Con l’emergenza sanitaria scatenata dal Covid-19 le istituzioni hanno letteralmente abbandonato a sé stesso il mondo della scuola e dell’istruzione. Gli istituti scolastici sono stati i primi a chiudere, ma al corpo docente non è stata fornita nessuna indicazione su come proseguire le lezioni, col risultato che, nelle prime settimane, le singole scuole e classi hanno fatto quello che potevano, provando a mettere delle toppe ai problemi che emergevano. La situazione non è migliorata col tempo: il Ministero dell’Istruzione ha adottato infatti delle misure (ma più che altro indicazioni) per incentivare la cosiddetta Didattica a Distanza (DaD) e definire in che modo si sarebbe dovuto concludere l’anno scolastico, ma lo ha fatto procedendo in maniera contraddittoria e schizofrenica: le scuole riapriranno a maggio, anzi no; si può bocciare, anzi no; gli esami di fine anno si faranno a distanza, anzi no; assumeremo i precari della scuola, anzi no, o meglio sì, ma pochi! Insomma, un bel pasticcio!
Le problematiche con cui si sono dovuti confrontare insegnanti, alunni e genitori sono state le più varie. Fare lezione a distanza ha comportato confrontarsi con la mancanza di strumenti (connessione Internet e computer che non tutte le famiglie possono permettersi); con una diversità di approccio (degli insegnanti come degli alunni) che non è affatto scontata; con un aumento delle ore di lavoro per il corpo docente. Gli insegnanti sono stati costretti ad abdicare al loro ruolo di educatori a 360 gradi che si concretizza non solo nello spiegare una lezione, ma nell’essere un reale punto di riferimento per tutte le problematiche che bambini e ragazzi si trovano a vivere. Inoltre gli studenti che a scuola vengono normalmente seguiti dagli insegnanti di sostegno, si sono ritrovati senza questa figura fondamentale e ciò ha determinato gravi ricadute sia sui ragazzi che sulle loro famiglie.
Oggi che siamo nella cosiddetta “fase 2” la situazione per il mondo della scuola non è cambiata di una virgola. Il Governo ha deciso di non far riaprire le scuole e nel DL Rilancio del 13 maggio il capitolo sull’istruzione pubblica è tutt’altro che chiaro ed esaustivo. L’obiettivo dichiarato è quello di riaprire a settembre in sicurezza e di assumere il personale precario. Se però andiamo oltre la propaganda, vediamo che di concreto c’è ben poco: i concorsi (che non si sa quando e come si svolgeranno – sicuramente non prima dell’inizio del nuovo anno scolastico) dovrebbero stabilizzare circa 32mila insegnanti precari a fronte dei 200mila che, secondo le stime, servirebbero in tempi “normali” e i fondi stanziati (circa 1,5 miliardi di euro destinati quasi esclusivamente al potenziamento della DaD e alla digitalizzazione) sono assolutamente insufficienti.
Mentre vengono elargiti più di 6 miliardi di euro a FCA, sotto forma di prestito garantito dallo Stato, per la scuola ci sono solo le briciole!
La sanità ha certamente pagato il prezzo più grande, ma anche la scuola ha risentito pesantemente degli effetti di una situazione che era emergenziale anche prima della pandemia. Lo smantellamento, pezzo dopo pezzo, dell’istruzione pubblica viene da lontano, da decenni di riforme che hanno minato il diritto allo studio per i ragazzi e il diritto a un lavoro utile e dignitoso per gli insegnanti e il personale ATA. Questo perché la scuola, così come la sanità e gli altri servizi pubblici, è un campo di speculazione per la classe dominante, che non ha interesse alcuno al suo effettivo funzionamento (la classe dominante, quella che si arroga il privilegio di pensare e decidere, si forma nelle scuole private).
In questi ultimi tre mesi nessuno ha mai interpellato il personale scolastico e i tanti appelli e lettere inviati al Ministero per chiedere misure adeguate sono rimasti inascoltati. Da marzo a oggi numerose sono state le mobilitazioni di docenti, personale ATA, studenti e genitori contro la DaD, giudicata dalla ministra Azzolina (chissà su quali basi) un successo. Lettere, appelli, scioperi, presidi e manifestazioni hanno messo bene in luce come i problemi della scuola siano sempre gli stessi e come siano tutti riconducibili ai tagli fatti dai governi negli ultimi decenni, anche se l’emergenza sanitaria li ha sicuramente esasperati.
Per questo gli insegnanti chiedono a gran voce:
1. l’assunzione immediata del personale scolastico. L’ultimo concorso per docenti è del 2016 e resta la piaga del precariato a cui non nessuno ha ancora messo mano: ci sono docenti precari da oltre 10 anni, assunti spesso ad anno scolastico già iniziato e sbattuti ogni anno in un istituto diverso. Dopo anni e anni di insegnamento sul campo che senso ha sottoporre i candidati a un concorso per verificare se hanno le competenze per insegnare? Questo ancor più ora, dal momento che il numero di insegnanti necessari ad aprire il nuovo anno scolastico sarà di gran lunga più elevato (le misure di prevenzione comportano infatti – sempre che siano rispettate – che vengano istituite più classi con un numero inferiore di alunni per ognuna di esse).
2. L’aumento dei fondi per la messa in sicurezza delle strutture scolastiche ed eliminazione definitiva (quindi anche a emergenza passata) delle “classi pollaio”. Nei decenni passati gli investimenti dello Stato nell’istruzione pubblica non hanno fatto che calare, favorendo l’entrata dei privati (aziendalizzazione): questo ha portato a “risparmiare” sia sulla manutenzione, con ricadute sugli spazi agibili, che sul personale, con la riduzione del corpo docente. Il risultato è l’aumento di classi di anche 28-30 alunni per insegnante.
3. L’internalizzazione del personale esterno. Gli istituti pubblici si avvalgono sempre più (anche per sopperire alla mancanza di concorsi statali) del supporto di educatori, docenti e lavoratori esterni, spesso provenienti da cooperative. Questi lavoratori con l’emergenza sanitaria si sono trovati senza alcuna tutela e stanno conducendo una battaglia per essere assunti direttamente dalla scuola, senza dover vendere di volta in volta i propri servizi.
Nel novero delle mobilitazioni del mondo della scuola, è da segnalare l’esempio di Prato dove gli insegnati hanno costruito brigate di solidarietà per far fronte ai bisogni educativi di studenti e famiglie. In alcune scuole di Firenze, invece, docenti e genitori stanno ragionando su una possibile riapertura parziale delle scuole primarie già nelle prossime settimane, non tanto e non solo per riprendere l’insegnamento, quanto per far fronte ai grossi problemi dei genitori che, dovendo lavorare, sono costretti a lasciare i figli in casa da soli o a pagare una babysitter.
Questi sono piccoli ma significativi esempi di come le masse popolari si possono organizzare per imporre misure che vanno nei loro interessi. La soluzione ai problemi non può che venire dal basso, perché insegnanti, studenti e genitori sono gli unici che hanno interesse a far sì che le cose funzionino davvero! Anche le mille proteste e battaglie per il diritto allo studio possono e devono diventare un’occasione per far sì che ogni scuola diventi un centro di mobilitazione e orientamento per contribuire allo sviluppo di nuove autorità popolari alternative a quelle borghesi.