Fase 1 o fase 2 la questione è resistere alle manovre della classe dominante e contrattaccare per liberarcene. Qui di seguito, in breve, alcuni esempi. Non si tratta di fare tutti le stesse cose, ma di prendere spunto e attivarsi alle condizioni concrete in cui ognuno si trova a operare. Non importa essere in tanti, si tratta di iniziare anche in pochi e collegarsi con chi ha già iniziato.
Dentro e fuori dalle aziende. Sono numerosi gli esempi di gruppi di operai, in certi casi RSU, che si sono attivati per pretendere misure di sicurezza adeguate o, in mancanza di esse, per promuovere l’astensione dal lavoro. A pag. 6 e 7 ne riportiamo alcuni. Segnaliamo l’esperienza del SI COBAS che ha combinato la mobilitazione nei posti di lavoro (con scioperi, controllo del rispetto delle norme sanitarie) con la mobilitazioni fuori dalle aziende, in particolare a Piacenza. Qui gli iscritti al sindacato hanno dato vita alla Protezione Civile Proletaria distribuendo mascherine e altri dispositivi di protezione e igiene (guanti, disinfettanti, ecc.), oltre alla raccolta e distribuzione di generi di prima necessità alla popolazione.
Trasporto pubblico locale. Nel pieno della futile discussione su fase 1 e fase 2 promossa dalla classe dominante, la questione del trasporto pubblico ha avuto un peso particolare: riaprire tutte le aziende significa rimettere in circolazione milioni di persone che si spostano anche con i mezzi pubblici. Nel calderone di analisi del rischio ridicole e farsesche, brilla invece l’iniziativa dell’OR.S.A (un sindacato di categoria delle ferrovie) che ha indirizzato a Conte una lettera in cui indica chiaramente l’unica soluzione per fare fronte all’emergenza nel trasporto locale: l’inversione di tendenza rispetto al principio di “massimo profitto con il minimo impiego di forza lavoro” che ha guidato gli amministratori fino a oggi. Il sindacato propone anche una diminuzione dell’orario lavorativo a parità di salario per far fronte alla disoccupazione che aumenta. Di estrema importanza anche l’iniziativa del Comitato dei pendolari e dei viaggiatori della Lombardia: in una lettera all’Assessore Regionale alle infrastrutture, ai trasporti e alla mobilità sostenibile, Claudia Terzi, inchioda la Regione alle proprie responsabilità in tema di trasporto pubblico locale e indica un vero e proprio programma in sei punti per far fronte all’emergenza, proponendo un confronto settimanale con l’assessore per la sua attuazione.
Nei quartieri. Le Brigate volontarie di solidarietà. Sono sorte rapidamente in tutto il paese, quasi sempre sulla base di organismi già attivi (organizzazioni operaie, popolari e centri sociali), sono diventate fra i principali strumenti di organizzazione e mobilitazione dei giovani. Le esperienze più avanzate sono quella di Milano (in ogni municipio opera almeno una Brigata) dove i servizi effettuati sono ormai sull’ordine delle migliaia, e di Napoli, dove esisteva già un importante rete di mutualismo che si è ulteriormente sviluppata, ma organismi similari sono attivi in molte città, grandi e piccole, e paesi. Mentre le istituzioni si preoccupano di garantire i profitti dei padroni e di reprimere chi non rispetta per un motivo o per l’altro la consegna di “stare in casa”, è grazie all’attività delle brigate che migliaia di famiglie stanno ricevendo assistenza e supporto economico.
Mobilitazioni per misure di emergenza a favore delle masse popolari. Promossa inizialmente dalla Camera del Non Lavoro di Milano e poi fatta propria da numerose realtà in tutto il paese, fino a venire rilanciata anche da sindaci come De Magistris e parlamentari della maggioranza, è la rivendicazione di un Reddito di Quarantena per tutti i lavoratori e disoccupati e la sospensione dei pagamenti di affitti, bollette, mutui, ecc. Rivendicazioni portate avanti soprattutto per via telematica per varie settimane, ma che attorno al Primo Maggio sono arrivate nelle strade e nelle piazze di tutto il paese. Si intrecciano a queste diffuse mobilitazioni quelle promosse dagli organismi popolari che denunciano l’uso improprio dei bonus spesa: i soldi stanziati dal Governo e arrivati ai Comuni in certi casi non sono erogati. Come a Quarto (NA) dove si sono svolti presidi sotto il Comune. Le richieste di incontro con il Sindaco sono rimaste inevase, il Sindaco continua a negare chiarimenti, a barricarsi nei suoi uffici e ricorre alla celere per picchiare e disperdere i manifestanti che, come di consueto, rispettano tutte le norme di sicurezza sanitaria.
Nella sanità si moltiplicano gli esempi di coordinamento, mobilitazione e attivismo. A pag. 7 scriviamo del personale sanitario di Piacenza e di Massa che ha annunciato l’astensione del lavoro in caso di riapertura delle aziende in mancanza di solidi riscontri scientifici sulla diminuzione dei contagi. Qui citiamo l’esempio dell’ADL Cobas della Lombardia. Fin dai primi momenti dell’emergenza il sindacato è intervenuto puntualmente per contestare la gestione dell’emergenza della Regione a guida leghista, non limitandosi alla denuncia, ma indicando soluzioni efficaci da intraprendere. Che ovviamente sono rimaste inascoltate. Fra di esse va menzionata l’inchiesta sull’ospedale chiuso di Legnano, in condizioni di perfetta agibilità per fare fronte all’emergenza sanitaria, ma che è stato scartato dalla Regione in favore della costruzione dell’ospedale in Fiera, costato più di 20 milioni e rimasto pressoché inutilizzato.
Di particolare utilità anche l’esperienza dei lavoratori ANFFAS di Firenze. A fronte delle reticenze delle istituzioni nel fornire i DPI nonostante fossero essenziali per lo svolgimento del servizio, hanno scritto una lettera pubblica, anonima (condizione imposta dalle famigerate regole della fedeltà aziendale e dettata dalla necessità di prevenire ritorsioni), alla Direzione, all’Amministrazione comunale e regionale in cui hanno tatto presente l’impossibilità di garantire un servizio necessario. In questo modo sono riusciti a ottenere i DPI, ma non si sono fermati: hanno organizzato i turni di lavoro sulla base delle disponibilità ed esigenze, a fronte del taglio del personale perché il servizio diurno ai disabili è stato sospeso, e lo hanno imposto de facto ben prima che fosse accettato dalla Direzione. è un piccolo esempio, circoscritto, ma di grande valore: anche in pochi, uniti, è possibile far valere i propri diritti e i diritti delle masse popolari. Su questa base la mobilitazione prosegue: per nuove assunzioni e per garantire un servizio dignitoso a tutte le persone che ne hanno bisogno.
Abbiamo già trattato nel numero 4/2020 di Resistenza la mobilitazione degli organismi popolari di Napoli e rimandiamo a quell’articolo e agli articoli della Agenzia Stampa Staffetta Rossa gli approfondimenti. Menzioniamo soltanto in questo articolo il lavoro continuativo e capillare del Comitato contro la chiusura dell’ospedale San Gennaro e della Consulta sanità del Comune di Napoli con l’invito ai lettori di approfondire. Sono esperienze che nel corso dell’emergenza sono diventate una luce, un orientamento, tanto per i lavoratori della sanità quanto per gli utenti e le masse popolari tutte.