Che cos’è per voi la fabbrica?
Fusco, RSU FIOM:
“Che cos’è per noi la fabbrica? È il passato della lotta dei nostri padri, è il presente della nostra lotta, è il futuro della nostra vittoria contro una delle più importanti multinazionali al mondo. Non solo un luogo di salario individuale, ma un ambito di ricchezza culturale e sociale. Chiudere significherebbe impoverire non 420 operai solamente, ma un intero territorio. Significherebbe il diffondersi di miseria sociale. Ecco perché non possiamo mollare. Ecco perché dobbiamo vincere. Ecco perché non molleremo e vinceremo.”
Accurso, RSU UILM:
La fabbrica rappresenta principalmente il futuro. Mio, della mia famiglia, di nuove generazioni di operai. È il luogo in cui posso realizzare quello mi serve per vivere una vita dignitosa a livello individuale, ma è anche luogo di aggregazione, di socialità. Quando parliamo di Whirlpool, per noi, parliamo principalmente degli operai. Whirlpool, ma non solo. La storia parte da lontano, dalla Ignis, poi Indesit, attraversata da generazioni di operai, padri e figli. Whirlpool è, dunque, per noi, un po’ come una famiglia. Il luogo dove si sono conosciuti prima i nostri padri, poi noi figli, che frequentavamo con i nostri padri il CRAL. Da “amici di infanzia” siamo così diventati compagni di lavoro, colleghi. Cosa che ha reso anche più forti i legami di amicizia. È per questo che siamo riusciti a fare tutto quanto abbiamo fatto fino ad ora per impedire la chiusura del sito napoletano dell’azienda Whirlpool. Quel sito, questa fabbrica, è la nostra fabbrica. Ecco perché non molleremo.
Per il contesto sociale in cui sorge la nostra fabbrica, essa rappresenta non solo un luogo in cui ci si procura salario, ma una ricchezza culturale per tutto il territorio. Chi passa e vede questa fabbrica, modello per sicurezza sul lavoro e qualità del prodotto, vede una speranza per il futuro. Whirlpool, FCA, AVIO, altre aziende non sono solo tabelle messe in cima a degli stabilimenti. Sono una motivazione per quanti la mattina si svegliano e sanno che se studi, ti impegni, ti organizzi anche, potrai costruirti un futuro degno, fatto di lavoro e non di espedienti o malavita. Magari non ci andrai in quei siti, ma vedrai davanti a te un orizzonte possibile che non sia quello di miseria e sottomissione alla camorra, degrado sociale e ambientale nel quale nasciamo e assenza di prospettive.
Tutto questo per dire cosa? Beh, eliminare la fabbrica in questo contesto, quello del deserto industriale attuale della zona est di Napoli non equivarrebbe solo alla perdita di 420 posti di lavoro, ma alla perdita di una speranza di riscatto sociale di un intero territorio.
Considerate che questa fabbrica è qui dal primo dopoguerra. Era la gloriosa Ignis. Whirlpool, multinazionale americana, è venuta e l’ha comprata, ha preso e utilizzato le competenze che si erano già formate in questa fabbrica, le ha utilizzate per affermarsi come leader di settore in Europa e nel mondo. Ora, per ragioni di profitto, vuole metterci una croce sopra. L’azienda ha usato le eccellenti maestranze napoletane come “cavallo di Troia” per accedere e imporsi sul mercato. Noi, nonostante tutto, siamo legati all’azienda. Ci spiace dover dare battaglia rispetto a un marchio che sentiamo anche nostro, non fosse altro per la dedizione al lavoro e l’impegno che ci abbiamo messo in questi anni. Non possiamo fare diversamente , però. Ci sentiamo doppiamente traditi. Crediamo più noi nella Whirlpool che i dirigenti dell’azienda, che vengono in fabbrica tre o quattro anni, fanno quello che devono, spremono gli operai e poi se ne vanno con liquidazioni che sono un pacco di soldi, mentre gli operai restano appesi.
La vera ricchezza dell’azienda, secondo me, è fatta da Enzo, Pasquale, Giovanni,gli operai! Sono loro, siamo noi, le vere “azioni” della società! Perché siamo noi, paradossalmente, che stiamo difendendo la vera azienda, fatta di lavoro. Non un’azienda in crisi, ben inteso, ma un azienda sana!
