La Commissione Gramsci da un paio d’anni a questa parte scrive un documento al mese, prendendo spunto da un avvenimento che ha interessato la vita di Gramsci in quel mese. Nel mese di aprile del 1937 Gramsci è morto, ucciso dai mali che i carcerieri fascisti avevano fatto in modo di non curare. Già lo scorso anno ad aprile la Commissione ha parlato della sua morte, e se ne parliamo ancora quest’anno è perché la morte è una delle cose che più fanno paura agli esseri umani, forse quella che fa più paura e la paura oggi è molto diffusa in Italia e nel mondo per la questione del virus. La paura nasce dall’ignoranza: fino da bambini abbiamo paura del buio e la morte per un individuo è la cosa più buia che c’è. Inoltre, quella di oggi è paura del futuro perché tra le masse popolari del nostro paese cresce la sfiducia in ciò che dicono quelli che dirigono la società, che infatti non meritano affatto di essere creduti, ma cresce anche quindi il non sapere in cosa e in chi credere. Paura della morte e paura del futuro sono sentimenti negativi che possono essere superati. Proviamo a farlo, tornando al caso di Gramsci.

Gramsci ha sperimentato una forma di condanna a morte prolungata, in cui a poco a poco gli veniva tolto ciò che gli serviva per vivere. Affrontò questo lento assassinio con grande forza di volontà, ma cedendo progressivamente fino a temere di perdere la coscienza di se stesso, di tradire la propria identità e piegarsi a fascisti e preti. Nel 1929, nel primo dei suoi Quaderni parla dei sacramenti della religione dati a uno scrittore francese in punto di morte, dopo che gli fu bruciato il testamento dove scriveva

per tema che la vecchiaia e le malattie mi indeboliscano a tal segno da farmi temere la morte e da indurmi a cercare le consolazioni della religione, redigo oggi nella pienezza delle mie facoltà e del mio equilibrio intellettuale, il mio testamento. Non credo all’anima sostanziale e immortale. So che la mia personalità è un agglomerato di atomi la cui disgregazione comporta la morte totale (Quaderno 1, § 104)

Qualcuno di voi che si è trovato presso un parente o un conoscente deceduto avrà visto come i preti volteggiano senza vergogna e senza rispetto attorno alla salma con la pretesa di imprimere i loro sigilli e di pronunciare il loro verbo. Il Vaticano nel novembre del 2008 ci provò anche con Gramsci diffondendo notizie su una sua pretesa conversione dell’ultima ora.

Nel 1933 l’arteriosclerosi si manifesta in Gramsci in forma molto acuta. Il 7 marzo cade dal letto ed è preso dal delirio. Gli raccontano poi cosa diceva e lui il 24 luglio lo riferisce.

Adesso che sto meglio, quelli che stavano con me quando mi trovavo nel punto critico della malattia mi hanno detto che nei momenti di vaneggiamento c’era una certa lucidità nei miei sproloqui (che poi erano intramezzati di lunghe tirate in dialetto sardo). La lucidità consisteva in questo: che ero persuaso di morire e cercavo di dimostrare l’inutilità della religione e la sua inanità ed ero preoccupato che approfittando della mia debolezza il prete mi facesse fare o mi facesse delle cerimonie che mi ripugnavano e da cui non sapevo come difendermi. Pare che per una intera notte ho parlato dell’immortalità dell’anima in un senso realistico e storicistico, cioè come una necessaria sopravvivenza delle nostre azioni utili e necessarie e come un incorporarsi di esse, all’infuori della nostra volontà, al processo storico universale ecc. Ad ascoltarmi era un operaio di Grosseto che cascava dal sonno e che credo abbia creduto che io impazzissi, secondo l’opinione anche della guardia carceraria di servizio. Tuttavia ricordava i punti principali del mio sproloquio, punti che io ripetevo continuamente (Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1978, pag. 277).

