Rilanciamo l’intervista fatta ad Eduardo Sorge del SI Cobas dalla Federazione Campania del PCARC.
Essa è utile perché fissa alcuni insegnamenti rispetto alle recenti mobilitazioni messe in campo dagli operai e dal sindacato e gli strumenti, anche nuovi, di cui la classe operaia deve avvalersi. I lavoratori della logistica sin dalle prime settimane del lockdown hanno infatti organizzato l’astensione dal lavoro imponendo così ai padroni l’obbligo di fornire i DPI a tutti i lavoratori. Con le loro mobilitazioni hanno inoltre costretto i sindacati a correre a “ritrattare” la loro resa incondizionata agli interessi padronali sul tavolo di Conte e compagnia.
L’esperienza dei lavoratori della logistica dimostra che gli strumenti di cui la classe operaia deve avvalersi per ribaltare l’emergenza sanitaria e resistere in ogni azienda ci sono, anche laddove non sia possibile imporre la chiusura dell’attività. In primo luogo capire se ci sono le condizioni di sicurezza, controllare i DPI forniti tramite dei comitati di controllo operaio, segnalare pubblicamente le violazioni e nel caso denunciare i padroni per tentata epidemia. In ultimo, in assenza di condizioni di sicurezza, astenersi dal lavoro. A questo proposito rimandiamo all’articolo Tre strumenti per resistere nelle aziende, in cui sono raccolte misure concrete per fronteggiare l’emergenza sanitaria sulla base delle esperienze condotte da SI Cobas, Potere al Popolo e FIOM.
Dall’intervista emerge poi come le mobilitazioni messe in campo da operai e organizzazioni come le Brigate di Solidarietà siano state valorizzate come strumento di coordinamento per imporre direttamente le misure necessarie che loro stessi hanno individuato e che nessun governo espressione dei poteri forti potrà attuare. Non è quindi il momento di stare a casa e aspettare, ma di mobilitarsi per far fronte a questa emergenza qui e ora!
Appoggiamo e rilanciamo la decisione dell’assemblea nazionale promossa da SI Cobas e ADL Cobas di organizzare iniziative diffuse su ogni territorio nella settimana che va dal 25 aprile al primo maggio.
Avanti nella costruzione della settimana rossa e nella ricostruzione di un nuovo 25 aprile!
Intervista a Eduardo Sorge del SI Cobas
Nelle scorse settimane ci sono state importanti mobilitazioni promosse dei lavoratori della logistica del SI Cobas a cui hanno aderito anche lavoratori di altre sigle sindacali. Nella pratica e nel vivo della lotta si è creata quindi l’unità tra i lavoratori all’interno delle aziende e la loro mobilitazione ha poi costretto sindacati confederali e governo a ritrattare su alcune misure che oggi sono sfruttabili dai lavoratori costretti a lavorare senza condizioni di sicurezza. Ti chiediamo quindi come è stato possibile mettere in campo queste esperienze fronteggiando la difficile situazione dettata dall’ emergenza sanitaria.