Non ci piace passare per facinorosi, ma finanche la Costituzione italiana dice che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Eco, noi stiamo difendendo solo il nostro posto di lavoro. In un contesto dove non ci sono altre opportunità, non possiamo permetterci di arrenderci. Non lo faremo.
Abbiamo parlato di passato e futuro di intere famiglie che si sono avvicendare in questo stabilimento, di fabbrica non solo come ricchezza materiale, ma anche di ricchezza sociale e, quindi, el fatto che la chiusura dello stabilimento corrisponderebbe ad un livello di impoverimento sociale come effetto di scarico di un territorio. Oggi ci stiamo riunendo all’interno della sede del coordinamento delle RSU di stabilimento e volevo chiedere quale fosse, in questo momento specifico della lotta contro la chiusura, la funzione di luoghi di ritrovo operaio come questo.
Fusco, RSU FIOM:
I punti sono 3: il primo di cui stiamo parlando è quello dove ci staimo riunendo: la sede delle RSU dove noi ci riuniamo come sempre per ragionare e decidere le strategie da mettere in campo per far sì che la fabbrica vada avanti. Riprendendo quello che ha detto Accurso, infatti, è vero che noi siamo la parte sana di questa società! Il vero problema della società non è quello che palesano proprietari e dirigenti. Le loro sono menzogne, è finzione. Loro voglio chiudere questo sito per altri motivi. Non c’è un vero problema di perdite. Voglion di loro ca solo andare a produrre dove gli costerebbe meno, dopo aver occupato monopolisticamente il mercato. Quello che noi facciamo come RSU in questa fase è, invece, quello di trovare una soluzione per continuare ad andare avanti, dimostrare che il sito può continuare a produrre e farlo bene come ha fatto sempre.
Il secondo, che è il perno principale dell’organizzazione operaia, è il CRAL, che è sempre stato un luogo di fortissima aggregazione e produzione di iniziativa e lo è anche in questo momento: pur con le difficoltà del momento, il CRAL continua ad essere un punto di riferimento irrinunciabile.
Il sindacato e il CRAL sono due cose diverse. Lavoriamo bene insieme, abbiamo organizzato insieme tanti eventi insieme, tra i cui, recentemente, il festival cinematografico dei diritti umani del dove veniva proposto come tema del giorno quello dell’inquinamento dato dalla cattiva gestione delle industrie, con riferimento specifico alla “Terra dei Fuochi”, qui a due passi e alla questione della camorra che lucra su sversamenti e scarichi, abusivismo nella filiera di gestione dei rifiuti abusivi, controllo del territorio. Noi, operai e come sindacato, abbiamo collaborato con il CRAL poiché abbiamo voluto anche noi dare il nostro contributo, e, più in generale rispetto alla lotta contro la camorra, fare la nostra parte. Perché noi rappresentiamo una realtà altra da quella che vuole le nostre terre tutte camorra e degrado.
Abbiamo aiutato ad organizzare feste come il “Natale operaio” o “la Befana” per tutti i dipendenti, donazioni a case famiglia, in Africa come in questa stessa città, Napoli, perché la solidarietà è una caratteristica della classe operaia. La so
lidarietà della classe operaia non è solo quella tra operai. È solidarietà sociale. Verso chiunque ne abbia bisogno. È un modo per far capire a chi vive il nostro stesso contesto, anche se lo legge magari con occhi diversi, che la vera ricchezza è socializzare la ricchezza.
Noi puntiamo molto sul CRAL, che consideriamo, infatti, una parte integrante della realtà lavorativa, poiché è il luogo dove incontrare gli operai, incontrarsi, trovare dei “compagni”, sia nel senso politico del termine che, più generalmente, come “persona che vive e lavora con me”. Il CRAL è, dunque, non solo lavoro, ma anche una realtà che integra i rapporti umani.
La terza, ma non la meno importante, è proprio l’aggregazione che si fa in fabbrica: infatti è lì il fronte principale della lotta. Lì abbiamo ed esercitiamo altri sistemi per contrastare l’azienda, perché in fabbrica, durante l’orario di lavoro, siamo tutti fianco a fianco nella lotta, anche fisicamente. È lì che ci raccogliamo con tutta la base operaia, discutiamo su cosa fare, parliamo, troviamo soluzioni, discutiamo. Poi agiamo. Naturalmente la sede delle RSU è sempre stata aperta e qualsiasi operaio voglia intervenirvi può farlo, ma è la fabbrica il teatro principale dell’organizzazione degli operai e della nostra lotta.
