[ROMA] La lotta esemplare del Comitato Romano AEC

Il Comitato Romano AEC è un grande organismo di lavoratori della scuola della città di Roma che raccoglie e organizza oramai buona parte degli Assistenti Educativi Culturali (ora denominati OEPA – Operatori Educativi per l’Autonomia) nella lotta per la loro assunzione nell’organico del Comune di Roma e quindi per l’internalizzazione della loro figura professionale.

La lotta del Comitato Romano AEC si è avviata nella primavera del 2019, con l’autorganizzazione di un nucleo di AEC / OEPA che hanno elaborato una legge d’iniziativa popolare per l’ottenimento dell’internalizzazione del servizio da parte del Comune di Roma. Da qui è iniziato un percorso che ha portato alla raccolta di più di 12000 firme (a fronte delle 5000 necessarie), l’approvazione della stessa legge nel Consiglio Comunale di Roma, mozioni favorevoli all’internalizzazione di vari Municipi (ben sei), l’indizione del primo sciopero della categoria con partecipazione altissima da parte dei lavoratori, presidi e sit – in sotto il Campidoglio, assemblee, riunioni e altre forme di mobilitazione che hanno avuto sostegno anche da parte dei comitati di genitori all’interno delle scuole e dei famigliari dei bambini a cui è rivolto il servizio svolto dagli Aec. Il percorso di mobilitazione degli AEC ha portato all’avvio dell’iter per l’effettiva internalizzazione dei servizio, la fase più delicata dell’intera battaglia, quella in cui imporre alla Giunta Raggi di passare dalle proclamazioni ai fatti.

Gli AEC lavorano nelle scuole e si occupano di favorire l’inclusione scolastica e l’autonomia degli studenti con disabilità. Parliamo dunque di lavoratori che svolgono una mansione di primaria importanza all’interno del servizio pubblico scolastico. La loro mansione è l’erogazione di un servizio la cui esistenza è qualificante per lo stesso servizio pubblico scolastico, perché è premessa necessaria per l’accesso ad esso da parte di ragazzi affetti da handicap. Ovviamente nell’ambito dello smantellamento dell’istruzione pubblica e dei servizi sociali erogati dallo stato ai cittadini, anche questo servizio è stato messo in discussione. E’ così che nella capitale d’Italia il servizio degli AEC è attualmente affidato a piccoli, medi e grandi capitalisti con vocazione affaristica nel campo del (finto) cooperativismo sociale. E’ così che un servizio tanto importante per il buon funzionamento del sistema scolastico viene messo alla mercé di un settore particolarmente avido del padronato, cioè quei capitalisti che adottano il paravento legale del cooperativismo sociale (e tutti i comfort che comporta per il “socio padrone” della cooperativa in termini fiscali e di retribuzione del lavoratore) per massimizzare i propri profitti.

Pertanto la realtà lavorativa degli AEC è la stessa degli operai di altri settori che sono campo d’azione di questi affaristi. Stipendi da fame, costante precarietà dovuta alle periodiche gara d’appalto che costringono i lavoratori a passare da una cooperativa all’altra e a battagliare di volta in volta per ottenere parità di trattamento, sospensione del contratto senza stipendio durante la chiusura delle scuole (quindi durante tutto il periodo estivo) e retribuzione a cottimo calcolata in base alle ore effettivamente lavorate, violazione sistematica del loro contratto (il CCNL delle cooperative sociali) in particolar modo rispetto al pagamento della malattia che, in maniera arbitraria e illegale, alcune cooperative iniziano a pagare solo a partire dal 3 giorno.

L’esternalizzazione ovvero il passaggio di gestione nelle mani dei privati di singoli settori e diramazioni di un dato servizio pubblico è un perno fondamentale di ogni processo di privatizzazione. Il caso degli AEC è solo uno tra i tanti processi di esternalizzazione con cui procede la privatizzazione dei servizio pubblico scolastico e dei servizi sociali in Italia. Un caso particolarmente odioso, date le condizioni di sfruttamento imposte a lavoratori che svolgono una mansione molto importante e dato che a rimetterci sono le persone svantaggiate e con handicap, i più deboli della società (quelli in difesa dei quali si spreca il teatrino umanitario di papi, padroni, politicanti, ecc.).

Tuttavia le esternalizzazioni oltre che essere la manna per le privatizzazioni del settore pubblico sono anche un procedimento ben in uso nel settore privato, dove costituiscono un efficace sistema per aggirare i CCNL, imporre condizioni di sfruttamento superiori, fare maggiori affari.

