Il futuro delle brigate volontarie per l’emergenza

Ciao compagni,
scrivo alcune riflessioni sull’esperienza che sto facendo nelle Brigate di solidarietà di Milano.
Con il collettivo Gratosoglio Autogestita (GTA) e il collettivo ZAM fin dall’inizio dell’emergenza abbiamo organizzato la brigata nella nostra zona, che abbiamo chiamato “Solidarietà Popolare”.

Via via che l’organizzazione delle brigate si è andata strutturando in tutta la città, fino a coprire ogni zona, abbiamo preso parte sia al coordinamento che fa capo ad Emergency sia a quello che fa capo ad Arci, entrambi patrocinati dal Comune di Milano. Nelle prime settimane ci siamo occupati principalmente di consegnare la spesa a domicilio a chi non poteva uscire di casa (anziani, malati o immunodepressi), mentre nelle successive la nostra attività principale è divenuta sempre più la consegna di pacchi spesa a persone in difficoltà economica, disoccupati ed emarginati.

Sono convinto che nella fase del lockdown l’iniziativa delle brigate fosse per noi la via migliore per dare una risposta ai problemi delle masse popolari, per promuovere la solidarietà e per portare avanti, al contempo, il lavoro che da anni svolgiamo nel nostro quartiere. Prova ne sono i risultati ottenuti in questi mesi, la vasta rete di solidarietà e la complessa organizzazione che come brigate abbiamo costruito: risultati che in tempi normali avrebbero richiesto anni!

Abbiamo svolto un lavoro fondamentale: senza l’opera delle brigate le centinaia di persone che abbiamo aiutato non avrebbero ricevuto nessuna assistenza. Migliaia di persone a cui abbiamo consegnato i pacchi spesa non avrebbero addirittura messo il piatto in tavola! E tutto questo nella totale indifferenza delle istituzioni!

In questo senso ci siamo sostituiti, in un certa misura e per gli ambiti in cui siamo intervenuti, alle istituzioni borghesi, sopperendo alle loro mancanze. Siamo diventati punto di riferimento per le masse popolari nei territori in cui operiamo: per chi voleva attivarsi per far fronte all’emergenza e per chi ne è stato più colpito. Penso che sia questo il principale risultato di questi mesi di attività.

Ci si impone oggi, con la “riapertura”, la necessità di avviare un dibattito e un ragionamento collettivo su quale deve essere il futuro delle brigate, su quale debba essere il contenuto della loro mobilitazione per valorizzare i risultati ottenuti e svilupparli.

Di questo e di come superare la logica del mero assistenzialismo abbiamo ragionato nelle nostre ultime riunioni di brigata. Dobbiamo certamente continuare con l’attività di solidarietà, perché essa è alla base del lavoro che finora abbiamo portato avanti, ma è anche chiaro che se non valorizziamo la brigata anche ai fini dei nostri obiettivi politici, ci priveremo dell’iniziativa.

Finiremmo con l’aiutare il Comune, ma anche Regione e Governo, a gestire un’emergenza di cui sono corresponsabili (in quanto a cause e effetti) e di cui non sono in grado di venire a capo. Ci limiteremmo a tappare le falle del sistema capitalista in crisi (che è la causa prima dell’attuale catastrofico corso delle cose) anziché costruire le condizioni per sovvertirlo. Siamo a un bivio. Abbiamo due strade davanti a noi.

La prima è continuare l’attività sulla base delle sole iniziative di assistenza. Ma andare avanti come abbiamo fatto finora, in questa nuova fase, porterà inevitabilmente le brigate o verso l’esaurimento della loro esperienza (per mancanza di volontari e mezzi) oppure a “istituzionalizzarsi”, finendo col rientrare appieno in quei meccanismi burocratici con cui le istituzioni borghesi cercano di ingabbiare il protagonismo delle organizzazioni popolari, inquadrandole in associazioni ed enti riconosciuti, ma funzionanti secondo le regole a loro più convenienti. Il Comune di Milano già manovra in questo senso. Con gli incontri che sta facendo con alcune brigate e l’estensione dell’accordo con Emergency fino a Dicembre per proseguire le attività di volontariato, esso punta infatti a prendere compiutamente in mano la direzione delle brigate, a farci lavorare gratuitamente per suo conto, facendo così fronte con la carità all’emergenza economica e cavandosi dagli impicci.

La seconda strada è andare oltre quanto fatto sin ora, definendo l’orizzonte politico del lavoro delle brigate. Io penso sia questa la via giusta. Dobbiamo dare risposte sostanziali a quegli stessi problemi – che caratterizzano l’emergenza economica e sanitaria – che fino a questo momento abbiamo affrontato con la sola solidarietà. Farlo significa costruire un’alternativa alle istituzioni borghesi, succubi di Confindustria e degli altri poteri forti che risposte adeguate a questi problemi non ne danno e non ne daranno.