Sulle capacità di organizzazione e di lotta della classe operaia, a vostro avviso, quanto pesa la robotizzazione degli impianti o di una filiera sostanzialmente automatizzata? La domanda si impone, data la vulgata che vorrebbe la classe operaia residuale o comunque non più capace di organizzarsi dati i processi di automazione produttiva. Proprio voi, in realtà, dimostrate il contrario..
Accurso, RSU UILM:
Penso che i cambiamenti nei sistemi produttivi che stanno avvenendo, ma la classe operaia ha ancora una base, perché senza classe operaia non c’è sistema produttivo. Certo l’innovazione tecnologica spinge anche gli operai a sviluppare altre capacità a fare attività in maniera nuova e diversa da come le faceva in passato. Nascono nuove figure professionali che, a volte, si tenta di estrapolarle dal contesto operaio, magari gratificandole economicamente o facendole sentire un gradino più in altro degli operai base, ma la verità è che queste sono manovre solo per frammentare il fronte operaio. La classe operaia è, invece, composta da tutti coloro che lavorano per l’azienda. Ecco perché non è residuale. Perché rappresenta il grosso dei lavoratori. Questa è anche la base della nostra unità. Unità che, per la verità, abbiamo ritrovato a causa di un fattore esterno – l’annuncio della chiusura dello stabilimento e, quindi, la lotta che abbiamo messo in campo – mentre, in una certa fase, anche noi abbiamo subito il “bluff della formazione”. Mi spiego: abbiamo ritrovato compattezza operaia quando abbiamo compreso che bisognava contrastare quella tendenza all’“autonomia” e all’autoaffermazione individuale che portava molti operai a dire “ma io mi sono qualificato, mi sono laureato, l’azienda mi tutela perché mi ritiene indispensabile”, perché dovrei associarmi al sindacato, organizzarmi, ecc.? La verità è che, con l’annuncio della chiusura dello stabilimento, le “convinzioni” di chi pensava che poteva far da sé, senza gli altri, sono crollate. Naturalmente, è bene che gli operai si qualifichino, si specializzino, crescano nella loro capacità professionale. Devono, però, mettere al servizio degli altri operai quelle competenze e qualifiche – ecco perché associarsi, organizzarsi – poiché proprio stante il progresso tecnologico il lavoro di nessuno sarà indispensabile per l’azienda, che può chiudere, ridimensionare, delocalizzare. Gli operai sono una classe. Devono esserlo. Vorrei la storia della lota in Whirlpool venisse introdotta anche nelle altre aziende proprio per educare gli operai a cosa significa essere uniti. È l’unità che noi operai Whirlpool abbiamo mostrato che ha fatto sì che fin da subito la nostra battaglia fosse condivisa da altri operai di altri stabilimenti. La nostra forza è nell’unità nel lavoro e nella lotta. E non c’è automazione che cambia questo stato di cose.
Parlando della lotta: come è partita e come si è sviluppata?
