CdF Solvay di Rosignano (LI) – Intervista ad Antonio Zaimbri

Anche alla Solvay prima del CdF c’era la Commissione Interna: quali erano le principali differenze?
Ho iniziato a lavorare alla Solvay nel 1963, a 21 anni.
Rispetto alla Commissione Interna, la partecipazione al CdF era maggiore: la Commissione Interna aveva 13 membri, mentre il CdF circa 30. Per eleggere la Commissione Interna era prevista un’unica tornata di votazione che riguardava tutto lo stabilimento, mentre i membri del CdF venivano eletti per singoli reparti o zone e questo già dava una diversa connotazione ai due organismi.
Per quanto mi riguarda ho sempre frequentato il CdF, anche se non sempre in qualità di membro eletto. Facevo infatti parte di un gruppo formato da sei lavoratori, tutti turnisti addetti alla strumentazione (i turni prevedevano 4 persone che ruotavano e 2 riserve) che non aveva un reparto definito. Quindi a volte venivo eletto mentre altre partecipavo dietro indicazione del reparto.

Quindi tutti potevano partecipare?
Sì, tutti potevano partecipare. Il CdF non aveva regole rigide

Qual era il suo ruolo?
Il lavoro del CdF all’interno dello stabilimento era assimilabile a quello del sindacato.

Puoi farci qualche esempio?
Ricordo che, nonostante ci fossero varie sigle sindacali e divisioni interne, il CdF era riuscito a bloccare l’emorragia di operai e dipendenti, imponendo a livello contrattuale una soglia minima di 3250 lavoratori occupati. E per qualche tempo l’accordo è stato rispettato.

Il CdF non era attivo solo dentro la Solvay: di cosa si occupava all’esterno?
All’esterno era da traino per le piccole aziende, soprattutto per quelle che lavoravano in appalto per la Solvay. Anche in queste aziende c’erano dei CdF che facevano riferimento a quello della Solvay.

Qual era il rapporto tra il CdF e gli studenti, soprattutto universitari, che in quegli anni erano molto organizzati?
È stato proprio attraverso il contatto con alcuni studenti che io sono approdato a Lotta Continua. Negli anni tra il 1966-1967 (quando in fabbrica c’era ancora la Commissione Interna) due o tre studenti universitari cominciarono a frequentare la Camera del Lavoro. Quelli più assidui erano uno studente di ingegneria e uno di giurisprudenza.
Attraverso di loro si arrivò a costituire un primo nucleo, prima di Potere Operaio poi di Lotta Continua, a cui io ero iscritto.

Com’erano i rapporti con il sindacato e con il partito comunista?
Il partito comunista aveva allora una grossa influenza sul CdF. Il CdF poggiava su operai che facevano capo al PCI, poi ce n’erano alcuni del PSI e anche qualche iscritto alla CISL e alla UIL. I rapporti con i sindacati erano in parte di collaborazione, ma anche di divergenza. Da questi rapporti nascerà, su spinta del ‘68 e dell’Autunno Caldo, l’unificazione sindacale dato che CdF non erano strutturati per correnti sindacali.
Il ‘68, l’Autunno Caldo e gli anni successivi sono stati anni di lotte dure ma che hanno permesso di ottenere numerosi risultati (aumenti salariali, ferie uguali per tutti al di là della qualifica, ecc.)

Il CdF lottava solo per ottenere miglioramenti delle condizioni di lavoro in fabbrica alla stregua del sindacato oppure era anche altro e guardava alla lotta politica generale?
Gli elementi più avanzati presenti nel CdF sicuramente guardavano oltre, non si limitavano solo alla lotta per ottenere aumenti di stipendio e giorni di ferie in più. Guardavano al cambiamento del paese. La lotta per lo Statuto dei Lavoratori, ad esempio, presupponeva una visione più ampia, che guardava oltre la fabbrica, alla società nel suo complesso.

A tuo parere perché l’esperienza dei CdF si è esaurita, quali errori sono stati fatti nei CdF?
Anche nei CdF ci si è, a torto, crogiolati sui successi ottenuti. La vittoria ottenuta con lo Statuto dei Lavoratori e altre sono state date per definitive: ma la libertà se non la difendi tutti i giorni finisce che te la levano ed è questo che poi è effettivamente successo. Inoltre nel CdF ha prevalso una sorta di burocratizzazione, ai vertici hanno finito per esserci sempre quelli che prendevano i distacchi sindacali. Su questo ci sono stati diversi scontri e io chiaramente con questa gente mi ci scontravo di continuo. Mi ricordo una volta un dirigente a cui avevo segnalato il problema di un lavoro brutto che veniva fatto, molto pericoloso. Lui mi rispose: “guarda che non c’è più questo problema, perché adesso quel lavoro lo fa la ditta esterna”. Come se i lavoratori della ditta esterna fossero carne da macello!

