A più di tre mesi dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, appare chiaro quali sono stati i paesi che hanno saputo far fronte all’epidemia e quali, invece, sono stati risucchiati dalla necessità della borghesia imperialista di fare profitti e hanno sacrificato a ciò anche le più elementari tutele sanitarie per i lavoratori e le masse popolari.
La Repubblica Popolare Cinese (RPC) è il paese da cui “tutto è partito” secondo la propaganda a mezzo stampa e televisioni e soprattutto da parte di quei mezzi di informazione più asserviti agli imperialisti USA e che ripetono ciò che dice Donald Trump. In realtà lo stesso Istituto Superiore di Sanità con un suo studio mostra che non è così. È piuttosto il paese che prima di tutti è uscito dalla situazione emergenziale. Il governo della RPC si è infatti mosso subito una volta rilevato il problema in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua essenza, ha isolato l’intera città di Wuhan (poco più grande dell’intera regione della Lombardia) disponendo la sanificazione totale di locali, strade, parchi, case, edifici e luoghi pubblici già dalla prima metà di gennaio, col risultato che già il 10 marzo l’emergenza in Cina poteva già dirsi superata e l’indomani è stato dimesso l’ultimo paziente da COVID da Wuhan. La Repubblica Popolare Cinese ha altresì stupito il mondo per la rapidità con cui è riuscita a far costruire e aprire ospedali e strutture sanitarie per le quarantene a Wuhan nella prima decade di febbraio (in cui hanno lavorato 8.000 operatori), mentre in Italia ancora si minimizzava nell’ignoranza totale di cosa questo virus fosse.
Fino al 10 febbraio erano stati inviati, a Wuhan e nello Hubei, 7924 tra medici e infermieri provenienti dalle cliniche di oltre 123 istituti superiori dell’intero paese. Inoltre, più di 350 cliniche di istituti superiori dell’intero paese sono state impegnate nei lavori di contenimento di focolai di epidemia in loco. Fino al 22 febbraio la regione dello Hubei ha gestito un totale 7588 lotti di aiuti materiali trasportati su strada; 2219 lotti sono arrivati su barca al porto di Wuhan per un totale di 3.393.000 tonnellate di aiuti materiali; 986 treni sono arrivati su rotaia per un totale di 34.000 tonnellate di aiuti; più di 6562 tonnellate di aiuti medici sono arrivati via aerea; 17.000 unità di corrieri postali sono stati immessi nella rete postale di Wuhan, per un totale di 62.000 tonnellate di materiali. Insieme a ciò il governo ha disposto isolamenti immediati e imposizione della quarantena ai contatti più ravvicinati dei contagiati. Per riuscire a tracciare i possibili contatti avuti dalle persone infette sono state inoltre mobilitate 1800 squadre di almeno 5 persone ciascuna, incaricate di tracciare e analizzare migliaia di spostamenti. Al successo di questo lavoro, secondo la stessa OMS, ha contribuito «un tasso eccezionalmente alto di popolazione che ha capito e accettato le misure» decise dal governo. I risultati non hanno infatti tardato ad arrivare: il 10 febbraio la Cina registrava 2478 nuovi casi di contagi; due settimane più tardi il dato giornaliero era sceso a 409.
Prima ancora di trovarsi fuori dall’emergenza, però, la Repubblica Popolare Cinese, il Partito e le masse si sono mobilitati per aiutare altri paesi in difficoltà, tra cui il nostro. Dalla Cina ci sono arrivate 500.000 mascherine, 4 tonnellate di materiale medico, 1800 tute protettive e 150.000 guanti, più 9 medici specializzati. L’ospedale di Careggi a Firenze ha ricevuto 200 capi d’abbigliamento, tutto a titolo completamente gratuito. Nella città di Wenzhou è stata lanciata, a inizio marzo, una raccolta fondi online per aiutare le nostre masse popolari: il 1° marzo un carico di 2.600 paia di occhiali protettivi, per un valore di 200.000 yuan (poco più di 26.000 euro), prodotti da aziende locali e donati dall’associazione degli ottici della città, è stato imbarcato su un aereo alla volta di Torino.
Questo aiuto internazionalista offerto per venire incontro alle necessità delle masse popolari anche in paesi imperialisti, tra cui gli stessi USA, ha fatto storcere il naso agli esponenti della classe dominante di quei paesi. I mezzi di informazione della borghesia imperialista sono quindi stati scatenati in una campagna denigratoria senza precedenti dai tempi della Guerra Fredda. Pare che l’imperialismo americano non possa lasciare passare una giornata senza trovare un nemico contro cui tentare di compattare le masse popolari e l’opinione pubblica per la “difesa del mondo libero, dei diritti umani e della democrazia”. Gli imperialisti, scagliandosi contro il nemico del giorno tentano soprattutto di fare dimenticare alle masse popolari dei loro paesi le sofferenze che sono generate proprio dal regime della borghesia imperialista, cioè di fare in modo che le masse popolari non si accorgano che il nemico lo hanno in casa, e sono quelli che hanno il potere e che governano.
Per lungo tempo questo “nemico” delle masse popolari dei paesi imperialisti è stata l’Unione Sovietica. Oggi il nemico è la Cina. Di sicuro c’è una grande differenza tra la RPC e l’URSS, e altrettanta ce n’è tra la Cina odierna e la Cina maoista: alla fine del 1978 sono state infatti attuate riforme di mercato che hanno introdotto in una certa misura alcuni mali del sistema capitalistico, come la disuguaglianza tra i redditi, la povertà, la disoccupazione, lo sviluppo della criminalità, gli affitti delle case e gli aumenti dei prezzi delle abitazioni. Il settore pubblico, sia statale sia cooperativo, tuttavia è sempre stato dominante su quello privato e ora ha anche ripreso a riguadagnare il terreno perduto. Insomma, anche se la RPC non ha il ruolo che ebbe l’URSS fino a quando fu diretta da Lenin e Stalin, resta sempre un paese socialista, e mostra al mondo intero come un paese socialista sa affrontare e risolvere un problema che i paesi imperialisti non sanno come affrontare, che alimenta una crisi senza precedenti tale che, con la sua gravità, conferma la profondità della trasformazione che l’umanità deve compiere, come giustamente dice il (nuovo)Partito comunista italiano nella prima pagina del suo Manifesto programma.(1) è la trasformazione per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Questo è l’unico modo per superare presto e definitivamente la crisi sanitaria e soprattutto per aprire un’epoca nuova nella vita delle masse popolari del nostro paese e del mondo intero.
Jean-Claude Martini
membro dell’Associazione di Amicizia e Solidarietà Italia-Repubblica Popolare Democratica di Corea
Firenze, 16 maggio 2020
NOTE