[Roma] Intervista a Ina Camilli, coordinatrice del Comitato libero a difesa dell’Ospedale di Colleferro – Coordinamento territoriale

Pubblichiamo l’intervista rilasciata da Ina Camilli, coordinatrice del Comitato libero a difesa dell’Ospedale di Colleferro – Coordinamento territoriale.

Riportiamo questa esperienza, nata nel 2015 a seguito della chiusura del reparto maternità del L.P. Delfino da parte delle amministrazioni locali e a cui hanno aderito operatori della sanità, pensionati e cittadini attivi, come ulteriore esempio della necessità di creare e organizzare comitati, organizzazioni popolari, nelle aziende sanitarie e nei territori, nei quartieri, che decidano di affermare il diritto alla salute mettendo in campo le misure necessarie per far fronte agli effetti della crisi.

Durante l’emergenza da Covid-19 esperienze come questa sono state e restano preziose perché solo grazie alla mobilitazione dei lavoratori e dei comitati popolari si è ottenuta la chiusura delle produzioni non immediatamente essenziali, l’adozione di DPI, le sanificazioni e la salvaguardia degli stessi operatori della sanità messi sotto ricatto dell’obbligo di fedeltà aziendale.

É vero che i lavoratori e le masse popolari non sono ancora organizzati, sono poco coordinati e in ordine sparso, ma è proprio per questo che è necessario rafforzarne l’organizzazione. Bisogna moltiplicare organismi come il Comitato libero a difesa dell’Ospedale di Colleferro in ogni ospedale e in ogni città perchè anche se le condizioni di partenza sono difficili, solo organizzandosi e coordinandosi con altri, i lavoratori e le masse popolari riescono a far valere la loro forza.

Esemplare è l’esempio riportato nell’intertvista a Edda Adiansi, infermiera in pensione degli Ospedali Riuniti (diventati successivamente Ospedale Papa Giovanni XXIII) di Bergamo nella quale racconta la sua esperienza prima all’interno del Comitato di Lotta e poi del Consiglio dei Delegati dell’ospedale.

***

  1. Quando nasce il Comitato libero a difesa dell’Ospedale di Colleferro e su spinta di quali necessità?

Il Comitato nasce a fronte dello smantellamento dell’ospedale e dei servizi sanitari e si costituisce nel 2015, ma la battaglia inizia molto prima da parte di altri Comitati cittadini. La protesta prende una forma organizzata quando il 5 luglio 2015, subito dopo il rinnovo dell’Amministrazione comunale, la regione Lazio trasferisce, anzi chiude, i reparti materno-infantili del L.P. Delfino dopo aver sfruttato il consenso popolare a scopi elettorali. La manifestazione indetta dalla cittadinanza – soprattutto mamme con le carrozzine – viene “bloccata” prima che possa raggiungere la piazza centrale!

  1. La maggior parte dei comitati attivi in tema sanitario hanno fatto propria l’attuazione dell’articolo 32 della Costituzione italiana. Che ruolo ha questo obiettivo nella vostra attività?

La tutela della salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” è uno degli scopi fondanti e prioritari di questo Comitato. Colleferro si trova nella valle del Sacco dove nel 2005 è stata dichiarata l’emergenza ambientale e sanitaria e riconosciuta area SIN (Sito di interesse nazionale da bonificare). Qui esistono importanti realtà industriali ad alto impatto ambientale eppure non abbiamo strutture e servizi a garanzia della salute pubblica per la prevenzione e la cura.

  1. Qual è la composizione attuale del comitato (utenti, lavoratori della sanità, cittadini attivi in altre associazioni o nei sindacati, ecc.)? Essa si è modificata nel corso del tempo e se questo è avvenuto a cosa lo imputi? Vi siete dati una sorta di un’organizzazione interna (responsabilità, gruppi di lavoro, ecc.)?