Accurso, RSU UILM:
Il 31 maggio 2019 andammo a Roma, convocati per il coordinamento delle RSU. Avevamo già il sentore di qualcosa che non andava. Nella presentazione dello “stato di salute” dell’azienda in Italia, slide dopo slide, vengono confermati tutti i vari siti produttivi, Varese, Siena, Milano, i vari siti di Caserta anche dopo la ristrutturazione. Noi eravamo, però, piuttosto tranquilli, avendo un accordo firmato con l’azienda nell’ottobre 2018 (il Piano Italia). Invece, quando le slide arrivano a Napoli, il sito di Via Argine porta una croce rossa sopra. Era in chiusura, diceva l’azienda. Di lì e cominciata la lotta. Di quella croce rossa dell’indelicata comunicazione di chiusura del sito napoletano annunciata così, senza preavviso e davanti ai delegati e rappresentanti di tutti gli altri stabilimenti, ne abbiamo fatto la “spunta verde” della nostra lotta, da subito, chiamando alla mobilitazione tutti gli altri stabilimenti. Nasce così il nostro simbolo, la “spunta verde”. IN quello stesso momento, andammo direttamente al Ministero. La forza e la rabbia con cui esprimemmo la nostra contrarietà si tramutò in un piccolo corteo. Arrivammo al MiSE. I segretari confederali salirono in delegazione. Subito il governo si premurò di darci un tavolo per trattare quanto era appena avvenuto. Chiamammo, nel frattempo, operai e compagni delle diverse fabbriche del territorio per chiedere solidarietà e di portare i loro striscioni al nostro stabilimento. Sapevamo che se la vertenza, lunga, difficile, che si stava aprendo, se l’avessimo chiusa nel solo nostro stabilimento, saremmo morti così, subito o un po’ alla volta. Sapevamo, invece, che la solidarietà è un’arma potente e che aprire la vertenza ad altre fabbriche, al territorio, al Paese, trasformarla in una “vetrina” della lotta, attirando giornalisti e politici che devono rendere conto ai metalmeccanici che li hanno votati, ci avrebbe dato una possibilità. Così cominciò la lotta.
Il movimento di solidarietà immediatamente da parte di tantissimi altri operai e lavoratori ha fatto della nostra vertenza un “caso nazionale”. Abbiamo imparato a “giocare su più fronti”: la battaglia “classica”, fatta di piazza e disturbo dell’ordine pubblico e quella “mediatica”, fatta di informazione e comunicazione. In questo c’è la differenza, ad esempio, tra noi e la lotta dei compagni dell’ILVA: noi siamo stati bravi a imporre la nostra lotta al Governo perché ne abbiamo costruito anche una narrazione che andava al di la della rivendicazione del nostro solo posto di lavoro, legandosi effettivamente ad altri settori sociali. Intervenire in altre situazioni di lotta sociale e chiedere che altri solidarizzassero con noi ha potenziato le nostre capacità di tenere l’iniziativa in mano. Poi tanti tavoli al MiSE, tanti incontri, impegni presi ma non ancora osservati. A nostro avviso la strada è quella giusta. Ma va verificata. IN sintesi, però, condividere la propria lotta con chiunque lotti, altri operai e lavoratori, ma anche società civile è un punto. L’altro è farne “caso mediatico”.
Le mobilitazioni nella nostra città sono state tante. Tanti gli attestati di solidarietà e le vostre stesse iniziative verso altri. Allo stato attuale delle cose, posti gli striscioni qui fuori e gli incontri già avuti in altre fabbriche, quali sono i rapporti che avete con altri operai di altri stabilimenti, in particolare quelli del nostro territorio di rifermento? Quindi, quale lo stato attuale dei rapporti degli operai Whirphool Napoli in lotta con altri operai?
Fusco, RSU FIOM:
Quanto dici dimostra di per sè come è importante avere un’organizzazione. Premetto che io lavoro in fabbrica da 24 anni, però, quando nacque il welfare contrattuale come metasalute, io ebbi un incarico dalla FIOM, ossia fare da supporto, andare in giro per le fabbriche a fare le assemblee sul fondo Cometa, cui partecipavo anche all’assemblea nazionale. Questo mi ha permesso, girando tutte le fabbriche, di avere molti rapporti con i compagni, sondarne gli umori e i pareri. Il fatto di poter disporre di contatti e numeri di telefono mi ha permesso un rapporto stretto, costante. Questa è stata la chiave per rinsaldare la tenuta degli operai. I contatti. Se chiamiamo i compagni di altre fabbriche, oggi, per una qualsiasi iniziativa, infatti, la risposta è immediata. È la dimostrazione che per quanto tante volte le organizzazioni sindacali o i partiti possano sembrare obsoleti, non si può lasciare all’opinione individuale, ai sondaggi televisivi o altro del genere la gestione di vicende: l’organizzazione della classe operaia è determinante. Un’organizzazione che lavora sulle cose perché collettivamente ragiona sulle cose. Un’organizzazione che, pertanto, sia pronta nei momenti del bisogno, poiché strutturata. È questo che ci ha permesso di reggere l’impatto con l’azienda e di non giocare solo “in difesa”. Erano anni che il sindacato era in discesa rispetto a numero iscritti e capacità di iniziativa. La situazione ci ha mostrato l’importanza, invece, di averne e di farlo funzionare per quelli che sono i suoi compiti: tutelare gli operai e i lavoratori.
