In una intervista rilasciata il 31 maggio a Repubblica, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria eletto proprio durante l’emergenza Covid-19 (perché tra i principali fautori della riapertura a tutti i costi), afferma a chiare lettere che nulla sarà più come prima.
Quello che dice Bonomi è vero, niente sarà più come prima.Il Presidente di Confidustria arriva a questa conclusione a partire dalla concezione borghese e dal terrore suoe della pletora di affaristi di cui si fa capofila di perdere i loro affari in concorrenza con i gruppi di capitalisti stranieri, gli intrallazzi e i privilegi che hanno. Da questo punto di vistal’intervista a Bonomi finisce goffamente per smascherare anchela retorica da “governo di unità nazionale” che i vari esponenti dei partiti delle Larghe Intese e il M5S promuovono, uniti alla Sinistra Borghese tradizionale che vi fa da eco, affermando la necessità di tornare alla normalità. Qui non si tratta di “tornare alla normalità” o meno, ma di fare gli interessi di Confindustria oppure delle masse popolari.
Come stanno veramente le cose.
Carlo Bonomi utilizza l’intervista a Repubblica per attaccare il governo e per ritagliare per sé e per gli industriali italiani la fetta più grossa dei miliardi di euro necessari a far fronte all’emergenza. Fa il paio con la recita di Conte, di Zingaretti, degli altri esponenti delle Larghe Intese che in nome dei profitti da far fare a Confindustria e ai padroni sono mesi che blaterano di ripresa, investimenti, finanziamenti per il paese che si traducono in fiumi di denaro pubblico nelle casse dei privati e non di certo delle masse popolari. (leggi anche il punto sulla situazione politica italiana descritta nell’articolo“È ora di chiudere il teatrino” – Resistenza 06/2020)
La verità è che dall’emergenza sanitaria non si esce né con le ricette di Confindustria e i famosi “investimenti”, né mettendoci nelle mani di M5S e PD. Quello che sia Bonomi, sia il Governo Conte 2 che la Sinistra Borghese non dicono, è che l’emergenza sanitaria è tutt’altro che fermata. Ci sono tutt’ora picchi di contagio e numerose sono le inchieste e le denunce per la falsificazione di dati e numeri rispetto all’emergenza Covid-19, il tutto a fronte del fatto che non è stato trovato ancora un vaccino. Non dicono nemmeno che l’emergenza Covid-19 non è caduta dal cielo, ma che ha messo in luce e fatto scoppiare un’emergenza sanitaria che nel nostro paese (e negli altri paesi imperialisti) esiste da anni ed è il risultato dell’eliminazione delle conquiste strappate con la prima ondata della rivoluzione proletaria (la sanità pubblica, l’educazione sanitaria di base, il Sistema Sanitario Nazionale, la cura e la tutela delle infermità mentali, la chiusura dei manicomi, ecc.) attraverso la dismissione del SSN, dell’intossicazione delle masse popolari rispetto agli stili di vita, della mercificazione della salute (la salute è sempre più appannaggio di classe, una merce a cui ha diritto chi se la può comprare), dell’inquinamento e della devastazione dell’ambiente.
La privatizzazione della sanità è uno degli aspetti più evidenti e odiosi del “programma comune” che borghesia imperialista attua da quando, a seguito del declino del movimento comunista, ha ripreso in mano la direzione del corso delle cose. Infine, l’emergenza non è solo sanitaria ma anche economica e sociale: l’aspetto sanitario dell’emergenza è stato negli scorsi mesi quello più evidente e urgente. Via via per ampie fasce delle masse popolari l’emergenza è diventata anche economica e sociale: alle mobilitazioni per la sicurezza sui posti di lavoro (e alla continuità di salario per gli operai delle aziende capitaliste) e all’azione mutualistica delle BdiS (la prima forma di organizzazione per fronteggiare l’emergenza economica che le masse popolari si sono date), si sono aggiunte le mobilitazioni per il reddito di emergenza, per l’estensione del reddito di cittadinanza, per lo scorrimento delle graduatorie, per la stabilizzazione dei precari e per le assunzioni a dimostrazione che la “normalità” di cui parla il Governo Conte 2 è stata la premessa del disastro in cui versa il paese e che quanto afferma Bonomi rispetto all’uscita dalla crisi è quanto NON si deve fare garantire una vita dignitosa alle masse popolari e ai lavoratori di questo paese.
Chi ci ha portato fino a questo punto non ha alcuna soluzione positiva. Già da mesi le masse popolari con alla testa la classe operaia si stanno mobilitando per conquistare condizioni di vita e di lavoro dignitose: dobbiamo trasformare questa lotta giusta e sacrosanta in lotta per dirigere il paese, con un governo espressione della classe operaia e delle masse popolari organizzate.
Per salvare e ricostruire il paese serve un governo di emergenza delle masse popolari.