Nelle scorse settimane c’è stata una mobilitazione inizialmente spontanea da parte dei lavoratori, non solo degli iscritti al Si Cobas ma della base operaia di altre organizzazioni sindacali. Noi come SI Cobas abbiamo dato indicazioni politiche più che sindacali alla luce della fase attuale in cui la mera difesa sindacale risulta del tutto insufficiente. Abbiamo dato infatti indicazione dell’astensione come nuova forma di lotta, pretendendo che la salute dei lavoratori venisse messa davanti al profitto. A pesare non sono stati solo i diktat di Confindustria che hanno dettato la mancata chiusura di aziende non essenziali, ma anche il forte ricatto tra lavoro e salute, molti operai sono stati infatti costretti a lavorare sotto il ricatto di vedersi sostituire con altri lavoratori tramite agenzie interinali. Il bilancio delle mobilitazioni è stato molto positivo. I lavoratori si sono recati sul posto di lavoro ma si sono astenuti dal lavoro pretendono l’applicazione di tutte le misure di sicurezza del caso, che oggi nella logistica sono di fatto inapplicabili sia per quanto riguarda la distanza sia per la mancanza di DPI. L’azione di lotta in molte aziende come in SDA, GLS, Bartolini e nelle principali filiere della logistica si è concretizzata chiedendo la chiusura delle aziende non essenziali e garantendo solo la distribuzione di beni essenziali. Le parole d’ordine poi sono state “tutti a casa, salario pieno”. La mobilitazione inizialmente è stata dura anche per il terrorismo mediatico che è stato fatto dal governo nei confronti degli scioperi, ma in molte aziende si è tradotta in firme di protocolli con le misure da noi richieste: non solo la chiusura dell’azienda ma l’anticipo sulla CIG da parte dell’azienda. I lavoratori che continuano a lavorare, lavorano con turnazione più leggera e controllano quali merci vengono trasportate effettivamente visto che in molte aziende si è continuato a lavorare pur se non essenziali. Questa è stata una scelta criminale che porta avanti gli interessi degli industriali e di Confindustria e che tratta i lavoratori come carne da macello (non solo i lavoratori della logistica ma anche il personale sanitario e dell’assistenza sociale). Sui luoghi di lavoro si è materializzata la contraddizione tra lavoro e salute e ha visto una riposta determinata e forte da parte dei lavoratori che hanno rivendicato il proprio diritto alla salute e alla vita. Ad oggi, a emergenza non superata e con la distribuzione di DPI del tutto inadeguata alla sicurezza dei lavoratori, Confindustria e il governo pensano alla fase due e quindi alla riapertura di aziende non essenziali. In questa nuova fase non basterà dire che stiamo tutti a casa ma servirà usare l’arma dello sciopero, l’unica arma che i lavoratori hanno.
L’esempio di quanto ci raccontavi rispetto ai lavoratori della logistica dimostra che se i lavoratori sono determinati, se c’è chi organizza e lancia la parola d’ordine giusta rispetto alle condizioni concrete è possibile mobilitarsi e fare qualcosa. Se questo non ci fosse stato, se non ci fossero state le mobilitazioni, ci sarebbe stato un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro per tutti, non solo per i lavoratori della logistica. Questo è anche un esempio concreto di forme innovative di lotta, in una condizione in cui i lavoratori devono tutelare la loro salute. L’annuncio degli infermieri di Piacenza, ad esempio, che arriveranno allo sciopero se il governo disporrà la riapertura delle aziende che producono beni non essenziali è dirompente ed è tra quelle iniziative che vanno sostenute e fatte conoscere affinché possano moltiplicarsi iniziative di questo tipo. Ti chiediamo – per quanto riguarda l’esperienza di Napoli – di parlarci delle Brigate Flegree, delle attività di solidarietà di classee dei passi di coordinamento che si stanno mettendo in campo tra le aziende e le Brigate di Solidarietà.
A Napoli, come nel resto del Paese, ci sono state esperienze di immediata attivazione sociale sui territori, anche con la partecipazione di disoccupati, come il Movimento di disoccupati 7 novembre. Le attività si concretizzano in spese solidali, sostenute da donazioni e contributi, e nella distribuzione di beni di prima necessità. Aspetto importante è che l’iniziativa non si riduce a una pratica di mutualismo ma che è strumento di contatto, mobilitazione e coordinamento con gli strati più impoveriti del proletariato e con tutti quei lavoratori non regolari che rimangono fuori dalle misure come quelle dei buoni spesa. L’obiettivo è quello di far capire che la crisi sanitaria si trasformerà e si sta già trasformando in crisi economica e di ribadire alla nostra classe che non possiamo aspettare che il governo faccia ma che dobbiamo fare noi direttamente organizzandoci attorno alle misure che individuiamo e che servono per superare la crisi. Una delle misure necessarie ad esempio è l’estensione del Reddito di Cittadinanza, il bonus spesa e il reddito di emergenza sono infatti solo piccoli tamponi insufficienti rispetto alla portata degli effetti della crisi. Pensiamo che i soldi per finanziare l’estensione e implementazione delle misure necessarie non debbano essere prese dalle tasche dei lavoratori ma con un prelievo forzoso – una patrimoniale – del 10% sul 10% dei più ricchi di questo paese recuperando così 400 miliardi di euro. Ovviamente siamo consapevoli che questa misura non la potrà fare nessun governo espressione di fazioni della borghesia ma che si potrà ottenere e strappare solo con la mobilitazione della parte più avanzata dei lavoratori e delle masse popolari che si organizzano sui territori per la lotta di classe. È un processo importante e quello che serve è il maggiore coordinamento per il rafforzamento e l’unità di tutte queste esperienze. È importante rafforzare non solo in termini organizzativi, ma politici le espressioni avanzate di solidarietà popolare. Serve creare le nostre brigate di solidarietà nei quartieri perché questa crisi dobbiamo trasformarla in un’opportunità per fare passi avanti nel costruire una risposta responsabile alla crisi oggi e che un domani, molto vicino, faccia pagare questa crisi ai capitalisti.