Quindi, rapporti con altri stabilimenti sul territorio?
Fusco, RSU FIOM:
Ci sono stati e ci sono. Appena ci siamo mobilitati, immediata è stata la risposta di altri operai di altri stabilimenti. AVIO, B.Ticino, Hitachi. Abbiamo provato a far capitre da subito che la lotta in Whirlpool non era solo la lotta degli operai Whirlpool, ma la lotta contro un attacco più complessivo del padronato contro gi operai. E la cosa ha funzionato: c’è chi ha portato i cestini della propria mensa, chi si è autotassato per darci dei fondi economici, chi è venuto fisicamente con noi, anche alle manifestazioni a Roma, chi ci sostiene, chi ci ha invitato nella propria fabbrica, ecc.. L’utilizzo dei social è stato molto utile, per noi. Ci siamo dati un megafono che non avevamo prima. Ha funzionato. Oggi siamo in contatto perfino con Embraco, dall’altro capo del Paese. Cosa interessante, poiché, con loro, c’è stato una scambio particolarmente intenso: ci hanno chiamato per sapere come vivevamo “la storia”, principalmente non volevano sentirsi soli, e perché, attraverso i nostri racconti e la nostra storia, volevano trovare delle soluzioni o, semplicemente, condividere un problema che si aggrava se ci si sente pure soli ad affrontarli.
Abbiamo aperto un canale facebook ormai noto, “Whirlpool Napoli non molla” ed è tramite quel canale che siamo entrati in contatto, per fare solo degli esempi, con Treofan di Battipaglia, che stanno facendo la vertenza simile alla nostra, oppure con Bosch di Bari, i cui operai ci hanno ci hanno scritto di loro iniziativa o con l’ILVA di Taranto. Un “male comune” ci ha unito nel comprendere insieme che la situazione riguarda non uno, due o più stabilimenti, ma l’intero assetto produttivo del Paese e, quindi, la società nel suo complesso.
Che siano 50 o 200km, collegare le realtà operaie è strumento per condividere la lotta, trovare soluzioni, darsi la possibilità di vincere. Infatti, proprio agli operai Embraco abbiamo detto che la loro non era sfortuna o casualità, ma volontà specifica di Whirlpool e che, pertanto, dovevamo unirci nella stessa lotta contro la stessa azienda. Ci pare siano usciti rafforzati dallo scambio avuto con noi.
In una sola espressione, organizzazione e coordinamento ci permette di essere più forti.
Quindi il pratica di occupare la fabbrica (nel senso di occuparsi della propria fabbrica) e uscire dalla fabbrica (nel senso di collegarsi ad altre realtà e settori speciali) è stata una chiave vincente, mi pare di capire. In questo senso voi la considerereste come modello di riferimento per altri operai e altre fabbriche?
Fusco, RSU FIOM:
Per noi ha funzionato. Un’azienda, ricordando che stiamo parlando sempre di una grossa multinazionale, che ha imposto la chiusura, ma è stata costretta a ritirarla data la mobilitazione, oggi torna alla carica, ma si scontra con la resistenza significa è la dimostrazione che aver lavorato dentro la fabbrica e fuori ha funzionato.
Accurso, RSU UILM:
Vorrei ricordare che noi, in questi mesi, siamo stati minacciati di licenziamento. Abbiamo dovuto per forza lavorare così, dentro e fuori alla fabbrica. La vicenda Whirpool ha minato proprio le basi dei rapporti tra Confindustria e sindacati, perché se firmi un accordo tra parti sociali e dopo lo disdetti unilateralmente significa che degli accordi bilaterali non ti puoi fidare. Devi per forza costruire alleanze. Nel frattempo, però, abbiamo fatto tre incontri nazionali per il rinnovo del CCNL, ma, sul punto, siamo ancora a zero.
Quindi, rispetto al CCNL, nessuna nuova. Avete fatto assemblee in fabbrica?