Le misure necessarie per fare fronte efficacemente e nell’interesse delle masse popolari alla crisi sanitaria, economica e sociale prodotta dal Covid-19 sono:
- Assunzione immediata e con procedura d’emergenza del personale sanitario necessario alla cura dei contagiati e degli altri malati, stabilizzazione di tutto il personale precario, integrazione del personale di Emergency, di Medici Senza Frontiere e di altre organizzazioni simili operanti nel nostro paese.
- Requisizione senza indennizzo degli ospedali privati e degli edifici vuoti di proprietà delle grandi immobiliari, del Vaticano, delle Congregazioni e Ordini religiosi e dei ricchi, impiego degli ospedali e di tutte le risorse sanitarie delle Forze Armate, riapertura dei presidi ospedalieri chiusi, uso degli edifici vuoti a disposizione dello Stato, delle Regioni, dei Comuni e di altri enti pubblici per allestire in tempi rapidi reparti di terapia intensiva e posti letto
- Conversione, organizzata su scala nazionale e con una visione d’insieme, delle aziende che possono facilmente produrre presidi per la cura dei malati, per la protezione del personale sanitario negli ospedali e per la prevenzione dei contagi nelle aziende e nelle zone d’abitazione
- Sanificazione – con frequenza decisa in base al rischio di esposizione al contagio – di ospedali, aziende, supermercati, farmacie e altri centri di distribuzione di beni e servizi essenziali, strutture residenziali per anziani, disabili, carceri, campi di concentramento degli immigrati e di tutte le strutture e luoghi d’abitazione e lavoro, strade e mezzi di trasporto
- Distribuzione alla popolazione e fissazione amministrativa dei prezzi a cui vengono venduti i presidi sanitari e dispositivi di protezione individuale (DPI)
- Garanzia di salario dignitoso e condizioni di lavoro sicure a chi continua a lavorare per produrre beni e servizi necessari, blocco dei licenziamenti, stabilizzazione dei precari e nuove assunzioni a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
- Chiusura temporanea delle aziende finché la loro produzione non diventa indispensabile per la popolazione, garanzia di salario pieno ai lavoratori per tutto il tempo in cui le aziende restano ferme, blocco dei licenziamenti e prolungamento dei contratti precari.
- Integrazione delle produzioni essenziali svolte da lavoratori autonomi e assegnazione di un reddito dignitoso e sospensione di tasse, mutui, ecc. per i lavoratori autonomi che non svolgono attività essenziali.
- Mobilitazione dei disoccupati con assegnazione di un salario e, su base volontaria, dei lavoratori delle aziende temporaneamente chiuse, degli studenti che hanno superato la maggior età e dei pensionati in buona salute, per svolgere le attività necessarie alla lotta all’epidemia.
- Indulto per i detenuti sociali e loro assegnazione a lavori utili per far fronte all’epidemia, con assegnazione di un salario e di un’abitazione a chi ne è privo; lo stesso per i migranti attualmente reclusi in centri comunque denominati.
- Sospensione degli sfratti a tempo indeterminato, assegnazione di un’abitazione dignitosa a chi ne è privo o vive in abitazioni insalubri e che non garantiscono dal contagio.
- Mobilitazione delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate per i controlli negli ospedali e nelle aziende, per impedire speculazioni e usura, per i lavori utili a far fronte all’epidemia, integrazione con Brigate di Solidarietà.
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ECONOMIA 31/5/2020
Intervista al nuovo presidente di Confindustria
Bonomi “Questa politica rischia di fare più danni del Covid”
di Roberto Mania
ROMA «Questa politica rischia di fare più danni del Covid», dice Carlo Bonomi, 54 anni, presidente di Confindustria da undici giorni. «Non voglio passare come una Cassandra — aggiunge — ma la narrazione secondo cui una volta passata la pandemia tutto tornerà come prima è una falsità bella e buona. La realtà è un’altra».
E, allora, com’è la realtà?
«Guardi, questo è un Paese che si è abituato ad essere anestetizzato. Io non sto cercando le polemica, non sono contro a priori. Sto cercando di mettere tutti davanti alla realtà: gli imprenditori sono fortemente preoccupati. In autunno molte imprese non riapriranno, altre dovranno ridimensionarsi. Non sappiamo cosa succederà domani, che ne sarà delle commesse, degli ordini, dei fornitori».
Ha detto che ci sarà un milione di licenziamenti? È una minaccia? Una sfida al governo? E la responsabilità sociale delle imprese che fine fa?
«Ho detto quel che sanno tutti coloro che ogni mattina vanno in azienda a lavorare. Il governo ha bloccato i licenziamenti fino ad agosto. Ma il lavoro, i posti di lavoro, non si gestiscono e non si creano per decreto. Serve una strategia, una visione, un’idea di quale Paese vogliamo costruire. Bisogna smetterla di guardare esclusivamente al dividendo elettorale».
Dica lei quello che farebbe, visto che il ceto politico le appare tutto ripiegato su se stesso alla ricerca del consenso per il prossimo appuntamento elettorale.