Del Comitato fanno parte operatori sanitari, soprattutto in pensione, e cittadini già attivi in altre organizzazioni. Abbiamo realizzato una fitta rete di rapporti con tanti soggetti sociali organizzati nel territorio, ma non abbiamo alcun rapporto di dipendenza con forze politiche partitiche. Dal Comitato si sono allontanate le persone che non hanno interesse ad impegnarsi in modo costante, ma abbiamo sempre energie e apporti nuovi che vengono dalla cosiddetta società civile. Nella nostra organizzazione interna oltre al coordinatore è stato eletto un portavoce. Insieme svolgiamo un intenso lavoro di tessitura all’interno del comitato e all’esterno per costruire rapporti qualificati.

  1. Vi coordinate con altre realtà attive in campo sanitario a livello regionale e/o nazionale? Se sì, quali sono le battaglie comuni passate e presenti? Quali le forme che date alle vostre mobilitazioni? I limiti principali (interni ed esterni) che riscontrate?

Ci siamo organizzati da subito come Coordinamento territoriale per sviluppare una rete locale, regionale e nazionale con cui interagire, data l’importanza di non essere isolati, scopo dei nostri avversari. Nella regione Lazio sono molti gli ospedali chiusi, depotenziati, definanziati e il disagio per le mancate risposte ai bisogni degli utenti è molto avvertito. Proprio per questo abbiamo contribuito a costituire presso l’ospedale di Colleferro la sezione del Tribunale per i diritti del malato di CittadinanzAttiva. Le battaglie comuni le abbiamo fatte organizzando manifestazioni di protesta, flash mob, campagne sui social, manifesti pubblici, volantinaggi, gazebo, banchetti, raccolta firme, anche con i comitati degli altri paesi, a Colleferro, Palestrina, Tivoli, Anagni, Velletri, Anzio-Nettuno, Roma, davanti la sede della Regione Lazio, ecc.

Il limite più importante è la partecipazione dei cittadini. Il 90 per cento ha comportamenti di indifferenza, di conflitto di interessi o di complicità con la cattiva politica.

  1. L’emergenza COVID-19, ha esasperato problemi già esistenti a fronte di un processo pluridecennale di smantellamento della sanità pubblica, come è stata gestita sul vostro territorio, quali le criticità emerse?

Il nostro ospedale appartiene alla Azienda Sanitaria Locale (ASL) Roma 5 che con la pandemia ha visto la trasformazione dell’ospedale di Palestrina in centro Covid, lasciando il distretto scoperto e congestionando quelli di Colleferro e Tivoli. Sono iniziate subito le proteste prima del Sindaco e poi di associazioni e comitati. Anche il Valmontone Hospital, che non è peraltro un ospedale, ha bloccato le attività. Di fatto la ASL ha cercato di garantire le urgenze, senza riuscirci, e c’è stato molto disorientamento per i pazienti. I disservizi sono stati notevoli e li hanno pagati i cittadini: in realtà si è potuto curare solo chi era in grado di rivolgersi alla sanità privata! Altro che diritto di accesso alla sanità pubblica!

  1. Il vostro Comitato si rapporta con le autorità locali? Che ruolo hanno i sindaci e gli amministratori locali nella lotta per la sanità pubblica? Quali misure positive hanno adottato se ne hanno adottate? Si è trattato di azioni prese individualmente o su spinta vostra, di altre associazioni e della cittadinanza?

Il Comitato ha ricercato in ogni modo di instaurare un rapporto con l’amministrazione comunale che non ha portato a nulla di positivo. Siamo sgraditi e delegittimati dal Comune di Colleferro che non intende avere rapporti con noi. Il ruolo dei Sindaci, quale massima autorità sanitaria del territorio, è fondamentale quando non è volto a procacciare consensi personali. La lotta libera da condizionamenti la fanno i cittadini, gli amministratori preferiscono indossare la fascia e fare le passerelle. Gli assessori alla sanità e i consiglieri sono spesso impreparati e comunque rispondono agli ordini del partito, non ai bisogni dei cittadini che li hanno eletti. Basta partecipare ai pochissimi Consigli comunali dedicati a questo tema.

Nonostante le criticità del L. P. Delfino non ci sono state misure adottate a favore della sanità, salvo quelle di propaganda, gli annunci, le foto, i comunicati, i manifesti, le promesse e le giornate storiche!

Abbiamo condotto una tenace battaglia per costringere il Comune di Colleferro a ricorrere al TAR contro il trasferimento coatto dei reparti materno-infantili, ma esso ha poi manifestato la volontà di abbandonare la causa al suo destino affinché il ricorso venisse respinto.