Riporto brevemente l’esperienza che come GTA abbiamo fatto in questo campo. Da anni organizziamo una Lista Disoccupati e Precari (LDP), con cui ci rivolgiamo proprio a quelle categorie con cui le brigate sono venute a contatto: disoccupati, poveri, emarginati. Anche con la LDP siamo partiti inizialmente da iniziative di sola solidarietà. Poi, abbiamo via via capito che queste iniziative da sole non bastavano e che dovevamo dare risposte generali ai problemi, rivendicare la creazione di nuovi posti di lavoro utili e dignitosi per riqualificare il quartiere e un reddito adeguato per chi non può lavorare.

Col tempo abbiamo ulteriormente compreso che anche limitarsi a rivendicare queste misure non bastava, perché porta in definitiva ad invischiarsi in un confronto con istituzioni che non possono e non vogliono darci risposte organiche e complessive, perché farlo significherebbe per loro rompere con tutto il sistema borghese di cui sono espressione. Per mesi abbiamo portato avanti un confronto col Comune senza arrivare a nulla.

Abbiamo infine capito che il centro della questione è porsi sin da subito, nei limiti delle nostre forze, come una nuova autorità pubblica, un embrione della nuova società che vogliamo costruire, e concepire le misure che indichiamo non come semplici rivendicazioni, ma come punti del programma che dobbiamo attuare, e darci via via i mezzi per realizzarlo.

Porsi come autorità pubblica di tipo nuovo e darsi i mezzi per esserlo significa contendere alle autorità borghesi il ruolo di punto di riferimento per le masse popolari, significa imparare a mobilitare tutti quelli che sono disponibili a farlo, assegnando a tutti un ruolo utile, anche e soprattutto alle persone che “assistiamo” come brigate: promuovere la loro partecipazione alla raccolta di cibo, attivarli nella distribuzione dei pacchi spesa, nelle attività di inchiesta sui problemi del quartiere, nelle mobilitazioni politiche, ecc.

è assegnando a tutti un ruolo che facciamo fronte all’emarginazione a cui il capitalismo confina tutti quelli che considera esuberi (disoccupati, invalidi, disabili, anziani, ecc.). Assegnare un ruolo in che senso e come? Come GTA abbiamo iniziato a mobilitare nell’attività della brigata alcune delle persone che assistiamo e l’esperienza è stata positiva, loro sono stati contenti di essere valorizzati e c’è stata occasione per conoscerci meglio e rafforzare i legami.

Ma la prospettiva è più ampia: darsi i mezzi per essere autorità pubblica di tipo nuovo significa assumere un ruolo nella gestione dei quartieri (facendo valere anche il legame che abbiamo con Emergency e Arci e valorizzando le loro capacità tecniche e la loro influenza): individuare i lavori che servono, mobilitare i disoccupati a farli (sciopero al contrario) e imporre che siano pagati, con proteste, espropri, autoriduzioni, ecc.

Quello al lavoro è un diritto e deve essere garantito dalle istituzioni, tanto più in una situazione d’emergenza come l’attuale: non è accettabile che noi lavoriamo gratis per il Comune mentre i suoi dirigenti si alzano lo stipendio (notizia di pochi giorni fa), non è accettabile che il governo proponga di impiegare gratuitamente 60.000 disoccupati come assistenti civici mentre garantisce prestiti miliardari per FCA, non è accettabile che le case Aler gestite dalla Regione cadano a pezzi o non siano assegnate perché inagibili e non si assumano i disoccupati per sistemarle.

Gli ingenti fondi che si stanno stanziando per fare fronte all’emergenza devono essere usati per creare nuovi posti di lavoro utili e dignitosi, non per garantire i profitti dei padroni. Se le attuali istituzioni non lo fanno, se non fanno valere i diritti delle masse popolari, se non prendono questa e le altre misure necessarie a far fronte all’emergenza, allora esse vanno sostituite con altre disposte a farlo senza riserva, con autorità che siano espressione di quelle realtà, come le brigate, che da subito si sono attivate per far valere questi diritti e realizzare queste misure dal basso.

Credo di aver spiegato, spero efficacemente, il contenuto del rapporto che deve intercorrere fra le brigate e il Comune (e più in generale le istituzioni): io non lo rifiuto a priori (anche perché senza quel rapporto l’attività che abbiamo svolto ne sarebbe risultata indebolita), penso però che esso vada concepito più chiaramente come contesa alle istituzioni di un ruolo nei confronti della popolazione anziché di dipendenza e sottomissione.

L’attività delle brigate può e deve porre l’amministrazione comunale di fronte a una scelta: o usare il suo ruolo e i suoi strumenti per sostenere senza riserve l’attività delle brigate, favorire la loro trasformazione in organismi popolari riconosciuti che possono impiegare i disoccupati per i lavori che servono, oppure essere smascherata di fronte alle masse per il suo carattere antipopolare. Fare questo significa iniziare a costruire le condizioni per sostituire l’amministrazione comunale “della carità e dell’elemosina” con l’amministrazione popolare di emergenza di cui c’è bisogno.

