Tutto può essere meglio di prima

Editoriale

“Nulla sarà più come prima” è una constatazione. I comunisti devono aggiungere un pezzo: “tutto può essere meglio di prima”. La mobilitazione della classe operaia e delle masse popolari organizzate può realmente decidere che tutto andrà meglio di prima e ai comunisti sta il compito e la responsabilità di dirigerle, orientarle e organizzarle affinché impongano il loro governo di emergenza, un governo che di fatto le farà avanzare nella lotta per l’instaurazione del socialismo.

Oggi non si tratta più di scegliere tra continuare a vivere in maniera tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di decidere se continuare a soffrire la fame ed essere mandati al massacro per interessi estranei, per gli interessi di altri, o se fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità – Lenin, Posizioni di principio sul problema della guerra – dicembre 1916.

Come una guerra
Anche se non ci sono i bombardamenti e per il momento non mancano i beni di prima necessità, l’emergenza Covid-19, combinata con il degrado morale e materiale a cui la borghesia ha ridotto la società, ha innescato una serie di eventi che hanno gli effetti di una guerra. Per il sistema economico e per l’apparato produttivo il Covid-19 ha l’effetto di una guerra che distrugge decine di migliaia di posti di lavoro e di intere filiere produttive, mentre in particolari e limitati settori gli affari vanno alla grande (industria medica e farmaceutica). Per quanto riguarda il sistema politico, la classe dominante gestisce l’emergenza Covid-19 come una guerra: tutte le attività tipiche del “tempo di pace” sono sospese o proibite, i territori sono militarizzati. Senza entrare nel merito se i numeri siano veri o falsi, i dati ufficiali parlano di più di 25 mila morti in 2 mesi, un numero, in proporzione, enormemente più alto delle vittime di una guerra fra le più sanguinose (i morti della guerra nella ex-Jugoslavia, descritta come “il primo genocidio dalla Seconda Guerra Mondiale” sono stati 100 mila dal 1992 al 1995).
Come ogni evento traumatico sconvolge le cose, con l’emergenza Covid-19 anche il comune sentire delle masse popolari, ciò che pensano spontaneamente sulla base della loro esperienza diretta e delle influenze del contesto storico e sociale in cui vivono (il senso comune) sta cambiando profondamente e velocemente. Ogni classe sociale è sballottata dagli eventi e alimenta il rapido sviluppo della situazione rivoluzionaria perché le due classi fondamentale della società (borghesia e proletariato) non possono più e non vogliono più vivere come prima.
In particolare sta cambiando per milioni di lavoratori dipendenti, che già subivano gli effetti della fase acuta della crisi generale che si era aperta nel 2008, a cui è sbattuta in faccia la realtà: nella società capitalista il loro unico ruolo è produrre per il profitto dei padroni, obbligati a lavorare in aziende che producono beni e servizi non essenziali per fare fronte all’emergenza e in certi casi persino nocivi per le masse popolari e l’ambiente, costretti a lavorare senza protezioni e distanziamento che invece sono imposti manu militari fuori dalle aziende. Idem per milioni di lavoratori autonomi, piccoli commercianti, piccoli imprenditori, professionisti che la propaganda martellante e retorica presenta come “la spina dorsale dell’economia” e che le misure governative condannano invece all’incertezza assoluta e alla povertà, ridotti come sono a contendersi anche i 600 euro di contributo statale.
Nonostante la propaganda di regime, cresce fra le masse popolari la consapevolezza che dalla classe dominante e dalle sue autorità e istituzioni non arriverà nessuna soluzione positiva, non possono e non vogliono adottare le misure necessarie ad affrontare l’emergenza sanitaria ed economica. A causa dell’attuale debolezza del movimento comunista, tuttavia, ancora non cresce abbastanza rapidamente la consapevolezza che soltanto la classe operaia e le masse popolari organizzate possono fare fronte alla situazione mobilitandosi direttamente per affermare i loro interessi prendendo in mano il governo del paese e le amministrazioni locali. I loro interessi sono gli unici coerenti con l’esigenza di fermare il contagio, curare gli ammalati, riorganizzare la produzione e la distribuzione di beni e servizi che servono, impedire le speculazioni e conformare le attività umane alla difesa dell’ambiente. Per fare fronte alla situazione bisogna mobilitare i lavoratori e le masse popolari anziché confinarle in casa.

L’attuale debolezza del movimento comunista alimenta sbandamenti anche fra molti di coloro che si definiscono comunisti. Ci sono compagni che si sono allineati alle disposizioni governative per un mal compreso e mal interpretato “senso di responsabilità verso la collettività” e si fanno promotori a loro volta della propaganda di regime (“stare in casa”) finendo con l’assolvere da ogni responsabilità la classe dominante con la criminalizzazione di singoli cittadini o categorie di cittadini (i runners vengono insultati alla pari di untori, mentre i sindaci-sceriffo diventano i paladini della salute pubblica). Molti di questi compagni riacquisteranno delle giuste posizioni man mano che il movimento comunista si rafforza e cresce. La questione principale, dunque, oggi è la concezione e la pratica con cui i partiti e le organizzazioni comuniste del nostro paese affrontano i problemi creati dalla gestione dell’emergenza da parte dei vertici della Repubblica Pontificia.