Fusco, RSU FIOM:
Parliamo di incontri nazionali con la Confindustria. Noi dovevamo votare in fabbrica, ma abbiamo ritenuto che non fosse un buon momento per farlo. Con chi lo firmiamo l’accordo? Vale? Per chi? Per quanto? Di contrattazione c’è comunque bisogno, perché la lotta arriva fino a un certo punto. Poi devi sederti e stringere un accordo. In questa fase, però, il rinnovo del CCNL sarebbe una presa in giro, stante la situazione. Quale situazione? Quella di un’azienda che si è rimangiata ogni accordo sulla testa degli operai. Ci sono compagni che, convinti della sicurezza del futuro prossimo così come definito dagli accordi di ottobre 2018, hanno chiesto l’anticipo del fondo pensione per acquistare casa e accendere un mutuo, altri che hanno investito il TFR proprio in base a quell’accordo e, se l’accordo salta, perdono posto di lavoro, TFR e pure la casa per la quale hanno acceso mutuo. Degli stupidi, forse? Il punto è che se tu mi dici “io firmo un piano industriale con tanto di piano di investimento”, tu ovviamente, organizzi la tua vita di conseguenza. In Whirlpool è saltato questo. E oggi non c’è fiducia per accordi nuovi, per questo lottiamo per far rispettare quelli già in essere.
Parliamo di organizzazione interna alla fabbrica. Voi avete sostanzialmente un coordinamento delle RSU, che considerate come una sorta di Consiglio di fabbrica. Come funziona? È aperto a operai non RSU?
Accurso, RSU UILM:
Le RSU e il coordinamento rappresentano tutti gli operai, ma in diverse occasioni, in incontri anche istituzionali che abbiamo fatto, in Regione come al Comune, abbiamo fatto partecipare direttamente la base operaia, invece dei soli rappresentanti delegati. In alcuni momenti c’è bisogno che gli operai partecipino direttamente, si rendano conto delle cose non per sentito dire, ma sul campo, senza delega. Questo modo “aperto” di fare RSU permette un rapporto di fiducia stretto con la base operaia. Che è cosa determinante, perché è proprio nei momenti di difficoltà che tende a venire meno. Allora è proprio nei momenti di difficoltà che che, a maggior ragione, si deve sviluppare partecipazione diretta. Ad ogni modo, le decisioni che prendiamo, non vengono prese solo per delega, nelle riunioni di coordinamento RSU. Prima vengono decise in fabbrica, dove noi facciamo delle proposte. Analizziamo prima gli umori e gli orientamenti della base, poi ragioniamo le proposte, poi la facciamo. Insieme si decide. Vince il collettivo. Naturalmente, se anche un singolo operaio vuole partecipare alla discussione di coordinamento RSU, nella fase di ragionamento, la porta è aperta. Entra..
Quindi il coordinamento RSU agisce come autorità operaia, in questo senso. Volevo capire il rapporto tra il Consiglio di fabbrica nei termini detti e i sindacati in quanto tali.
Fusco, RSU FIOM:
Chi ha la responsabilità “politica” di prendere decisioni siamo noi, RSU. Ci mettiamo la faccia, ci mettiamo le firme sotto. Questo vale per tutto. Se dobbiamo portare gli operai fuori i cancelli, se dobbiamo decidere come oggi diciamo tutto quello che facciamo, la responsabilità politica ce la prendiamo noi. Detto ciò, le RSU non monopolizzano la scena. Anzi, il più delle volte spingiamo gli operai a intervenire direttamente su politici o in tv, piuttosto che andare noi.
Accurso, RSU UILM:
Un esempio recente è stata l’Assemblea delle Sinistre di Opposizione. Ci hanno invitato a intervenire. Lì, invece di andare noi RSU, abbiamo ragionato in fabbrica e deciso che un operaio sarebbe potuto intervenire, preparandosi un discorso che rappresentasse il discorso di tutti gli operai Whirlpool.
Scusate, insisto. Sul processo partecipativo e decisionale, funziona che il Consiglio di fabbrica si riunisce, elabora una proposta e la sottopone agli operai, o al contrario, cioè un’assemblea operaia fa le proposte e il Consiglio approva?”
Accurso, RSU UILM:
Funziona che noi veniamo eletti a rappresentanti operai.Gli operai che votano, esprimono gradimento rispetto al nostro lavoro e linea sindacale. Si riconoscono. In un certo senso si identificano. Quindi toccherebbe a noi decidere, per delega ricevuta appunto. Favorire partecipazione diretta, però, per noi, significa che quando devo prendere una decisione, è la base che dice se questa cosa va bene o no.
