Il governo ha avviato la “fase 2”. Con essa cambia poco o nulla sullo “state a casa”, così come per i dati sul rischio contagio: la riduzione c’è stata perché si è chiuso tutto ma i primi dati dello screening (tamponi e test pur in numero basso) danno numeri allarmanti. Però vengono riaperte le aziende (quelle poche ancora chiuse) per far contenta Confindustria, cercando di chiudere la bocca agli operai con “l’obbligo di fedeltà aziendale” e la repressione. Vengono poi conclusi accordi a debito con la UE che, per loro, dovranno pagare le masse popolari. Se la fase 1 era una farsa, la 2 è una buffonata! È l’esperienza che ci dice che le fabbriche e gli ospedali restano i principali luoghi di diffusione del contagio, per i quali non è previsto uno straccio di intervento serio: non c’è uno screening di massa di contagiati e positivi, non ci sono nuovi posti letto, non c’è la ricostruzione dell’assistenza sanitaria territoriale (70 USCA su 220 in Lombardia), continua la speculazione sull’emergenza con i posti letto privati che poi oggi si sposta anche sui laboratori di analisi e sulla produzione e vendita di DPI che non è diretta dallo Stato; non è prevista alcuna sanzione per le aziende che non rispettano il protocollo sicurezza e non si sa chi debba fare i controlli senza subire ricatti e minacce. È evidente poi che la quarantena di massa ha messo in ginocchio anche tanti lavoratori autonomi, piccoli produttori, e ha lasciato e lascerà sul terreno precari (solo a Bergamo 21417 entro giugno vedranno scadere il contratto) e i lavoratori sfruttati in nero.
Le promesse sui buoni spesa, sul reddito di emergenza, sulle assunzioni e gli investimenti nel pubblico impiego e sulla sicurezza degli operai nei luoghi di lavoro non marceranno davvero se non saranno gli operai, i lavoratori, i precari e i disoccupati a imporre le misure che servono e vigilare per la loro effettiva attuazione. Questo vuol dire mobilitarsi e organizzarsi in ogni territorio e in ogni azienda, raccogliendo e sviluppando le esperienze condotte in questa prima fase dell’emergenza nei mesi di marzo e aprile: dagli scioperi, all’auto esenzione dal lavoro in mancanza delle protezioni, la gestione della distribuzione di beni e servizi delle Brigate di Solidarietà e tutto il resto delle attività simili.
I tentativi di repressione delle settimane scorse e di questi giorni ancora hanno dimostrato l’impossibilità per gli organi repressivi dello Stato di fronteggiare la lotta e le migliaia di mobilitazioni sparse in tutto il paese. Questo perché il fianco debole del governo sono proprio le masse popolari e la loro forza che quando si dispiega – anche se in forme ancora sparse e limitate – è difficilmente arrestabile.
Non ci sarà uscita favorevole per le masse popolari se non saranno loro stesse a individuare le misure necessarie e imporle con la lotta, con la mobilitazione e la riscossa! Da qui dobbiamo ripartire, quindi, per fronteggiare questa situazione. Quello che dobbiamo costruire è un governo delle masse popolari organizzate che prende via via in mano la gestione delle aziende, dei territori, della società: un Governo di Emergenza Popolare. I passi da compiere qui ed ora sono:
Organizzare in ogni azienda gruppi di operai che si occupano di controllare e vigilare sulla sicurezza, sulla produzione, sui rischi chiusura e che leghino la propria azione a quella degli operai di altre aziende così di coordinarsi e rafforzare ciascuno la propria battaglia e più complessivamente la lotta per la nazionalizzazione di aziende e settori produttivi anche con un istituto nazionale statale;
Organizzare in ogni ospedale gruppi di medici, infermieri e OSS che vigilino sulla sicurezza per se stessi e i propri pazienti, si mobilitino per le assunzioni a tempo indeterminato che servono e per la riapertura di reparti e ospedali chiusi negli ultimi anni, che denuncino pubblicamente tutte le carenze e le speculazioni che i padroni e manager pubblici proveranno a portare avanti per i loro profitti;
Dare continuità e allargare ad altri aspetti del governo dei territori, l’azione delle Brigate di Solidarietà perché non si limitino all’assistenza ma contribuiscano alla costruzione di una rete per “elaborazione e imporre le soluzioni ai problemi” nei quartieri e nelle città;
Mobilitarsi e organizzarsi in ogni città per pretendere l’erogazione dei buoni spesa, del reddito di emergenza e l’ampliamento del reddito di cittadinanza spingendo perché i fondi necessari non siano prestiti a debito da scaricare sulle masse popolari ma siano pagati dai padroni (stop alla costruzione di grandi opere inutili e dannose, requisizione forzosa dai conti correnti dei ricchi, ecc.).
Avanti operai, avanti lavoratori, avanti compagni! Mettetevi in contatto con noi!