Pure nel delirio dice una cosa giusta: uno continua a vivere in ciò che ha fatto perché in ciò che ha fatto ha messo parte di sé. Gramsci dice che sopravvive ciò che facciamo di utile e necessario ma seguendo questo principio nulla nega che duri anche tutto quanto facciamo di sbagliato, ragione per cui è il caso di fare attenzione al nostro modo di comportarci per non lasciare danno a chi viene dopo di noi. Da questo punto di vista ha meno paura della morte chi mette la propria vita a servizio di una causa e tanto meno ne ha quanto più lo fa entro una collettività in cui è unito nella coscienza e nell’agire. Questo vale per i comunisti uniti nel loro partito fino da quando il movimento comunista è sorto e vale oggi in massima misura per i compagni del (nuovo)Partito comunista italiano, che sono uniti tra di loro per quanto apprendono, assimilano, elaborano e applicano la concezione del mondo che li guida nel costruire la rivoluzione socialista. Con il loro agire politico conquistano una vita che va oltre il termine dell’esistenza individuale. Me lo segnala oggi un compagno citando una poesia che Pablo Neruda scrive al suo partito e che si chiude con il verso “Mi hai reso indistruttibile perché con te io non finisco in me stesso”. Questo potere che l’agire politico ha di accompagnare un uomo oltre la morte è cosa cui già accenna Platone (Atene, 428/427 a.C. – Atene, 348/347 a.C.) nel Simposio, il dialogo sull’amore.

Oltre al fatto politico poi c’è il fatto logico che i comunisti comprendono bene grazie alla loro concezione del mondo che è il materialismo dialettico. Secondo questa concezione ogni cosa è unità di opposti. Ricordo che a dicembre del 2018, durante un corso sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI a Torino un giovane operaio che aveva meno di vent’anni e mi chiese cosa c’è dopo la morte. Gli risposi chiedendogli se si era chiesto cosa c’è prima della nascita. Nascita e morte vanno insieme, sono due cose del tutto opposte ma ognuna passa nell’altra e diventa l’altra. Secondo logica quindi la morte è rinascita.

L’altra paura è quella collettiva, della parte di masse popolari che non credono più alla classe che dirige l’economia e la politica del paese quando dice di stare a casa e che “tutto andrà bene”. È una parte crescente perché da un lato stare chiusi in casa non ha portato alcun miglioramento della situazione e dall’altro molti lavoratori italiani in casa non ci stanno perché sono obbligati ad andare a lavorare nelle molte fabbriche rimaste aperte, incluse quelle che non producono cose essenziali alle esigenze immediate della popolazione. Questa parte delle masse popolari che include la classe operaia è giustamente sfiduciata nei confronti dei padroni e dei loro servi nei partiti, nei sindacati, nei mezzi di informazione o ovunque ma non ha fiducia in un partito comunista e nel futuro come pure ne ebbero gli operai, tutti i proletari e quelli che combatterono il nazifascismo, uniti nel primo PCI e convinti che il futuro sarebbe stato sereno e bello (come in parte fu). Devono forse avere fiducia nel Partito dei CARC, di cui questa Commissione è parte? Sarebbe una soluzione, ma è anche vero che la fiducia bisogna che ce la meritiamo. Gli operai e le masse popolari del nostro paese sono stati traditi da soggetti che dichiarandosi comunisti hanno affossato il partito e la lotta di classe e non si vede perché debbano credere nel primo che si presenta davanti a loro con una bandiera rossa. Ciononostante, la paura va tolta, e a partire da subito. La soluzione è che voi operai, che voi lavoratori, che voi esponenti delle masse popolari disposti a scendere in prima linea per difendere il paese, abbiate fiducia in voi stessi, comprendiate che la ricostruzione del paese si fonda sulla vostra azione, sulla vostra coscienza, sul vostro protagonismo. Voi potete e dovete unirvi, dovete organizzarvi in comitati operativi nei luoghi di lavoro, nei territori, a difesa di ognuno degli interessi materiali e spirituali che avete. Senza questo vostro movimento non c’è partito comunista che possa fare la rivoluzione socialista che ci proietterà verso il futuro, così come senza i soviet non ci sarebbe stata la grande Rivoluzione d’Ottobre. Chiudo con l’appello del Segretario nazionale del Partito dei CARC a partecipare alla Settimana rossa che trovate in https://www.carc.it/2020/04/03/appello-costruiamo-insieme-la-settimana-rossa-25-aprile-primo-maggio-prendiamo-esempio-dai-partigiani-per-costruire-il-nuovo-25-aprile/.

 

Compagni, è il momento dell’azione e dell’organizzazione per tutti i comunisti e i lavoratori!

 

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