APPELLO ALLE ISTITUZIONI, ALLA SOCIETÀ CIVILE, AI DETENUTI, ALL’ASSOCIAZIONISMO E AI LIBERI CITTADINI
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Covid-19: la sospensione dei colloqui, le rivolte, la rappresaglia.
La dichiarazione di emergenza sanitaria, a seguito della pandemia di covid-19, ha comportato come prima misura la sospensione dei colloqui nelle carceri.
In prigione, il rischio di contagio è alto, dato che – in condizioni “normali” – oltre la metà dei detenuti ha tra i quaranta e gli ottant’anni e che è altissima la percentuale di coloro che presentano almeno una malattia cronica o un sistema immunitario compromesso. Tuttavia, più che la paura di fare la “fine del topo” in caso di contagi, è stata la sospensione delle visite dei familiari a fare male e a dare il via alle rivolte di inizio marzo 2020. Da sempre, la letteratura carceraria e le testimonianze dei reclusi confermano che il colloquio è l’unica boccata d’aria vitale che permette di sentirsi ancora umani.
Dopo quarant’anni, i detenuti sono tornati sui tetti delle carceri, hanno occupato i corridoi, sono insorti contro un provvedimento che tagliava il loro unico contatto col mondo, coi figli, con i partner, coi genitori. Nelle molte rivolte – a Modena, Foggia, Salerno, Napoli, etc. – sono stati incendiati materassi e alcune suppellettili. Almeno seimila detenuti ne hanno preso parte. Quattordici hanno drammaticamente perso la vita. A corpi ancora caldi, senza alcuna autopsia, senza alcun esame tossicologico, istituzioni e organi di stampa si sono affrettati a dichiarare che tutti i decessi sono avvenuti per overdose da cocktail di droghe pesanti.
In molti istituti si sono registrate segnalazioni di vere e proprie rappresaglie, con trasferimenti in massa punitivi e violenze da parte del personale di polizia penitenziaria. In alcuni casi gli agenti avrebbero agito anche contro detenuti che non avevano preso parte alle rivolte, anziani e malati. I fatti di cronaca sono numerosi. Alcuni esempi:
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nel carcere di Opera gli agenti avrebbero usato manganelli sulle braccia e sulle mascelle dei prigionieri e avrebbero inferto calci nei testicoli;
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nel carcere di Melfi i detenuti sarebbero stati denudati, picchiati, insultati, messi in isolamento e costretti a firmare fogli in cui dichiaravano di essere accidentalmente caduti;
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nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, dopo una pacifica battitura delle sbarre (sistema non violento per fare rumore in segno di protesta), quattrocento agenti in tenuta antisommossa sarebbero entrati con volti coperti e mani guantate per reprimere violentemente i “rivoltosi”.
Decine di agenti hanno ricevuto avvisi di garanzia per il reato di tortura. I fatti sono ancora al vaglio degli inquirenti, ma destano grande angoscia e preoccupazione in ogni sincero cittadino democratico.
Cosa significa fare un colloquio in carcere.
Fare un colloquio di persona in carcere non è così semplice da sopportare né piacevole come si pensa. I detenuti sono perquisiti, denudati e osservati nell’ano. Anche i familiari sono perquisiti, sebbene in modo meno invasivo. Moltissimi prigionieri risiedono in istituti lontani dal luogo di residenza: per fargli visita, le famiglie devono percorrere centinaia di chilometri, moltissime ore di viaggio, con una spesa economica spesso insostenibile per l’aereo, il traghetto, il treno o l’automobile. Donne, anziani e bambini stanchi e provati dal lungo viaggio entrano in carcere per riabbracciare il loro congiunto, senza che nessuno offra loro un po’ d’acqua. Il colloquio avviene sotto l’occhio vigile dell’autorità, che interviene per impedire un bacio solo un po’ passionale tra marito e moglie, o per richiamare un bambino troppo vivace che ha il desiderio di alzarsi e correre qua e là. Terminato il breve tempo del colloquio, i saluti devono essere rapidi e i blindati si richiudono rinnovando ogni volta, senza pietà, la separazione.
Molti detenuti non hanno famiglia in Italia; moltissimi risiedono in regioni distanti da casa; per una moltitudine di famiglie il costo dello spostamento per un colloquio diretto è insostenibile.
Eppure, nonostante questo, il colloquio in carcere rimane l’unica cosa per cui valga la pena lottare, sebbene l’istituzione faccia il possibile per renderlo il meno appetibile possibile.
Perché tutto non vada perso.
Le dimostrazioni dei detenuti hanno ottenuto un risultato imprevisto e importante: la possibilità di accedere ai colloqui via Skype.
