noi, oggi, le condizioni di lavoro mi conducono ad affermare che sono anche io un “operaio della sanità pubblica”, anch’io rientro, volente o non volente, nella storia che vi ho scritto, in quella logica da catena di montaggio, sia per le difficoltà dovute a fondi sempre più magri da destinare alla sanità ed alla salute, con il blocco delle assunzioni, i vincoli imposti dalla spending review; questo porta il lavoratore pubblico in generale, ad entrare in un tunnel di menefreghismo e rassegnazione, la luce ormai in fondo al tunnel è sempre più debole…
Pare che non tutto sia perduto, causa SARS CoV2 e gli scandali connessi, conosciuti da tempo nel fare politica il “centrosinistra” e “centrodestra” ma sempre taciuti, hanno portato sigle di categoria ad organizzare “flash mob” in cui le rivendicazioni si basavano principalmente sul riconoscimento di indennizzi ed aumento del salario, non concentrando sufficientemente l’attenzione su carenze strutturali croniche da decenni su personale, strutture, come accade d’altronde anche nella scuola tra istituti fatiscenti ed ultra centenari, precariato, demansionamento, atteggiamenti intimidatori, come recentemente accaduto con il licenziamento di un dipendente pubblico iscritto al sindacato confederale della Cisl, poiché in anonimato “ha osato criticare l’organizzazione della sua azienda”, behquesto chiamasi fascismo nei luoghi di lavoro!
In queste settimane a Terni si sono innescati focolai di lotta a difesa dell’apparato produttivo in 3 aziende strategiche: AST, Treofan e Sangemini. Mobilitazioni che, con quelle del personale sanitario hanno in comune l’attacco sferrato dalla classe dominante contro i lavoratori, i diritti e le libertà conquistate grazie alle lotte del passato quando il movimento comunista era forte. Ti chiediamo intanto se puoi esprimere solidarietà agli operai in lotta e come dovrebbe proseguire, secondo te la loro e la vostra mobilitazione?
Solidarietà attiva sempre, è nel mio DNA! Ho partecipato a delle iniziative, tra cui la vostra; la situazione delle vertenze e delle lotte da evento eccezionale è divenuto l’ordinario, e si concretizza sempre in sfavore delle lavoratrici e lavoratori, non solo con le delocalizzazioni, ma con contratti sempre più al ribasso o meglio da fame.
Una città come Terni, la “città d’acciaio”, dal XX secolo ad oggi ha basato la sua economia, e conseguentemente la comunità ternana, su acciaio e poco sulle bellezze naturali e storia che ha. Ora unico “polo di traino” rimane la mia Azienda Ospedaliera; da noi è molto forte l’indotto e l’esternalizzazione dei servizi, con la copertura di lobby partitiche in primis il PD, proseguendo con ditte e società cooperative vicine agli attuali fascisti ed integralisti della Lega.
Ormai “l’Umbria rossa” è solo un ricordo del passato, possiamo affermare che esiste una nuova schiavitù, moderna, contemporanea, comprendente tutte quelle situazioni di sfruttamento nelle quali le persone si trovano intrappolate e non ne possono uscire a causa di minacce, violenze, coercizioni e abusi dipotere subiti costantemente. E’ passato oltre un secolo da quando, in Italia, sono state approvate le prime leggi a tutela dei lavoratori. La normativa ha iniziato a farsi strada partendo dalla constatazione che, nell’ambito dei rapporti privati tra aziende e dipendenti, questi secondi non avevano abbastanza forza contrattuale per ottenere delle condizioni umane di lavoro e finivano per essere sfruttati, sottoposti ad un trattamento inaccettabile. Come già inteso prima, oggi, nonostante la presenza di un ricco corpo di leggi a tutela dei lavoratori, fenomeni di sfruttamento, più o meno marcato, dei lavoratori non sono del tutto venuti meno.
Io ritengo che la disoccupazione, la precarietà e lo sfruttamento non cadono dal cielo. Le nostre condizioni di “sopravvivenza” non le abbiamo scelte noi ma sono le conseguenze del sistema capitalistico e del suo antisociale meccanismo di funzionamento, ed in questo siamo uguali alle lavoratrici e lavoratori del privato ormai, come più volte detto. Da tempo ho smesso di credere che le leggi sono uguali per tutti e che a tutti sarebbe garantito il libero accesso al diritto al lavoro.