Domenica 21 giugno, sulla pagina facebook P. CARC Simpatizzanti Sardegna, abbiamo intervistato in diretta Claudia Zuncheddu, esponente della Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica.
Ne riportiamo la trascrizione per una fruizione più ampia.
Buona lettura
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Ciao Claudia, ti chiediamo di presentarti innanzitutto, parlarci anche in generale delle battaglie di cui la rete in difesa della sanità pubblica in Sardegna, di cui fai parte, o tu individualmente, hai o avete promosso sul tuo territorio in questi anni.
La rete in difesa della sanità pubblica sarda nasce come momento di necessità di mettere insieme tutte le varie realtà che si mobilitavano su questo tema, metterle in sinergia, perché i fermenti presenti in tutta la Sardegna erano fortissimi e sono fortissimi già da tanti anni. Per cui nel 2005 abbiamo fatto la scelta di coordinare tutte le lotte che erano presenti nei diversi territori della Sardegna. Abbiamo fatto grandi battaglie, devo dire, anche con certe originalità, perché nel momento in cui ci troviamo di fronte a una situazione politica senza più orientamenti e, quindi, una crisi di tutti i confini che storicamente hanno creato dei solchi che ci consentivano di sapere chi avevamo davanti, oggi quei solchi non ci sono più: che sia Centrodestra o che sia Centrosinistra oppure nuovi Movimenti, abbiamo un “blocco unico” che dobbiamo assolutamente fronteggiare e quindi la nostra non è più una contestazione da rivolgere a una parte politica, è una critica assolutamente al sistema che deve cambiare. Un sistema che paradossalmente ha sposato tutte le politiche neoliberiste che sono promosse in tutta Europa e a livello internazionale, la Rete Sarda ha avuto la capacità di estrapolare le lotte dai territori per inserirle in un contesto più ampio. Per cui oggi non solo in Sardegna portiamo avanti discorsi ampi uscendo appunto dal “locale”, ma siamo a livello nazionale e internazionale, ci confrontiamo con l’Italia e con l’Europa. Facciamo parte del coordinamento nato nella penisola, cioè il Coordinamento Nazionale della Sanità, cercando di allargare il fronte di lotta. Il blocco politico a cui ci troviamo di fronte è un blocco, inutile dire, molto forte e difficile da scardinare, ciò che viene chiesto a tutti i territori, non solo a noi sardi, è quello di mettere insieme le forze altrimenti non potremmo mai farcela, facendo discorsi che vadano oltre ogni ambizione e anche alla ricostruzione di vecchi Partiti politici. Noi come Rete siamo assolutamente oltre, da qui la necessità di far confluire tutte le volontà e le ribellioni nei diversi territori. L’originalità della Rete, tra l’altro, è stata quella di promuovere in tutti questi anni un’azione di opposizione nei territori: se all’interno delle Istituzioni, anche nella Massima Istituzione Sarda, non esiste più una maggioranza ben delimitata da un’opposizione, non esiste l’opposizione. L’opposizione tace e quindi vuol dire che ci sono delle volontà trasversali che portano allo scardinamento di un sistema sanitario pubblico e anche alla promozione della sanità privata. In Sardegna ci sono dei sistemi di privatizzazione spudorati, perché la privatizzazione viene inaugurata, contemporaneamente sono arrivate le multinazionali che anche in occasione dell’epidemia COVID sono riuscite a incassare grossi finanziamenti anche dalle casse sarde, quindi dalla Regione autonoma che ha finanziato 90 milioni da dirottare a tre strutture private che in teoria sarebbero dovute essere per il COVID ma che di fatto se ne sono guardate bene, perché nel momento in cui la salute non diventa una merce alla sanità privata non conviene più occuparsene, dunque secondo l’esperienza sarda chi in definitiva si è dovuto prendere la responsabilità della gestione della nuova emergenza è stato – ad esempio qui nel Cagliaritano – il Santissima Trinità che è un grande ospedale pubblico, che è fortemente impoverito. Il COVID ha insomma rivelato il fallimento della privatizzazione nel tutelare gli interessi collettivi. L’opposizione necessaria e da mettere in campo è cercare di organizzarsi nei territori per assumere un ruolo che non viene esercitato da quella che dovrebbe essere in realtà l’opposizione attuale. Noi l’abbiamo fatto in Sardegna attraverso numerosi incontri con le diverse parti istituzionali, facendo i conti con i livelli di conoscenza e di preparazione bassissima dalla loro parte nel far fronte a temi particolari, tra cui la sanità.
Finora quali sono stati i punti di forza della vostra battaglia e quali i limiti e le difficoltà che avete riscontrato?