Il discorso interessa anche il contenuto dell’adesione delle brigate alla campagna per la cacciata della giunta Fontana: quanto più si rafforza il ruolo politico delle brigate, tanto più contribuiamo anche noi a determinare le condizioni affinché la cacciata di Fontana non si risolva con l’insediamento di una giunta del PD o di un commissario dell’attuale governo (che vorrebbe dire fondamentalmente ritrovarsi punto e a capo), ma al contrario porti a un commissariamento popolare della Regione, all’insediamento di una nuova Giunta che ha la volontà e la forza di tradurre in provvedimenti generali le misure che le organizzazioni popolari via via indicano come necessarie.

So benissimo che quella che indico è una via per molti versi più difficile: richiede, infatti, di fare un salto di qualità sia nell’organizzazione e nel coordinamento tra brigate, che ad oggi è solo logistico, che nel confronto tra le diverse aree che le promuovono (ognuna delle quali ha giustamente una sua visione, una sua prospettiva e degli obiettivi specifici) sulle misure immediate da adottare e sulla linea politica. Ma questo salto di qualità, l’avvio di un dibattito comune, lo sviluppo del coordinamento politico tra le brigate sono urgenti e necessari perché è questa l’unica via che dà prospettiva al nostro percorso, che valorizza e dà un senso nuovo anche alle attività di solidarietà che abbiamo fatto e che continueremo a fare.

MB

****

La Brigata di Solidarietà di Quarto (NA). Nella fase 1 le brigate si sono concentrate sulla distribuzione e reperimento di generi di prima necessità e farmaci per tutte quelle famiglie che le istituzioni hanno lasciato all’abbandono. (…) I contributi per la creazione dei pacchi alimentari sono stati raccolti con sottoscrizioni fatte dagli operai e dai lavoratori, mettendo in contatto varie categorie delle masse popolari. Quando sono stati stanziati i soldi per i buoni spesa, la brigata si è occupata del supporto tecnico alla compilazione dei moduli, aprendo una sorta di sportello popolare. A venti giorni dalla scadenza del bando e non avendo avuto ancora nessuna notizia sulle graduatorie, le brigate hanno promosso la battaglia per i bonus spesa assieme alle famiglie che si sono mobilitate per imporre all’Amministrazione Comunale che quei soldi fossero erogati in modo trasparente a chi ne avesse diritto: ci sono stati vari presidi sotto il Comune e la polizia è intervenuta caricando i manifestanti e denunciandone almeno quindici. Pertanto l’allargamento del fronte della solidarietà è stato un passo “naturale”: non solo raccolta di generi alimentari, ma anche sostegno a chi è stato colpito dalla repressione.
Contemporaneamente ci siamo occupati dell’inchiesta per individuare i soggetti più colpiti dall’emergenza, le reali esigenze delle masse popolari e soprattutto prendere contatti per organizzare il lavoro da sviluppare in seguito, facendo in modo che le Brigate non fossero soltanto i “bravi ragazzi che consegnano la spesa”, ma un collettivo che analizzi il proprio territorio e studi le soluzioni dal basso per risolvere i problemi immediati delle masse popolari. Dal questionario è emerso che a essere più in difficoltà sono i lavoratori in nero, i precari (molti dei quali sono stati licenziati durante l’emergenza) e le P.IVA (che hanno dovuto chiudere le proprie attività o contrarre l’ennesimo debito con lo Stato per cercare di rimanere a galla): la principale problematica è proprio il lavoro!
Nella “Fase 2” il contenuto della mobilitazione punta a promuovere l’organizzazione dei disoccupati e dei precari nella lotta per il lavoro. Parallelamente, a fronte delle denunce e della repressione subita, le brigate si stanno mobilitando per costruire il coordinamento con altre esperienze del territorio napoletano che si stanno battendo su questo tema, tra cui i Disoccupati 7 Novembre, il SI COBAS, ecc.
Questa esperienza insegna che con la raccolta e distribuzione di generi di prima necessità, la brigata si è costituita e si è consolidata; ma senza l’incondizionato sostegno alla lotta per l’erogazione dei buoni spesa (la maggioranza dei denunciati appartiene alla brigata) e senza “il salto” dell’organizzazione dei disoccupati, oggi avrebbe perso la sua funzione di riferimento e spinta per le masse popolari e si sarebbe esaurita. Tenendo conto delle molte differenze fra un territorio e l’altro, fra una brigata e le altre, penso che il ragionamento possa essere spunto di riflessioni anche per altri compagni e compagne: non solo per evitare di disperdere il patrimonio che le brigate rappresentano, ma per svilupparle.

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