Piacenza, 7 aprile 2020. “Sono di poche ore fa gli articoli in cui viene dichiarato che la Prefettura di Piacenza ha concesso la riapertura di numerose aziende a fronte delle tante domande di deroga al Decreto Coronavirus. Noi operatori sanitari di Piacenza abbiamo fatto l’impossibile per tutelare la salute di tutti i cittadini, tutti e tutte, nessuno escluso, anche di coloro che si sono messi a rischio, in barba a decreti e provvedimenti.
Siamo rimasti in corsia, non abbiamo mollato, abbiamo fatto appelli, sono state rilasciate interviste per far capire l’eccezionalità dell’emergenza che ha colpito il nostro territorio e negli ultimi giorni ci siamo illusi di avercela quasi fatta, il messaggio sembrava passato: la pericolosità di questa epidemia era stata compresa, cominciavamo ad avere un po’ di respiro. Sembrava la fine di una strage senza precedenti.
Ora queste autorizzazioni ci fanno temere un pericoloso colpo di coda: non siamo ancora in fase di ripresa, stiamo ancora risolvendo la fase di picco! Davvero vogliamo vanificare gli sforzi? Davvero vogliamo correre il rischio di dover affrontare una nuova fase di emergenza con ripercussioni ancora peggiori sul sistema sanitario e sull’economia? State a casa, fermate le attività ancora per qualche giorno. Invertite la rotta o saremo noi infermieri a fermarci”.
Questa lettera aperta è stata scritta e pubblicata da alcuni lavoratori della sanità iscritti ai sindacati FP-CGIL, CISL-FP e UIL FPL di Piacenza. L’hanno indirizzata alla cittadinanza, ai sindaci di tutta la provincia e alla prefettura. Il loro esempio è stato seguito nei giorni successivi da alcuni lavoratori della sanità di Massa Carrara, che hanno fatto altrettanto lo scorso 16 aprile. In quei giorni e nelle settimane successive, migliaia di aziende hanno ottenuto deroghe al decreto di chiusura con una semplice autocertificazione inviata alla prefettura, in cui dichiaravano di rientrare o di essere legate in qualche modo a una filiera di produzione essenziale. I controlli sulla legittimità di queste autocertificazioni sono una goccia nel mare e decine di migliaia di lavoratori hanno continuato ad assembrarsi nelle aziende, senza alcuna reale verifica delle condizioni igienico-sanitarie. Tutto ciò mentre ancora ci viene vietato di farci una innocua, solitaria passeggiata: il dispiegamento di forze repressive e i fondi che vengono stanziati per controllare gli spostamenti dei cittadini attraverso pattugliamenti, droni e fermi di polizia, potrebbero e dovrebbero essere utilizzati per controllare gli abusi degli industriali e contribuire a una campagna di tamponi a tappeto e al risanamento della sanità pubblica!
Ora che stiamo entrando ufficialmente nella “fase 2” della mala gestione dell’epidemia, l’esempio dato da questi lavoratori vale ancora. Oltre a quelli che non si sono mai fermati, altri milioni di lavoratori si accingono a ritornare sui posti di lavoro con poche o nulle garanzie in merito al rispetto delle misure di prevenzione e sicurezza. Non è un problema che riguarda solo le piccole-medie imprese: anche da alcune grandi aziende, come la Dalmine di Bergamo, arrivano segnalazioni anonime di lavoratori costretti a lavorare in condizioni di evidente esposizione al contagio.
Le responsabilità politiche e materiali dell’evitabile strage sono ormai chiare e sono riconducibili a Confindustria e ai suoi lacchè nel teatrino della politica borghese. Per questo, l’appello del personale sanitario di Piacenza e di Massa Carrara è importante: è un positivo e utile esempio di lavoratori che dalla prima linea del fronte si occupano del proprio territorio, puntando a che si prevengano ulteriori contagi e vittime. Che altri lavoratori della sanità in tutto il paese, assieme agli operai e ai lavoratori costretti a tornare al lavoro, facciano altrettanto costituendo comitati di lavoratori, di personale socio-sanitario e utenti per vigilare sulle produzioni e per imprimere un cambio, qui e ora, nella gestione della salute pubblica!
La tutela della salute delle masse popolari contrasta nettamente con l’urgenza che i capitalisti hanno di riprendere a fare affari. Basta morti per il profitto dei padroni, è necessario organizzarsi e coordinarsi in ogni dove fino a imporre un governo d’emergenza popolare che pianifichi la produzione secondo gli interessi delle masse popolari e ridia forza e strumenti al Servizio Sanitario Nazionale. Il cambio di rotta bisogna imporlo con ogni mezzo: all’emergenza sanitaria, economica e sociale, dobbiamo rispondere con misure emergenziali che siano a nostra tutela!