La più grossa conquista per il momento è essere riusciti negli anni, innanzitutto, a portare in piazza decine e decine di migliaia di sardi, in quelle che sono state veramente delle grosse mobilitazioni che comunque hanno frenato, in una certa misura, lo smantellamento degli ospedali. Questo in parte, perché i nostri ospedali sono davvero molto impoveriti e questo processo di svuotamento dei servizi è avvenuto a tutti i livelli com’era previsto: praticamente la politica oggi esegue degli input, il diktat è “chiudete tutto”, quindi oggi gli ospedali pubblici devono essere svuotati a partire dai luoghi più disagiati, per poi colpire anche i grandi ospedali al servizio della Sardegna.
Abbiamo l’esempio dell’ospedale “G. Brotzu”, che è stato storicamente un ospedale al servizio di tutta la Sardegna con delle eccellenze, oggi è invece un ospedale in ginocchio come lo sono tutti gli altri. In città stanno chiudendo ospedali importantissimi e storici, come l’ospedale “Binaghi” che era un punto di richiamo per le malattie respiratorie che sta venendo smantellato. È un processo che non si riesce più a frenare, allora con le nostre lotte siamo riusciti a rallentare in parte la chiusura degli ospedali, ma questa mezza vittoria non basta. Il punto di forza è, dunque, stata la capacità di unire tutte le lotte, di confrontarci con le Istituzioni facendo un’opera di grandissimo disturbo, contemporaneamente presentando progetti grazie alle persone preparate nei nostri comitati. Abbiamo mandato documenti di proposte nelle sedi istituzioniali, fatto flash mob, iniziative e mobilitazioni e abbiamo avuto una grande risposta, segno che esiste una speranza di avere una sanità pubblica che non muore.
Il nostro punto di forza è la propositività: chiediamo di collaborare con Istituzioni che portano solo tagli inesorabili alla sanità, che non provvedono ad un servizio sufficiente anche per i malati di patologie ordinarie e non solo, in questa fase, a quelli colpiti dal COVID. Sino all’esplosione del COVID chi era affetto da patologie normali era già in una sorta di stato di emergenza, tuttavia oggi sono stati messi nel dimenticatoio. Arriviamo alla conclusione che i morti COVID non sono tanto quelli prodotti dal virus, bensì quelli che si aggravano grazie a patologie ordinarie già preesistenti e che non vengono curati. La contraddizione dei vertici della santità è stata proprio quella di far chiudere tutto: la logica comune vuole che se c’è emergenza sanitaria e arriva anche una nuova epidemia, a quel punto bisogna aprire e potenziare la sanità, dando risposte ai cittadini. Muoiono anche quelli che sono i servizi territoriali. A tal proposito cito sempre che abbiamo bambini con disagi psichiatrici che restano abbandonati a se stessi, se un disagio può essere corretto se si garantisce un’assistenza corretta, nel momento in cui essa viene meno significa che il sistema sta creando quelli che saranno i pazienti psichiatrici di domani.
È tempo di bilanci e assunzioni di responsabilità, facendo caso ai numeri reali e non a quelli ingannevoli: si cerca di dare responsabilità ai cittadini in tutti i sensi per deresponsabilizzare i vertici sanitari, un esempio sono gli spot che invitano i cittadini a versare un finanziamento per la Protezione Civile che è una branca del Governo. È il Governo quindi che da inadempiente non può ancora piegare i cittadini per finanziamenti privati e fa leva sul loro senso di responsabilità mentre con Bertolaso, ricordo, la Protezione Civile ha accelerato il processo di privatizzazione invece di recuperare gli ospedali pubblici come suggerito per questa emergenza sanitaria. Ci sono, inoltre, tendopoli costosissime e inutili, ma facilmente smontabili una volta finita la crisi, incamerando ancora finanziamenti pubblici: tutto pur di non recuperare le strutture smantellate, perchè riaprirle oggi vuol dire avere più difficoltà a chiuderle domani.
Parlaci di ciò che vivono i lavoratori della sanità. Che tipo di rapporto avete instaurato con loro? E con altre categorie di lavoratori? Quali provvedimenti avrebbero dovuto prendere Governo e Regione?