Secondo te è possibile riproporre i CdF nelle grandi aziende, ovviamente facendo tesoro degli errori e dei limiti?
Dal mio punto di vista oggi un CdF può reggere solo se ha alle spalle ed è sostenuto da un movimento come ad esempio può essere quello delle Sardine, degli ecologisti o dei giovani. Se esiste questo collegamento tra il CdF e quanto si muove fuori, allora il CdF può funzionare, altrimenti la vedo dura perché oggi sindacalmente non conti più nulla e se c’è un problema che fai? Scioperi? Oggi le aziende chiudono!
Quando la Solvay produceva 3400 tonnellate di soda al giorno e tu gli bloccavi la produzione, allora sì che li mettevi in difficoltà. Noi quando c’era lo sciopero proponevamo sempre la comandata, ovvero lavorano solo gli operai necessari a salvaguardare l’impianto. Una volta hanno provato a sostituirci con gli ingegneri e i capi fabbrica, hanno provato a fare senza di noi. Eravamo sul finire degli anni ‘60, l’Autunno Caldo era passato. Hanno cercato di mantenere la produzione in questo modo: c’erano i picchetti alle porte, a quei tempi lì era normale …io ero con Luppichini, il segretario della Commissione Interna e a un certo punto vedemmo uscire un fumo nero dalle ciminiere… Pensammo che stesse succedendo qualcosa, che ci stessero rovinando la fabbrica (perché poi la fabbrica tutto sommato gli operai la sentono come propria, fa parte della loro vita). Decidemmo lì per lì una comandata volante, si mandò dentro un po’ di gente a fare quello che c’era da fare, perché se si blocca la sodiera in maniera non organizzata succede che si bloccano i tubi con la soda dentro e poi bisogna smontare tutti i tubi e pulirli: vuol dire tenere la fabbrica ferma 15 o 20 giorni con tutto quello che ne consegue. Ci si organizzò con quelli che erano lì al picchetto e si mandò una quindicina di persone dentro, si chiamò quelli di porta Castiglioncello e di porta Aniene e anche loro mandarono dentro nei vari reparti gli operai che servivano, che avevano le giuste competenze… perché certo non puoi mandare uno dei calderai a lavorare in sodiera, ci volevano le persone adatte e si trovarono. Da allora in poi non ci provarono più. Quando partiva lo sciopero si concordava di portare la produzione al minimo tecnico, che allora significava stare sulle 800 tonnellate il giorno, e si mandava dentro solo il personale che serviva a mantenere la fabbrica in funzione e in sicurezza: l’elettricista di turno, lo strumentista, la squadra di pronto intervento meccanica, tutti quelli che erano necessari per mandare avanti la fabbrica senza problemi e pericoli.

Quindi avevate voi in mano la gestione della fabbrica, eravate voi a decidere e portare avanti la fabbrica da soli senza il padrone?
Diciamo di sì, da vecchio comunista penso che il padrone nelle fabbriche serve soltanto a sfruttare gli operai, invece ci servono i tecnici, quelli sì. Una volta parlando con il vecchio direttore Chardenne, gli dissi, dato che era venuto al pranzo dei donatori di sangue ed era stato in Cina e in Svezia: “vede ingegnere, lei è stato via un mese e noi siamo andati avanti lo stesso, ma se va via 5 giorni quello che pulisce il piazzale, il piazzale rimane sporco”.

Se tu dovessi dire oggi agli operai della Solvay cosa fare?
Non saprei da dove iniziare. Secondo me oggi la situazione politica generale è tale, anche per i dazi a livello internazionale, che è inutile lottare per ottenere un aumento salariale se la fabbrica poi si trasferisce e va dove gli operai costano la metà. Il problema è sempre più politico e sempre meno sindacale. Il sindacato oggi passa in secondo piano, se si riesce a ottenere una stabilizzazione politica allora il sindacato può fare la sua parte, ma il sindacato senza una stabilizzazione politica ha le armi spuntate. Fai sciopero perché non chiudano e vadano via? Fai sciopero perché non portino via i macchinari? Oggi ci sono operai e organizzazioni sindacali che fanno delle cose strepitose dal punto di vista della resistenza, bloccano le uscite delle fabbriche e impediscono che vengano trasferiti i macchinari. Però siamo in difesa: si gioca in difesa, si gioca nella nostra metà campo e non si va ancora nell’altra metà campo.

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