[Reggio Emilia] Emergenza Covid-19: intervista ad un medico di base

Gli ospedali sono la prima linea del fronte e infatti, mentre preparavamo questa intervista e nel pieno dell’emergenza sanitaria, è arrivata la comunicazione dell’AUSL di Reggio Emilia annunciante, dal 3 aprile al 4 maggio, la chiusura temporanea della Terapia Intensiva dell’ospedale Sant’Anna di Castelnovo Monti. La nota ufficiale motiva la scelta “in considerazione della situazione contingente di epidemia Covid 19, dello scarso indice di utilizzo di posti letto, della riduzione dell’organico medico a causa di una malattia, nonché della necessità di garantire la presenza di anestesisti e rianimatori a Reggio”: non solo i posti di TI ci sono (“scarso indice di utilizzo di posti letto”) ma invece di assumere medici e infermieri chiudono un reparto! Questo è il vero volto della gestione della Sanità Pubblica, oltre le dichiarazioni stampa e le rassicurazioni. Solo organizzandosi, i lavoratori uniti agli utenti possono invertire la rotta e fare gli interessi delle masse popolari!

Non solo, ma altro fronte caldo è la battaglia contro la fedeltà aziendale, che riguarda sì ampi settori della produzione di beni e servizi del nostro paese (sia pubblica che privata), ma sta diventando una vera piaga anche nell’ambito dei servizi sociosanitari (nell’ASP, nelle medicine di base, ecc.) e fin tanto che esiste questo vincolo i lavoratori rischiano il proprio posto di lavoro, come successo a Livorno poco tempo fa. Già in passato abbiamo denunciato pressioni (più meno ufficiali, più o meno dirette) al personale sanitario e anche oggi ci arrivano segnalazioni rispetto a richieste tipo “non pubblicate informazioni sui social o per mezzo stampa” perché il marcio e le deficienze sono tante ma non bisogna rovinare l’immagine dell’Azienda Sanitaria. Invece, far conoscere la reale situazione è un’opera giusta e legittima di verità e d’informazione rispetto a un settore vitale per le masse popolari, cosa che consente di costruire fronte, organizzazione e solidarietà dal basso.

Abbiamo quindi intervistato Massimo Comunale, medico di famiglia di Guastalla (RE) e militante comunista da sempre: il suo contributo è molto utile perché dà uno spaccato reale rispetto al ruolo dei medici di famiglia, anch’essi sulla prima linea del fronte. Sono loro, i lavoratori della Sanità (medici, infermieri, OSS, addetti alle pulizie, soccorritori e barellieri) che stanno salvando la popolazione e il Paese!

Di fronte all’emergenza, ci vogliono misure di emergenza!

Moltiplicare i posti letto in terapia intensiva, riaprire ospedali e reparti chiusi benché agibili e requisire senza alcun indennizzo le strutture private!

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1. Massimo, qual è, in breve, la situazione sanitaria e lavorativa nella tua zona?

Siamo ancora nella fase dell’allerta totale e non possiamo abbassare la guardia. Ad oggi, è in fase di realizzazione una tenda dedicata ai medici di famiglia appena fuori l’ospedale di Guastalla (identificato come ospedale COVID con 80 posti letto, ndr), così da alleggerire la pressione sull’ospedale stesso: la tenda avrà funzioni superiori al triage, con la possibilità di fare tamponi e con l’equipaggiamento dei fondamentali saturimetri. Il vero nodo sono però i medici di famiglia e le condizioni in cui siamo costretti a lavorare.

Per quanto riguarda le principali fabbriche della zona, oggi, sono chiuse ma fino a che hanno potuto, hanno costretto i lavoratori ad andare a lavorare, invitando a mettersi in malattia in caso di sintomi influenzali senza però chiudere temporaneamente. A ciò si è arrivati anche grazie alla rabbia montante tra i lavoratori, visto che qui si fanno produzioni dove il distanziamento fisico è pressoché impossibile.

2. Emerge con sempre maggior nitidezza che la tutela della salute e della sicurezza del personale sanitario (particolarmente contagiato dal Covid-19) è minima, quando non assente: quali sono le condizioni di lavoro di voi medici di base?