I colloqui via Skype non sono una novità legata alla pandemia. Erano stati avviati in via sperimentale in alcuni istituti e, con una circolare del 19 gennaio 2019, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e la Direzione Generale Detenuti e Trattamento hanno tratto un bilancio della sperimentazione dando il via alla possibilità del colloquio telematico ai detenuti di “media sicurezza”. La Circolare stabilisce che i collegamenti audio-visivi sono paragonabili ai colloqui ordinari e che li sostituiscono, per un massimo di sei collegamenti al mese della durata di un’ora. La piattaforma usata è Skype for business, che si avvale della rete intranet del Ministero della Giustizia e che pertanto “fornisce le garanzie necessarie in termini di sicurezza”. Il collegamento è visibile al personale incaricato da una postazione remota. In caso di comportamenti “non corretti del detenuto” o dei familiari, la comunicazione viene interrotta, con la conseguenza della interruzione del diritto alla video-chiamata da parte del detenuto coinvolto. Il collegamento telematico è dunque sicuro, controllato e pensato dall’Amministrazione Penitenziaria per “facilitare le relazioni familiari”.
Questo era lo stato dell’arte, rimasto sperimentale, fino allo scoppio della pandemia.
La novità è che molti detenuti hanno potuto accedere per la prima volta ai colloqui via Skype, finalmente introdotti in molti penitenziari italiani.
L’introduzione dei collegamenti audiovisivi – dice il garante dei detenuti di Livorno Giovanni De Peppo – alleggerisce “il clima di preoccupazione per la sospensione delle visite” e ha stemperato le tensioni. Questo conferma che le rivolte sono rientrate a seguito dell’introduzione dei contatti telematici con le famiglie, e che tale introduzione è da ritenersi una conquista.
L’emergenza scatenata dal covid-19 ha messo in luce l’importanza vitale dei colloqui per i prigionieri. Come evidenziato dai garanti per i detenuti, i colloqui via Skype dovrebbero essere estesi a tutti i detenuti, al di là della sezione di appartenenza. Non solo a quelli in media sicurezza, ma anche a quelli in Alta Sicurezza e in tutti gli altri reparti. In gioco ci sono i diritti all’affettività, all’amore familiare, alla genitorialità e al coniugio, che sono diritti inviolabili dell’Uomo e devono pertanto essere garantiti e protetti.
L’accelerazione dell’uso di collegamenti audio-visivi, in sostituzione dei colloqui di persona sospesi, è una vittoria dei detenuti: il sistema penitenziario si era infatti limitato in un primo momento a sospendere le visite ampliando il numero di telefonate, ed è stato grazie alle dimostrazioni che si è riusciti a strappare questa importante apertura.
L’ottenimento del colloquio via Skype permette a molti detenuti di evitare le profanazioni corporali della perquisizione integrale, di evitare il carico di fatica, di giornate lavorative perse e di aggravio economico delle famiglie. Ma non solo. Attraverso il monitor il detenuto ha potuto per la prima volta dopo molti anni rivedere la cucina di casa, la camera da letto, i giochi che i figli non possono portare in carcere. Ha potuto rivedere i colori e sentire i rumori della vita domestica che la memoria aveva cominciato a cancellare.
È il momento di ascoltare e di dare la parola agli “ultimi”. Da alcuni penitenziari si leva la voce che chiede di mantenere i colloqui audiovisivi anche una volta usciti dall’emergenza. Lo hanno chiesto, per esempio, i detenuti di Livorno in una lettera al Presidente della Repubblica e al Ministro della Giustizia. È importante raccogliere il loro appello perché è dalla sinergia tra “dentro” e “fuori” che si possono estendere diritti e si può far sì che le conquiste non vengano cancellate con un colpo di spugna.
Troppo spesso si dimentica che anche la popolazione detenuta è tutelata dalla nostra Costituzione e dalle carte internazionali dei diritti umani.
Troppo spesso si dimentica che ogni nostro diritto non è stato generosamente elargito, ma è stato conquistato con un carico di sangue e lotta, anche in condizioni estreme.
Troppo spesso si dimentica che i diritti costituzionali sono il risultato del sangue versato dalla lotta partigiana contro il nazifascismo. Che i diritti sindacali sono il risultato delle lotte dei lavoratori e del loro tributo di vite umane. Che i diritti di genere sono il risultato della mobilitazione di milioni di donne liberatesi dalla persecuzione e dalla discriminazione del patriarcato. Che il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti sono il risultato di una mobilitazione per i diritti civili da parte di quei settori della società che sono stati in grado di ascoltare le ragioni degli “ultimi”.