Ad esempio a Roma, nella diffusa rete di aziende capitaliste di servizi attive nel turismo, nel commercio, ecc. pullulano le esternalizzazioni da grandi aziende committenti ad aziende appaltatrici che derogano arbitrariamente dai CCNL di settore, impiegano lavoratori che subiscono in modo ancor più estremo lo smantellamento delle tutele e dei diritti, il ricatto costante della precarietà, l’assenza del sindacato e l’inefficacia dell’azione sindacale classica in contesti in cui perfino avere una tessera sindacale può valere il licenziamento da un momento all’altro. E’ così che le esternalizzazioni si qualificano come un male comune, che colpisce nello stesso modo i lavoratori del settore pubblico in via di privatizzazione quanto ad esempio i lavoratori del settore privato dei lussuosi alberghi del centro di Roma (cosi come della periferia) in cui un esercito di cameriere ai piani (le lavoratrici che si occupano della pulizia delle camere), nonostante assunzione regolata dal CCNL, lavorano a cottimo, pagate pochi euro per ogni camera che in una giornata riescono a pulire. Quanto gli operai delle aziende di call center che lavorano tramite appalto per le grandi società di telefonia, energia o per enti istituzionali in cui allo stesso modo, nonostante il formale inquadramento nel CCNL, si viene assunti part-time per poi lavorare esclusivamente a tempo pieno, senza alcuna garanzia di ritrovare in busta paga le ore “extra” che si svolgono oltre alle 20/25 settimanali che il loro contratto garantisce.

Abbassare la qualità del servizio, ridurre i costi, avere come unico obiettivo quello di soddisfare le esigenze di “risparmio” e di profitto! Questo è il minimo comune denominatore delle esternalizzazioni sia nel settore pubblico che in quello privato. Scontato dire che a farne le spese sono i lavoratori che vivono sulla loro pelle uno sfruttamento al quadrato del loro lavoro salariato: quello di chi appalta il loro servizio e quello delle cooperative, aziende e azienducole appaltatrici presso cui sono dipendenti.

La lotta del Comitato Romano AEC insegna tantissimo a questi lavoratori, a quella numerosa parte della classe operaia (di Roma e del resto del paese) impiegata nel groviglio delle esternalizzazioni di servizi dal pubblico al privato e del sistema degli appalti del privato, una terra. di nessuno in cui, al riparo dai CCNL e dalle residue conquiste frutto delle lotte degli anni ‘60 e ’70, l’arbitrio padronale regna incontrastato e l’organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori è in molti casi resa complicata dalla frammentazione dei lavoratori che possono essere dislocati, stante il tipo di servizio che offrono, in tante piccole unità produttive.

La lotta esemplare del Comitato AEC dimostra che i lavoratori possono districarsi da questo groviglio, possono organizzarsi e lottare con efficacia per i propri diritti, non limitandosi a rivendicare ai padroni un trattamento economico e contrattuale migliore ma puntando dritto verso l’origine del problema, nel caso degli AEC / OEPA la rivendicazione del proprio diritto all’internalizzazione del servizio da parte del Comune di Roma.

Se lavoriamo per un albergo perché non è l’albergo il nostro datore di lavoro? Perché lavoriamo per la Telecom, Wind, Eni, Edison ma non sono queste aziende ad assumerci? Se svolgiamo un servizio di competenza del Comune perchè non siamo dipendenti del Comune?

Secondo la concezione corrente della società e del mondo del lavoro, queste domande possono risultare perfino sciocche: ci sono tantissime ragioni per rispondere a questo perché, che non basterebbe una settimana di convegni e dibattiti per elencarli tutti. Ma è proprio attorno alla giustezza e alla forza di questa domanda che è nato un percorso di autorganizzazione di centinaia di AEC del Comune di Roma che unendosi al di là dei sindacati di appartenenza, facendo leva sulla forza della loro mobilitazione e sull’intervento nelle contraddizioni della Giunta romana M5S la stanno costringendo a fare i conti con le sue promesse elettorali.

La lotta del Comitato AEC dimostra cosa può succedere quando un gruppo di lavoratori passa dall’interrogarsi sui mille problemi della propria condizione lavorativa al cercare le giuste risposte e quindi ad organizzarsi direttamente, darsi i mezzi per prendere in mano la situazione ed imporre con la lotta l’affermazione dei propri diritti.

 Di più la lotta del Comitato Romano AEC è un buon esempio per tutto il movimento delle organizzazioni operaie e popolari del paese, di come lo sviluppo delle lotte rivendicative può contribuire ad allargare la breccia che il malcontento della classe operaia e del resto delle masse popolari ha aperto nel sistema politico del nostro paese e che ha costretto la classe dominante ad interrompere prima a livello di alcune grandi città del paese (Roma tra queste) poi a livello del paese, il governo da parte del sistema delle Larghe Intese che si protraeva da 40 anni.

