Riceviamo e diffondiamo la breve lettera di un compagno, Ivan (è uno pseudonimo che utilizziamo a copertura della sua identità), in forze in un corpo di Polizia Municipale. Gli addetti nei corpi di Polizia Municipale, analogamente agli addetti della vigilanza privata, delle forze dell’ordine e delle forze armate, sono tra i settori più colpiti dalla gestione criminale dell’emergenza sanitaria. Come denuncia Ivan la direttiva ricevuta agli inizi dell’emergenza da lui e dai suoi colleghi era di non indossare mascherine per non ingenerare paura nella cittadinanza. E’ un segno del disprezzo delle autorità del nostro paese per le condizioni di lavoro dei suoi tutori dell’ordine: elogiati quando occorre aizzarli contro lavoratori e masse popolari, trattati come carne da cannone nei loro ordinari servizi e poi scaricati ed emarginati se osano organizzare la minima denuncia delle loro reali condizioni. Il breve scritto di Ivan dimostra che anche in questo settore particolare delle masse popolari, un settore a cui la borghesia dedica una specifica cura per formare gli adepti del proprio regime criminale, ci sono individui che cercano di analizzare la situazione traendo ispirazione dalla concezione comunista del mondo e che su questa base cercano di svolgere il proprio ruolo, come “tutela del popolo esercitata da agenti del popolo” scrive Ivan. Come denunciamo senza sosta gli abusi in divisa e chi li perpetra così dobbiamo sostenere quanti, dall’interno dei corpi dei “tutori dell’ordine”, aspirano ad organizzarsi per mettere il proprio ruolo al servizio delle masse popolari, delle loro rivendicazioni, delle loro aspirazioni.
Un caso simile giunto alla nostra redazione è quello in riferimento all’articolo [Italia] La lotta di classe infuria: lettera di un lavoratore della vigilanza privata.
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Cari compagni del Partito dei CARC,
i cantori de “la fine del lavoro” se ne facciano una ragione: l’ Italia continua ad essere una repubblica fondata su di esso. La pandemia ha messo, se mai ce ne fosse ancora bisogno, ancora più in evidenza come il lavoro sia l’ asse portante di una società. In tempi di Coronavirus il tutto appare in tutta la sua disarmante linearità. È necessario infatti che qualcuno produca le merci; qualcuno le distribuisca; qualcuno curi i malati; qualcuno, infine, si occupi di fare rispettare le norme di contenimento del virus. Allo stesso modo, però, lo schema mercantilista prevede una sua coerenza. Il lavoro deve essere sfruttato nella sua forma peggiore. Non tutelandolo. Si chiede così a tutti di partecipare ad uno sforzo collettivo rinunciando a delle tutele. Con un sacrificio ancora maggiore. Operai, addetti alla logistica, medici ed infermieri, agenti addetti ai controlli devono produrre uno sforzo ben maggiore non ricevendo protezioni adeguate. Le mascherine o i tamponi diventano così una concessione. Che non arriva. E quando arriva, lo fa tardi e di pessima qualità. Lor signori non vogliono che il circo si fermi. Dall’alto del loro pulpito telematico, delle loro magioni curate, sciorinano ricette antiche in cui il profitto rimane la bussola. Bisogna lavorare gomito a gomito, producendo merci spesso inutili che poi vanno consegnate da gente cui vengono imposti turni asfissianti. I medici e gli infermieri devono seguire ritmi schiavistici perché la sanità pubblica è stata distrutta per favorire le cliniche dei preti. Senza tralasciare i “tutori dell’ ordine” cui il sistema a parole si mostra tanto devoto e a cui nei primi giorni di diffusione del virus si consigliava di non indossare mascherine per non ingenerare paura nel cittadino. L’esigenza di un cambio di paradigma diviene pertanto pressante. L’evoluzione delle cose lo ha reso evidente. Uno stato può affrontare le sfide di questo tipo solo tutelando i suoi principali attori. Lo stato deve poter pianificare la produzione. Orientandola secondo le esigenze che il bene comune impone. La sanità non può che essere pubblica e libera da logiche aziendalistiche. Il contenimento di una pandemia non può avvenire a scapito dei lavoratori di alcun settore. È necessario che le risorse pubbliche vengano dirottate dai “padroni del vapore”, con la sede legale in Lussemburgo, all’acquisto di dispositivi di tutela dei lavoratori tutti. Tutori dell’ordine inclusi. Perché non c’è causa migliore che la tutela del popolo esercitata da agenti del popolo.
Ivan, agente Polizia Municipale