SI FACCIA NOSTRO L’APPELLO, PROVENIENTE DALLE CELLE, A CHI HA RUOLI E COMPETENZE PER INTERVENIRE, AFFINCHÉ I COLLOQUI AUDIOVISIVI VIA SKYPE NON CESSINO, SIANO ESTESI E GARANTITI A TUTTI I DETENUTI SENZA DISCRIMINAZIONI E SIA PERMESSO AL PRIGIONIERO DI SCEGLIERE TRA IL COLLOQUIO DI PERSONA E QUELLO AUDIO-VISIVO.
Perché tutto non vada perso; perché chi è morto, chi ha subito violenze e torture e chi ha avuto il coraggio di manifestare le proprie preoccupazioni sappiano che non tutto è stato vano; perché il nostro sentirci vicini ai “dannati della terra” sia fruttuoso di risultati in termini di solidarietà e di contributo al miglioramento delle condizioni di vita di tutti.
PRIMI FIRMATARI:
William Frediani, scrittore,
Silvia Fruzzetti, Segretaria della Federazione Toscana del P.CARC
Sandra Berardi, Pres. Yairaiha onlus,
Yairaiha onlus,
Carlo Alberto Romano, docente Università di Brescia,
Samuele Ciambrello, garante regionale dei detenuti Campania,
Francesca de Carolis, giornalista,
Mario Spada, architetto,
Vincenzo Scalia, criminologo University of Winchester,
Caterina Calia, avvocato,
Gerardo Pastore, docente Università di Pisa,
Francesco Maisto, garante dei detenuti Milano,
Eleonora Forenza, ex deputato, dirigente nazionale del Partito della Rifondazione Comunista,
Fabio Mugnaini, docente Università Siena,
Francesca Vianello, docente Università di Padova,
Giuseppe Mosconi, docente Università di Padova in pensione,
Francesco Ceraudo, ex Pres. Associazione Medici Penitenziari,
Nicoletta Dosio, attivista no TAV,
Giusy Torre, Yairaiha onlus,
Antonio Perillo, PRC-SE,
Giuseppe Lanzino, avvocato Yairaiha onlus,
Aurora d’Agostino, avvocato,
Mario Pontillo, volontario penitenziario,
Carmelo Musumeci, scrittore e attivista per l’abolizione dell’ergastolo,
Damiano Aliprandi, giornalista,
Mario Arpaia, pres. Ass. Memoria Condivisa,
Gianluca Schiavon, resp. naz. giustizia PRC,
Lisa Sorrentino, avvocato Yairaiha onlus,
Grazia Paletta, volontaria penitenziaria,
Pietro Ioia, garante detenuti di Napoli,
Ex DON, ex Detenuti Organizzati Napoli,
Francesco Cirillo, giornalista e scrittore,
Maurizio Nucci, ex pres. Camera Penale Fausto Gullo CS,
Domenico Bilotti, docente Università Magna Grecia,
Giovanni Russo Spena, PRC,
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea,
Italo Di Sabato, Osservatorio sulla Repressione,
Osservatorio sulla Repressione,
Giuseppe Ferraro, docente Università Federico II Napoli,
Francesca Rinaldi, Milano,
Francesca Montalto, docente,
Paolo Conte, avvocato,
Fortunato Maria Cacciatore, docente Università della Calabria,
Sara Manzoli, operatrice Sociale coop. Aliante Modena,
Giorgio Canali, musicista,
Giuseppe Milazzo, avvocato,
Maria Grazia Caligaris, Ass. Socialismo, diritti e riforme,
Frank Cimini, giornalista,
Vittorio Da Rios,
Pasquale De Masi, Yairaiha onlus,
Valerio Guizzardi, Papillon Rebibbia – sez. Bologna,
Brunella Bertucci, comitato Piazza Piccola Cosenza,
Partito Risorgimento Socialista,
Maurizio Neri, part. Risorgimento Socialista Roma,
Ugo Maria Tassinari, scrittore,
Ilario Ammendolia, scrittore,
Antonio Esposito, scrittore,
Yasmine Accardo, Campagna LasciateCIEntrare,
Valentina Colletta, avvocato,
Rocco Altieri, Centro Gandhi Pisa,
Gianfranco Castellotti, Centro Culturale Berkin Elvan,
Maria Grazia Vanelli, operaia, Centro Culturale Pablo Neruda,
Gea Tahiri, Assistente sociale,
Ass. Il Viandante, Roma,
Genny Federigi, Pres. Ass. Gabbia/No Roma,
Ass. Gabbia/No, Roma,
MGA sindacato nazionale forense,
Beppe Battaglia, volontario penitenziario,
Pietro Vangeli, Segretario Nazionale del P.CARC
Pablo Bonuccelli, Direttore di Resistenza (P.CARC)
Igor Papaleo, Direttore delle Edizioni Rapporti Sociali