Oggi anche tra i compagni ci sono due posizioni sostanzialmente: da un lato c’è chi dice stiamo a casa e facciamo i conti quando l’emergenza sarà finita e dall’altro c’è chi invece, come voi e noi, sostiene che bisogna muoversi subito per evitare che dopo l’emergenza sanitaria ci si trovi a far fronte a una situazione ancora più grave, soprattutto perché è necessario organizzarsi per porre le basi per i passi in avanti che dobbiamo fare ora e dopo. Ti chiediamo quali sono le iniziative che pensate di mettere in campo nei prossimi giorni anche in vista della giornata del 25 aprile, il primo 25 aprile che non si celebrerà in piazza dalla guerra.
Non c’è una proposta già sul tavolo su che fare ma è necessario dire che la situazione è chiara, c’è un uso politico dello stato di emergenza. [Ndr l’assemblea nazionale indetta dal SI Cobas e dall’ADL Cobas del 14 aprile ha promosso giornate di mobilitazioni diffuse in tutti i territori dal 25 aprile al 1 maggio] Ci chiedono di stare a casa a fronte della mancata chiusura del sistema produttivo non essenziale e della mancanza di DPI al personale sanitario e ai lavoratori impiegati in produzione e al resto della popolazione. Se avessimo la certezza di misure efficaci messe in campo, come screening, tamponi di massa e sostegno economico non alle imprese ma alla popolazione (solo una piccola parte riesce a percepire il Reddito di Cittadinanza) avrebbe senso la richiesta. Ma questa condizione ci permette di dire a gran voce che se il governo ha intenzione di riaprire le attività non essenziali senza aver garantito i DPI, la sicurezza per i lavoratori e per la salute pubblica e il superamento dell’emergenza, noi non rimarremo con le mani in mano e non continueremo a lavorare. Responsabili si, obbedienti no! Le iniziative che si possono mettere in campo in questo caso sono tante: la ripresa dell’arma dell’astensione al lavoro è una e uno sciopero generale può essere un’altra. Siamo consapevoli di non poter convocare da soli uno sciopero generale e per questo abbiamo fatto appello e lo faremo ancora a tutte le altre organizzazioni sindacali che vorranno aderire. Non sappiamo per quali giornate, se nell’ambito delle giornate del 25 aprile e del primo maggio o meno. Pensiamo sia legittimo ricorrere allo sciopero e al diritto di manifestare se si continuerà a lavorare in queste condizioni, ci sembra assurdo il contrario!
Non ci sarà un dopo, il momento è adesso, pensiamo all’utilizzo politico del controllo con i droni che stanno facendo. Per i padroni è chiaro che da questa crisi o si uscirà con sacrifici – che sappiamo benissimo a carico di chi saranno – o con una rivolta, è stato lo stesso Del Vecchio, proprietario di Luxottica a dirlo. Vediamo tutti i giorni come la caccia agli untori si scaglia contro chi va a correre e non contro chi mantiene aperte le fabbriche! La misura necessaria è davvero mantenere le distanze: gli operai da una parte e e i padroni dall’altra!