Innanzitutto quando parliamo di lavoratori ricordiamoci sempre di un dato: i disoccupati. Parlando di lavoratori del sistema sanitario, io sono un medico ma non scelsi di lavorare in un ospedale, perché ciò avrebbe implicato una censura dato che con l’aziendalizzazione del sistema sanitario pubblico esso viene gestito come un’azienda privata, il lavoratore per legge è imbavagliato e non può criticare. L’obbligo della fedeltà aziendale ha fermato una ribellione nell’ambito della sanità, che non si sente perché non può uscire dato che sono sotto ricatto, ma che comunque c’è. Inibiscono la stessa stampa che non può raccontare dato l’impedimento di trasmissione da ospedali agli organi giornalistici. Noi ci siamo espressi chiaramente per avere una stampa libera e plurale. Il problema della sanità va trattato in un contesto molto ampio dei diritti, tra cui l’accesso gratuito alle cure di qualità, il diritto a poter far circolare idee e informazioni. Un problema che passa inosservato che concerne i lavoratori ridotti ai minimi termini, in Sardegna la massa più significativa è quella degli inoccupati, ovvero coloro che non hanno mai avuto un contratto di lavoro e che rinunciano più spesso alle cure. Il Governo ha usato questa emergenza per nascondere tutte le vecchie inadempienze e per smaltarsi tutta la facciata, perché l’emergenza COVID è stata molto politicizzata, è stata talmente gestita male da renderlo un problema più grande di quel che è realmente, facendo risaltare problemi già esistenti. Tra queste inadempienze c’è tutto il potere libero concesso a Confindustria che ha esercitato fortissime pressioni sui politici locali e contemporaneamente sul Governo centrale. Quelle pressioni hanno fatto sì che i lavoratori lavorassero all’infinito per macinare profitto, ma a quale costo?
Allo stesso tempo c’è il problema della carenza del personale sanitario: in una situazione come questa bisogna assumere. In Italia i medici e gli infermieri sono pochi, sia per questa infamante chiusura all’accesso della facoltà di medicina sia per i medici in pensione che non vengono sostituiti. Infatti durante l’emergenza si sono ritrovati costretti a prendere medici militari, medici in pensione e medici pronti al pensionamento. Bisogna sbloccare tutti i problemi legati alla specializzazione dei nuovi medici, perché noi abbiamo un’infinità di nuovi medici che non sono operativi dati i blocchi nelle scuole di specializzazione. In un progetto favorevole alla privatizzazione, bastano pochi medici ridotti all’osso numericamente perché, in prospettiva, i cittadini che potranno pagare le compagnie di assicurazione per avere un’assistenza sanitaria sono un élite. Non c’è una spinta sul formare nuovi medici, la Sardegna è destinata a perdere una classe medica tutta sua di giovani e giovanissimi che non trovano lo sbocco necessario. Le misure immediate che dovrebbero fare tutte le Istituzioni di ogni ordine e grado, sono quelle di restituire tutti gli ospedali pubblici alla gente e con cure gratuite, di facile accesso e devono essere della massima qualità. Devono smettere di devolvere finanziamenti dalle casse pubbliche verso il privato, poiché anche nella situazione attuale emerge il fallimento dei tagli. Bisogna ripartire da questi elementi per impostare politiche concrete.
La Amministrazioni locali che posizione hanno? Quali misure positive hanno adottato? Sono state prese singolarmente o su spinta vostra?
Ci sono state delle manifestazioni molto importanti organizzate dalla Rete, dove le persone si sono ritrovate in prima fila, però è anche vero che ci sono state misure prese di posizione individuali di sindaci che fanno qualche pressione dietro le spinte delle lotte dei cittadini. È mancata, tuttavia, un’azione globale: ci sarebbe stata una forza enorme se tutti e 377 i sindaci si fossero mobilitati tutti insieme per i servizi sanitari territoriali. Quando queste cose non avvengono c’è un problema di fondo, ovvero i legami forti con le segreterie dei Partiti che danno orientamenti precisi e antipopolari di fronte ai quali bisogna disobbedire. Le prese di posizione dei sindaci sono state deboli e deludenti, incostanti e incoerenti. Non basta sfilare una tantum nelle manifestazioni, bisogna prendere posizione e darvi seguito. Ci sono dei problemi politici che vanno affrontati, ma questo, a mio avviso, richiede degli atteggiamenti nuovi, non possiamo usare vecchi metodi che hanno già fallito a fine ‘900. Bisogna uscire dai soliti schemi e creare delle sinergie per creare situazioni nuove, moderne, agili ed efficaci, ciò significa mettere insieme formazioni organizzate di base che creino un fronte popolare in grado di indirizzare e fare scelte politiche e non solo rivendicare.
Ci sono tuttavia delle obiezioni al ripristino e il potenziamento della sanità pubblica, esse sostengono che sono stati dei “carrozzoni” che spolpano le risorse pubbliche in nome dell’efficienza e delle poltrone. In questa obiezione c’è un aspetto di realtà. Come risponderesti a questa obiezione?