Comunisti come?
Tra i partiti, gli organismi e i singoli che si dicono comunisti si confrontano e scontrano le seguenti linee:

una linea attendista che consiste nell’aspettare di tornare alla “normalità”, descrivendola nel frattempo a tinte fosche e indicando di prepararsi a “far pagare questa crisi ai capitalisti, non ai lavoratori”, cioè prepararsi a riprendere con le rivendicazioni e con la partecipazione alla lotta politica borghese “quando le cose si saranno sistemate”. Al di là delle parole con cui è rivestita, chi promuove la linea attendista ripete oggi quello che nei paesi imperialisti i partiti socialdemocratici della II Internazionale fecero durante la Prima Guerra Mondiale: votando i crediti di guerra in parlamento, si accodarono alla borghesia del proprio paese. Anche se lo fa in nome della lotta al contagio anziché della “difesa della patria” il risultato non cambia: promuove la “santa alleanza” tra sfruttatori e sfruttati patrocinata ieri da Sergio Marchionne e oggi da Conte a braccetto con Mattarella e Bergoglio.

Una linea riformista che consiste nell’indicare quello che governo, istituzioni e padronato dovrebbero fare (i “consiglieri del principe” – ma quanti “consigli” sono mai stati accolti? – ndr), ma non fanno. La linea del mutualismo che consiste nel mettere qua e là delle toppe a quello che governo e istituzioni non fanno e rimandare a quando torneremo alla “normalità” le discussioni sul “che fare” in campo politico. Essa è similare a quella riformista dal punto di vista strategico (non persegue e non indica un obiettivo diverso), ma è tatticamente più avanzata poiché contrasta l’idea che le masse popolari debbano rimanere immobili e passive nel bel mezzo dell’emergenza. Fautori della linea del mutualismo sono gli organismi e i movimenti che stanno promuovendo le brigate di volontari per l’emergenza. Il loro lavoro è prezioso poiché raccoglie la parte avanzata dei giovani, li organizza e li mobilita, perché incalza le amministrazioni locali e le istituzioni, le stimola e contende loro il campo innescando un processo positivo. è solo grazie alle brigate volontarie per l’emergenza se in una città come Milano, ad esempio, migliaia di famiglie hanno avuto accesso ai generi di prima necessità. La mobilitazione pratica pone questi organismi di fronte a un bivio: attestarsi al ruolo accessorio rispetto alle autorità e istituzioni borghesi oppure assumere un ruolo di orientamento e direzione anche rispetto alle amministrazioni locali e alle altre autorità e istituzioni in ragione del legame diretto con le masse popolari e con l’azione di aggregazione, organizzazione e mobilitazione degli elementi e dei settori più avanzati di esse.

– Una linea massimalista che consiste nell’indicare il socialismo come la soluzione alla situazione d’emergenza, ma nell’aspettare che la rivoluzione scoppi. L’esperienza del movimento comunista dimostra senza nessun margine di dubbio invece che la rivoluzione va organizzata e promossa attraverso la costruzione del potere della classe operaia e delle masse popolari alternativo al potere della borghesia imperialista. Già Lenin (Il fallimento della II Internazionale – maggio-giugno 1915) aveva chiarito che la rivoluzione socialista avviene solo in un contesto di situazione rivoluzionaria, ma non è automatico che una situazione rivoluzionaria sfoci nella rivoluzione socialista. Anzi, senza la direzione del movimento comunista, la mobilitazione delle masse popolari può essere cavalcata dalla borghesia imperialista in chiave reazionaria. L’affermazione del fascismo in Italia a seguito della grande mobilitazione del Biennio Rosso è, a tal proposito, un esempio da cui attingere non solo moniti, ma anche insegnamenti preziosi.

La concezione che la rivoluzione scoppia per cause indipendenti dall’azione cosciente e organizzata dei comunisti sulla parte avanzata della classe operaia e delle masse popolari porta all’immobilismo e all’attendismo e coltiva il disfattismo perché si traduce nel lasciare campo libero alle manovre della classe dominante.

Agire da comunisti vuol dire concepirsi e agire come nuova classe dirigente delle masse popolari, significa organizzare e mobilitare le masse popolari a far fronte all’emergenza sanitaria, economica, sociale e politica e indirizzare le loro attività e l’attività degli organismi sindacali, sociali e politici in qualche modo legati alle masse. Significa infondere coraggio a noi stessi e alle masse popolari, dando a ognuno la possibilità di contribuire al massimo delle sue capacità e del suo livello per attuare le misure di emergenza che servono, misure che creano partecipazione e protagonismo e diventano esperienze di costruzione del nuovo potere delle masse popolari organizzate. Significa condurre ogni operazione in modo da alimentare fiducia nel nostro campo e nuoccia al nemico di classe (individui e istituzioni), intralci o impedisca le sue operazioni.
Questo è agire da comunisti nelle condizioni sussistenti oggi, farlo con l’obiettivo di costituire un governo di emergenza delle masse popolari organizzate, il Governo di Blocco Popolare. Questo è l’oggetto concreto della lotta politica rivoluzionaria in questa fase. Dedichiamo interamente il numero di Resistenza a questo argomento.

Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che l’obiettivo [della lotta rivoluzionaria di massa] è il “socialismo”. Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo. Ma questa posizione è assolutamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generale, troppo vaga. (…) Oggi non si tratta di contrapporre genericamente due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre la pratica concreta della concreta “lotta rivoluzionaria di massa” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso. (…) L’oggetto concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista, non nel “socialismo” in generale.
Lenin, Posizioni di principio sul problema della guerra, Dicembre 1916

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