«Lo ha detto molto bene il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Bisogna puntare sulla crescita: sono venticinque anni che il nostro Paese perde produttività, allontanandosi sempre più dai concorrenti. E la crescita dipende anche da dove si allocano le risorse: da decenni si aumenta la spesa corrente (il dividendo elettorale) a scapito degli investimenti nelle infrastrutture, nella sanità, nell’innovazione e nella ricerca, nelle politiche per la sostenibilità ambientale e sociale, nelle politiche attive per il lavoro anziché annegarle nel reddito di cittadinanza o nei navigator. A proposito qualcuno sa dove sono andati a finire? Non si fa così, è uno spreco di risorse inaccettabile».
Al netto del reddito di cittadinanza, che comunque ha dimostrato di essere utile in questa drammatica crisi, sono i settori in cui anche il governo dice di volere intervenire utilizzando la risorse che arriveranno dal Recovery Fund europeo.
«Siamo alla solita politica degli annunci. Servono i fatti. Ci sono stati già tre decreti per affrontare l’emergenza: soldi a pioggia, senza mai guardare al futuro. Il decreto liquidità non ha messo liquidità nelle casse delle aziende mentre la cassa integrazione la stanno anticipando le aziende. Le stesse che non hanno liquidità perché sono in crisi. È una follia.
Bisognerebbe cambiare passo perché ho la sensazione che il governo, e la politica in generale, tendano a comprare tempo, a prendere a calci la lattina e spostarla un po’ più in là».
Il governatore, che lei ha richiamato, non ha bocciato però gli interventi del governo.
«Ha giustamente evitato di essere strumentalizzato dalla politica. Ma noi i nostri compiti a casa non li abbiamo fatti. La politica dello struzzo alla lunga non paga e può fare peggio del Covid. Lo si vedrà quando scopriremo che il Pil è caduto di dieci punti, allora dovremo faremo tutti i conti con la realtà».
Non le pare un po’ esagerato paragonare il balbettio della politica al dramma del coronavirus?
«Senta, questo è un Paese, con la politica in testa, che si sta appassionando a una discussione surreale: quando e come andare in ferie. Un Paese bloccato che discute sulle vacanze! Mi auguro che il Parlamento italiano non chiuda ad agosto, sarebbe davvero una delusione. Sia chiaro: Confindustria resterà aperta».
Voi industriali siete sempre pronti a dare lezioni, a fissare l’agenda degli altri. Un’autocritica mai? La crisi, tra le altre cose, ha dimostrato la fragilità del nostro capitalismo: aziende piccole, sottocapitalizzate, indebitate, familiari e chiuse ai manager. Mi fermo.
«Il giorno in cui mi sono candidato ho detto ai miei colleghi: “Se vogliamo cambiare l’Italia dobbiamo cambiare noi per
primi”».
Come?
«Anche noi abbiamo commesso degli errori. Il voto del marzo 2018 è stato un voto contro un intero ceto dirigente, dunque anche contro di noi».
Quali errori avete commesso?
«Uno, innanzitutto: il Sud. Ne abbiamo parlato tanto, ma avremmo dovuto fare di più. E poi non aver interpretato correttamente come stessero mutando le disuguaglianze, non più solo Nord-Sud ma anche centri urbani e periferie. Ci siamo attardati per troppo tempo sull’idea del “piccolo è bello”. Invece non è politicamente scorretto chiedere di sostenere le medie e grandi imprese, anche le nostre “multinazionali tascabili” perché vuol dire aiutare tutta la filiera produttiva».
Mi permetta: anche qui poca visione. Però è apprezzabile, quasi un inedito, la sua analisi sui ritardi delle imprese. Cosa chiede al sindacato?
«Di cambiare epoca, di smetterla di guardare il lavoro dallo specchietto retrovisore: il mercato del lavoro è sottoposto ad un processo di transizione radicale. Nulla sarà come prima. Bisogna puntare sulla produttività ancor prima di parlare di aumenti retributivi».
Visco ha proposto un nuovo “contratto sociale”. Che ne pensa?
«Favorevole. Con umiltà bisogna mettersi tutti intorno ad un tavolo per trovare la via d’uscita. Altrimenti ho paura che si metteranno le mani sui risparmi di imprese e famiglie per far fronte al debito pubblico».
Teme una patrimoniale?
«Non è una questione di patrimoniale. Ma una volta che la Banca centrale avrà diminuito gli acquisti dei nostri titoli pubblici dove pensa che si andranno a prendere i soldi?».
Diceva del sindacato. Pensa di proporre una revisione del modello contrattuale, riducendo il peso degli accordi nazionali?
«Il contratto nazionale va ridotto. Deve diventare una cornice esile per affidare al contratto di secondo livello, in azienda, un ruolo preponderante»,
Sa cosa le risponderà Landini?
«Immagino, ma il futuro è un altro. Le aziende sono pronte a coinvolgere un sindacato aperto e collaborativo nelle scelte organizzative. Non mi pare poco».