La ragione di questa domanda attiene al fatto che in altre situazioni, in altri stabilimenti ecc oggi si marca una distanza tra la base operaia e le rappresentanze sindacali, mentre il “caso Whirpool” dimostra come rimettere a servizio dei lavoratori il sindacato come strumento di organizzazione. Non trovate?
Fusco, RSU FIOM:
Noi siamo uno strumento. È giusto. Abbiamo, però, un livello di preparazione diverso da quello della media degli operai di base, perché per curare una mediazione tra le parti sociali, delle competenze specifiche ci vogliono. Sennò si rischia il “qualunquismo”. Quello che, in politica, da Berlusconi in avanti, abbiamo visto come norma di sistema. Tanto che oggi pare una “colpa” se se formato, istruito e hai esperienza politica e sindacale. Siamo uno strumento – dicevo – nel senso che gli operai hanno ed esprimono, oggi, un gruppo di rappresentanti diretti che funzionano da ariete nella battaglia. La questione non è lavorare sempre e solo alla base. La questione nodale, per la classe operaia oggi è avere una classe dirigente loro diretta espressione ed avvalersene.
Torniamo alla lotta. Durante la lotta lo stabilimento ha continuato a funzionare. Come? Avete pensato come Consiglio di fabbrica all’elaborazione di un piano alternativo per far funzionare lo stabilimento anche indipendentemente dall’azienda Whirpool?
Fusco, RSU FIOM:
Per lavorare con piani alternativi bisognerebbe che il mercato fosse razionalizzato. A mio avviso servirebbe oggi qualcosa di simile all’IRI degli anni Settanta. Non è possibile che sull’apparato produttivo del nostro éaese intervengano soggetti esterni che comprano aziende per chiuderle. Venga pure il privato, ma in un contesto regolamentato dallo Stato. È questa la sfida non solo del nostro Paese, ma dell’UE, compressa oggi tra il modello USA e quello cinese.
Si può dire, quindi, che la “sovranità nazionale” attiene alla “sovranità” e, quindi, in questa fase, alla difesa dell’apparato produttivo del Paese?
Fusco, RSU FIOM:
Esattamente. Noi operai Whirlpool siamo pronti ad andare pure a Bruxellesper questo. È una delle cose che abbiamo messo in cantiere con le risorse che abbiamo, andare lì ed esporre questo problema alla Commissione europea, facendo leva sui tanti politici italiani che ora stanno lì. Sovranità sull’apparato produttivo ed equiparazione al rialzo delle condizioni salariali a parità di categoria tra operai europei. Quindi, noi non ci fermiamo qua. La lotta continua.
Non voglio essere provocatorio, ma la domanda, a questo punto, viene da sé: siamo sicuri che il mercato possa essere regolamentato?
Accurso, RSU UILM:
La domanda è impegnativa, però se si vogliono trovare soluzioni per salvare il Paese qualcosa bisogna fare. L’azienda Whirlpool dice che il problema in Italia riguarda la vendita del prodotto. Noi pensiamo che è l’azienda stessa che volontariamente hanno creato questi problemi sulle vendite. Quindi le vendite devono essere regolamentate dallo Stato, facendo leva sull’eccellenza del prodotto delle maestranze operaie italiane e con una giusta definizione dei prezzi al dettaglio e della filiera della distribuzione. Si può fare, invece del mercato troppo “libero”che equivale alle sole “libertà” dell’azienda.
Fusco, RSU FIOM:
Intanto, chiosando tutto il ragionamento, operativamente noi continueremo a dare battaglia all’azienda per il ritiro del licenziamento e la cessione della proprietà nel quadro di una soluzione condivisa con il Governo, ripartendo dagli accordi produttivi dell’ottobre 2018.
Abbiamo trattato della storia della vostra lotta di questo ultimo anno e dell’organizzazione operaia interna allo stabilimento. Oggi, in piena emergenza Covid-19, qual è la situazione della fabbrica? Sarebbe a dire, come si è posta l’azienda Whirlpool rispetto all’emergenza? Come, invece, voi operai avete e state esercitando “controllo operaio” sulle manovre padronali? Quali le prospettive della lotta contro la chiusura?