Con la pandemia della SARS, l’infettivologo C. Urbani produsse un vero e proprio decalogo per affrontare emergenze sanitarie simili, definendo come prima misura da adottare la tutela dei medici di famiglia: nonostante ci fossero chiare direttive su come comportarsi a livello di gestione pubblica, ci hanno mandato in guerra totalmente disarmati. Siamo molto in difficoltà come medici di famiglia e, soprattutto nei primi 15 giorni dell’emergenza, abbiamo rischiato parecchio: la nostra fornitura di DPI è limitata (sia in quantità che in qualità) ma si è sviluppata una rete di sostegno e solidarietà tra noi medici (chi aveva i DPI li distribuiva) e gli stessi pazienti mi hanno donato chi tute, chi mascherine, chi guanti. Non siamo preparati a difenderci: concretamente, lavoro presso un grande studio di medicina di gruppo (siamo in 17 tra personale medico e amministrativo) e ben in cinque si sono ammalati, di cui una è ancora ricoverata in gravi condizioni. Nessuna sanificazione, i test sierologici non sono ancora arrivati e per avere i risultati dei tamponi abbiamo dovuto lottare e aspettare fino a due settimane, senza contare che la ripresa da questa malattia è molto lenta. Avremmo bisogno, come medici, di monitorare almeno ogni due settimane la positività o meno al Covid-19 ma non se ne parla.

Poi, per quanto riguarda le RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale, ndr) la situazione è la stessa dei medici di famiglia: l’alto tasso di contagi è dato, oltre che dal fatto che il personale è spesso senza protezioni, da un intervento dall’alto in ritardo in quanto non è stato impedito fin da subito ai familiari di entrare nelle strutture, cosa che ha inevitabilmente sostenuto la propagazione del contagio.

3. Di fronte a questa situazione vi siete organizzati e avete avanzato delle proposte puntuali per poter rispondere al meglio (e in sicurezza) all’emergenza sanitaria: cosa avete ottenuto?

Abbiamo segnalato più volte la carenza di DPI e siamo arrivati a proporre la somministrazione dei tamponi ad ampio spettro: non solo a tutto il personale socio sanitario, ma anche a tutti quei contatti, come i conviventi, che hanno relazioni di prossimità con chi è risultato positivo o è in quarantena. Il numero dei contagiati è sicuramente più alto delle stime e dei dati in possesso: se non si fanno domande del tipo “Con chi vivi?” “In che spazio vivi?” è chiaro che la nostra visione d’insieme e la nostra possibilità d’azione ne risentono.

Abbiamo proposto segnalazione e richiesta tamponi diretta da parte di noi medici per verifica dei casi sospetti ma nulla: è necessario un canale privilegiato tra noi e gli Enti pubblici di riferimento ma ad oggi non solo non ci sono risposte ma anche la collaborazione con l’Igiene Pubblica (dell’ASUL) non c’è stata e non capisco il perché di questo “silenzio radio”.

4. La crisi sanitaria (che è anche economica e politica) ci impone di ragionare rispetto al che fare per garantire e realizzare gli interessi delle masse popolari e in quest’ottica è centrale sostenere la costruzione (ovunque, a partire dagli ospedali) di organizzazioni di lavoratori e comitati di utenti (infatti, raccontavi della grande sostegno dei tuoi pazienti nel reperire i DPI). Cosa pensi si debba fare per risalire la china e lottare per una sanità pubblica ed efficiente?

In Emilia, il contenimento della spesa ospedaliera è una religione: prima si valuta in base al numero di posti letto occupati, ora viene premiato chi riduce le spese. E se mi riduci servizi, posti letto, personale come posso risponde efficacemente in caso di emergenza? Il pubblico è stato depotenziato e lo stato delle sue strutture è noto, senza contare i piccoli presidi provinciali chiusi e che oggi avrebbero rappresentato un sostegno importante. La Sanità deve tornare ad essere un “bene comune” e gratuita perché solo il Pubblico può garantire un servizio adeguato in emergenze simili a questa attuale: la Sanità privata inizialmente ha fatto “orecchie da mercante”, poi ha iniziato a guadagnarci con le convenzioni.

Bisogna potenziare la Sanità pubblica ed è uno sviluppo che si può ottenere solo con un approccio propositivo e attivo da parte di tutti i lavoratori e dei cittadini.

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