Ogni gruppo di lavoratori deciso ad organizzarsi per migliorare la propria condizione lavorativa ha nell’esperienza del Comitato Romano AEC un esempio da seguire:

1.Fare di ogni rivendicazione e richiesta di miglioramento il punto di partenza per sviluppare il protagonismo e l’iniziativa autorganizzata dei lavoratori stessi, per creare organismi dei lavoratori attraverso i quali i lavoratori stessi prendono in mano la direzione della propria lotta. La lotta degli AEC non avrebbe ottenuto i risultati che sta raggiungendo senza l’organizzazione che questi lavoratori si sono dati, il Comitato Romano AEC. Un organismo che riunisce i lavoratori a prescindere dalle loro appartenenze sindacali e che tramite la sua attività, come i Consigli di Fabbrica di un tempo, costituisce il centro di direzione dei lavoratori stessi sulla loro lotta. Un organismo che attraverso le proprie iniziative, come la formulazione della delibera popolare, ha esteso e moltiplicato la lotta scuola per scuola, promosso la partecipazione alla lotta degli stessi utenti del servizio (le famiglie). organizzato e mobilitato tecnici per dimostrare l’effettiva possibilità (anche dal punto di vista economico) di internalizzare il servizio.

 

2.Mobilitare i sindacati al servizio della lotta e non l’inverso. I sindacati di base aderiscono e sostengono il comitato, forniscono copertura sindacale per le iniziative di lotta e assistenza per le problematiche dei lavoratori ma sono i lavoratori, tramite la struttura che si sono dati, gli artefici della direzione della lotta. L’unità e l’organizzazione dei lavoratori ha permesso di sviluppare anche l’unità tra sigle sindacali (contro la diffusa concorrenza tra sigle sindacali)

 

3.Fare di ogni lotta rivendicativa una lotta politica, che riguarda il governo della città e del paese. Gli AEC hanno fatto della loro lotta per il miglioramento delle loro condizioni contrattuali e lavorative una lotta che chiama in causa l’Amministrazione Comunale di Roma, contro la diffusa tendenza alla privatizzazione dei servizi pubblici, alimentando così il collegamento con altri settori colpiti (raccolta rifiuti, trasporto pubblico, ecc.) e di fatto, prendendo il toro per le corna: sradicare situazioni di sfruttamento come quelle che vivono gli AEC significa sradicare il sistema delle privatizzazioni e il sistema politico che le promuove. Il Comitato Romano AEC sta lottando in questa direzione, facendo pressione sulla Giunta M5S che aveva promesso di arrestare il processo di privatizzazione e sfruttando le contraddizioni del M5S stesso (tra liquidatori delle promesse fatte da M5S e fautori della loro realizzazione, di una risalita della china del M5S), promuovendo lo schieramento al fianco della loro lotta dei Municipi retti da M5S in quanto enti di prossimità e capaci di esercitare una pressione sul Comune.

  1. E’ possibile organizzarsi per lottare anche in un contesto di elevata frammentazione e dispersione dei lavoratori. Gli AEC  lavorano dislocati in piccoli nuclei, scuola per scuola, su un territorio vastissimo. La lotta del Comitato Romano AEC dimostra che anche in condizioni di elevata frammentazione e dispersione è possibile organizzarsi e lottare in maniera efficace.

L’emergenza sanitaria in corso (anzi, la volontà padronale di scaricarla sulle spalle dei lavoratori) costringe i lavoratori AEC a casa e per il momento senza stipendio. Dopo aver respinto al mittente la folle proposta di trasformare il servizio scolastico in servizio domiciliare (un interpretazione fantasiosa del “tutti a casa” con cui il Comune di Roma aveva pensato di liberarsi del problema  ), gli AEC richiedono il pagamento dello stipendio al 100% utilizzando i fondi già stanziati dal Comune.

Questo è quello che devono fare anche tutti i lavoratori delle cooperative che hanno contratti anomali, i lavoratori precari e interinali che in questo momento di emergenza stanno perdendo in massa il loro posto di lavoro.

Nessuno deve perdere il posto per l’emergenza Corona Virus o rimanere senza stipendio, neanche e a maggior ragione chi un posto sicuro non lo aveva neanche prima!

Il partecipato e combattivo presidio che il Comitato ha organizzato oggi davanti all’Assessorato alle Politiche Sociali è l’ennesima dimostrazione di  come, nonostante l’emergenza Covid-19,  le  lotte dei lavoratori non devono fare un passo indietro ma farne due in avanti!

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