  1. Nell’ordinamento italiano esiste una legge che sancisce l’obbligo di fedeltà aziendale che di fatto è un bavaglio che limita la libertà di espressione e di informazione dei lavoratori sui luoghi di lavoro verso l’esterno. Questa legge è da sempre utilizzata anche nella sanità per far fuori i lavoratori più combattivi e con l’emergenza COVID-19 è cresciuto a dismisura il numero di operatori sanitari che per aver violato l’obbligo è incorso in provvedimenti disciplinari che prevedono il licenziamento. Il Comitato ha avuto modo di confrontarsi con questa problematica? Che posizione avete in merito a questa legge?

Non posso riferire di casi di cui siamo venuti a conoscenza per non mettere in difficoltà chi si è affidato al Comitato, ma ci sono state denunce nei confronti di operatori sanitari che hanno avanzato lamentele in pubblico.

Riteniamo che ciò sia una grave limitazione delle libertà individuali dei lavoratori, su cui viene esercitata la pressione della Direzione Sanitaria, perché una cosa è screditare l’azienda presso cui si lavora senza motivo, altra cosa è rappresentare, in forme lecite, le problematiche allo scopo di affrontarle per risolverle. La ASL mette tutto a tacere cercando di intimidire il personale in servizio. La legge che consente ciò è suscettibile di essere giudicata incostituzionale nella sua applicazione e deve essere modificata.

  1. In questa emergenza abbiamo visto organismi come il Comitato contro la chiusura dell’ospedale San Gennaro e la Consulta Popolare Sanità di Napoli promuovere attività come autoproduzione di mascherine e indicazione delle misure necessarie a fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Come si sta muovendo l’organismo di cui fai parte, in questa emergenza? Quali attività sono state promosse? Quali pensi possano essere promosse?

Non abbiamo promosso misure anti-Covid perché non avevamo le risorse per farlo, salvo rispondere agli interventi che ci sono stati richiesti, monitorare la situazione a livello locale, fare informazione attraverso i social, dare aggiornamenti sui contagi, ecc. Soprattutto abbiamo lasciato operare le Autorità pubbliche affinché la comunicazione fosse univoca, ma ci sono state riferite mancanze molto gravi non addebitabili tanto alla straordinarietà della situazione quanto alla superficialità.

  1. Quali sono a vostro parere le misure pratiche da prendere immediatamente per garantire a tutti il diritto alla salute? Pensate che in qualche modo queste misure possano essere imposte “dal basso”? È possibile ottenere risultati tangibili e duraturi restando interni a un sistema socio-politico che ha nel profitto a ogni costo la sua stella cometa? La lotta in difesa della sanità pubblica non è forse anche lotta per l’affermazione di un ordinamento politico e sociale superiore?

Il diritto alla salute deve essere garantito perché è un diritto costituzionale e universale. Ma a Colleferro e nella valle del Sacco non lo è perché siamo la “valle dei veleni”. Né abbiamo garantito il diritto alle cure perché l’accesso è limitato, vista la destrutturazione del Servizio Sanitario Nazionale e le scarse possibilità per la stragrande maggioranza dei cittadini di accedere alla sanità privata.

Non è possibile imporre cambiamenti socio-politici dal basso se prima il sistema non si autoriforma dall’interno. E’ tempo di pensare ad un nuovo ’68 per una rivoluzione sociale nel senso etico ed ecologico del termine, che abbatta civilmente il sistema di potere economico che governa la sanità pubblica, dove insieme alla scuola, si è aziendalizzato il servizio. Il marcio non è solo il profitto, ma la corruzione, la malasanità, la cattiva politica, le carriere facili, i compromessi sulla pelle dei pazienti, i guadagni facili, la mancanza volontaria di controlli, la perdita del senso di comunità.

Dal mio punto di vista la lotta in difesa della sanità pubblica, come della scuola o dei trasporti, è volta ad affermare la centralità del cittadino e non di chi lo rappresenta, ma è utopico pensare che per questa via si possa affermare un nuovo ordinamento politico. Non siamo appunto nel ’68.

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