La Rete sarda chiede da sempre una riorganizzazione del sistema sanitario pubblico, che vuol dire tagliare gli sperperi dove ci sono davvero. Solo che invece di tagliare sperperi vengono tagliati diritti, non è lo stesso discorso. Purtroppo la sanità – nell’esperienza sarda – è la più grossa “mangiatoia” perché costituisce il 50% dell’intero bilancio della Regione, allora gli ospedali pubblici sono diventati luoghi di mangiatoie del mondo politico. L’infrastruttura pubblica deve essere sotto controllo popolare, ma i Partiti politici sono nati come garanti della democrazia non per lavorare all’interno delle Istituzioni, bensì per dare un assalto alle istituzioni democratiche portando mafia e corruzione. Il 6% dell’intero bilancio va proprio alla corruzione. Ci accusano che sono sedi di sperpero, sì, ma vanno rivisitati e vanno cacciati i Partiti politici che in ogni cambio di guardia riorganizzano l’assetto di funzionari e il loro apparato di amministratori a seconda del colore politico. In Sardegna il capo dell’assessorato alla sanità è un lombardo della Lega, molto distante dalle competenze in sanità perché la sua professione non gli conferisce alcuna conoscenza sulla sanità. Queste cose vanno debellate. Il problema è fortemente politico e la politica va rivisitata, non tenuta a capo della sanità.
Ti chiediamo un contributo anche in qualità di membro del Coordinamento Nazionale della Sanità. Questa realtà si sta attivando sull’emergenza sanitaria a tutto tondo cercando di fare rete con i vari coordinamenti, comitati e organismi regionali e locali. Uno degli argomenti più all’attenzione nelle ultime settimane è l’ipotesi di commissariamento della sanità lombarda. Per esperienza, sappiamo che spesso questo tipo di iniziative promosse da vari governi sono solo strumento di lotta tra vari gruppi e fazioni di potere, che però non risolvono le questioni. Qualcuno diceva:“In Italia se non vuoi risolvere un problema, nomina un commissario o crea una commissione”. Qual è il tuo punto di vista rispetto al commissariamento della sanità in una regione come la Lombardia, centro principale dell’emergenza sanitaria? Quali sono le strutture, gli organismi, che secondo te devono realmente avere un ruolo da protagonista nel commissariamento della sanità lombarda e nella verifica e controllo della gestione della sanità nelle altre regioni?
Questi commissariamenti sono delle opzioni assai superficiali, perché servono a fingere di cambiare una cosa quando, in realtà, non cambiano nulla. Nel gioco dell’alternanza oggi c’è il Centrodestra che, una volta andato, lascia posto al Centrosinistra, eccetera. Queste operazioni sono di retroguardia politica. Avendo frequentato l’università a Milano conosco bene la situazione sanitaria milanese, non c’è da sorprendersi di questo scenario dato il Governo in mano a centrodestra con la Lega, che sono pessimi amministratori. Nella richiesta di commissariamento istintivamente vogliamo che vengano cacciati, ma chi arriva dopo? Chi commissaria chi?
Per quella responsabilità c’è attualmente il centrodestra che amministra la Lombardia, ma non dimentichiamoci delle scelte politiche fatte dal Governo a Roma dove abbiamo al potere il PD con M5S, la tanto deprecata Lega sino a poco tempo fa era alleata del M5S. Noi dobbiamo fare chiarezza su questi dettagli che, sebbene risultino piccoli, sono la sostanza della politica. Anche in Sardegna si sono chieste le dimissioni dell’assessore alla sanità, dimissioni che la Rete non ha condiviso perché siamo contro e oltre a questo sistema: essendo l’assessore capitanato da un leghista, con le sue dimissioni avremmo avuto come a Roma un Governo PD-M5S, quest’ultimo in Sardegna è promotore della privatizzazione. Dobbiamo, dunque, avere chiaro questo scenario per avere la possibilità di inserirci bene in un contesto politico.
In Lombardia sta prendendo piede la parola d’ordine “commissariamento popolare” che vede i comitati che da sempre si sono attivati alla testa di questa iniziativa (Brigate di Solidarietà, Camera Del Non Lavoro, sindacati di base, ecc.). Che idea ti sei fatta in merito?
Il Coordinamento Nazionale della Sanità ha pubblicato un documento dove si specifica il fatto che il commissariamento ha senso solo se popolare, vale a dire che ci devono essere comitati organizzati, ci devono essere anche individualità esperte in materia per effettuare controlli. La politica o viene restituita alla base, ai cittadini, o il sistema torna nella solita direzione. Il COVID è stato un esempio di cattiva gestione dovuta anche alla mercificazione della salute. Dobbiamo puntare a proporre una partecipazione democratica dal basso, la situazione di emergenza lo ha dimostrato, sottolineando tutte le presenti repressioni e restrizioni degli spazi dem ocratici, grazie anche alla proposta di Riforma Costituzionale che aveva come obiettivi questi citati. Nonostante abbiano perso il referendum, in realtà è come se lo avessero vinto.Bisogna superare egoismi personali e individualisti, puntando alla restituzione del benessere alla gente. Auspichiamo che da questa situazione nasca qualcosa, organizziamoci per far sì che nulla peggiori.