Accurso, RSU UILM:
Quando è Nata l’emergenza covid-19, da subito abbiamo intrapreso misure per capire come poter continuare a lavorare e, allo stesso tempo, evitare rischi, in coordinamento con le segreterie nazionali confederali e contutto il gruppo Whirlpool Italia. Ovviamente essendo un nuovo virus, in scoperta giorno per giorno, abbiamo adeguato le misure in base alle informazioni e alle scoperte che, di giorno in giorno, si sono fatte in merito. Abbiamo lavorato fin quando il Presidente del Consiglio Conte ha lanciato il lockdown. Fino all’ultimo giorno abbiamo lavorato tanto per preservare il nostro posto di lavoro, ma, allo stesso tempo, per fare la nostra parte nel contribuire al sostegno del nostro Paese, con il lavoro. Ora, dopo circa un mese di fermo, nel mezzo delle imminenti aperture, non è stato facile poter continuare alla stessa maniera la lotta contro la chiusura del sito. Non ci siamo arresi, però. Abbiamo continuato a mantenere i contatti tra di noi operai con messaggi e chiamate, documentandoci e tenendo informazioni attive su tematiche legate al lavoro e alla nostra vertenza. Abbiamo tenuto aperti canali social dove poter aggiornare il tutto, continuato a lasciare dichiarazioni ai giornali e in programmi tv. Dove possibile siamo riusciti anche a fare riunioni in videochiamata.
In merito al Covid-19, la nostra azienda ha sempre dimostrato di voler tenere i siti produttivi aperti. Sicuramente i principi che determinano questo volere sono diversi da quelli nostri, che mettiamo al centro l’operaio e la sua sicurezza. L’azienda si muove per profitto. Nell’eventualità di una riapertura immediata, infatti, ci siamo dovuti di confrontare e scontrare sulla necessità di avere come prima misura un protocollo che garantisse prima di tutto la sicurezza dei luoghi di lavoro. Intesa preliminare e precondizione a qualsiasi ipotesi di riapertura. Resta nostra convinzione che la prima necessità è quella di vivere, poi di lavorare.
In un coordinamento operaio unitario tra RSU, applichiamo principi che interessano tutto il gruppo e ci muoviamo assieme per poter essere compatti sia per quanto riguarda il lavoro sicuro sia per quello che sarà il continuo della nostra lotta, che, per ora, ancora non è finita e non l’abbiamo mai sospesa, in verità. Lotta che, appena si potrà tornare a lavoro – si spera il prima possibile – e alla normalità, riprenderà con maggiore forza, data non solo la nostra crisi aziendale, ma il momento storico più complessivo, per il nostro Paese e per l’intera umanità.
La lotta contro la chiusura del sito di Napoli è, in realtà, la lotta di tutti gli operai del gruppo Whirlpool in Italia. Quali sono, allo stato attuale delle cose, i rapporti con gli operai degli altri stabilimenti del gruppo (Siena, Cassinetta, ecc.)? Avete fatto, in questo periodo di chiusura forzata degli stabilimenti e quarantena, riunioni di coordinamento? Utilizzando quali strumenti (call-meeting, videoconferenze o altro)? Se si, con quali esiti? Se no, avete intenzione di farne? Con quali obiettivi particolari?
Fusco, RSU FIOM:
La pandemia che ha investito l’Italia ha fatto emergere il ruolo fondamentale dell’economia reale e chi è la vera ricchezza di un Paese: gli operai e i lavoratori. Nello specifico della nostra vertenza, la pandemia ha bloccato le iniziative sul campo, ma ha fatto sì che potenziassimo il canale social/multimediale. Le occasioni di confronto sono state in questa fase, di fatto, monopolizzate dalla vicenda Covid, ma è emerso, ancora più forte, condiviso anche dai compagni di altri siti, come fondamentale sia un piano industriale non solo del gruppo, ma del Paese intero. Un piano che rafforzi le produzioni e rilanci la crescita. Se da questa vicenda usciremo con una sconfitta, che per noi è la chiusura del sito, vuol dire che non avremo imparato niente e che il nostro Paese declinerà. Ecco perché la nostra lotta non è solo la nostra.