[Milano] Intervista ad un’infermiera del pronto soccorso dell’Ospedale San Paolo di Milano

I primi giorni di marzo, abbiamo intervistato un’infermiera del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Milano che ci ha raccontato come l’”eccellenza” sanitaria italiana stia affrontando l’emergenza Covid-19 e come la vivono gli operatori sanitari.

Dall’intervista emergono due importanti aspetti. Il primo è che se i lavoratori non si organizzano le condizioni possono soltanto che peggiorare. Solamente se i lavoratori prendono il coraggio a piene mani, superano lo scetticismo e la diffidenza, affrontano uniti la paura che suscitano le pressioni e i ricatti dell’azienda, si organizzano e fanno valere la loro forza, si può vincere in questa emergenza. L’esperienza di questi lavoratori lo dimostra.

Il secondo è che la Repubblica Popolare Cinese, un paese per metà socialista dove gran parte della struttura produttiva, il servizio sanitario e la ricerca scientifica sono ancora per lo più pubblici e la mobilitazione delle masse è una pratica in una certa misura persistente, viene vista come un esempio positivo da seguire. Questo è sintomo che è forte la necessità di superare l’attuale orizzonte economico e politico imposto dalla classe dominante.

L’invito è a non fermarsi, a mobilitarsi, a organizzarsi e coordinarsi con il lavoratori di di altri ospedali, coinvolgendo anche i familiari degli utenti, per imporre l’attuazione delle misure necessarie per garantire la sicurezza e la salvaguardia della salute e della vita degli operatori sanitari, per il contenimento del contagio, la prevenzione, l’assistenza e la cura degli ammalati!

Serve imporre, con la mobilitazione e l’organizzazione in ogni ospedale e in ogni quartier:

1. la sicurezza per chi lavora, un piano di assunzioni con bandi rapidi e agevolati, lo scorrimento immediato di tutte le graduatorie per l’assunzione di nuovi operatori sanitari (a cui va data la cura e la formazione necessaria) e internalizzare, assumere e stabilizzare tutti i lavoratori precari della sanità;

2. l’attuazione di un piano di prevenzione, casa per casa, dei malati lievi e di controllo per i casi di persone che presentano i sintomi del virus, per alleggerire il lavoro delle strutture ospedaliere,

3. requisire le cliniche private e convenzionate per risolvere il problema della carenza di posti letto e far riaprire le strutture ospedaliere dismesse.

L’emergenza Covid-19 mette in luce che il SSN è stato smantellato e serve ricostruirlo, attraverso un piano straordinario che duri anche oltre l’emergenza mettendo al centro gli interessi delle masse popolari!

***

Puoi presentarti?

Sono un’infermiera del Pronto Soccorso dell’Ospedale San Paolo di Milano, ringrazio per la possibilità di raccontare l’esperienza e le storie che noi, come gli altri lavoratori sanitari, stiamo vivendo in tutta Italia.

Come si sta gestendo questa emergenza nell’ospedale dove lavori?

Diciamo che la cosa è stata un fulmine a ciel sereno. Il 21 Febbraio svolgevo il mio turno del mattino e tutto d’un tratto abbiamo ricevuto una chiamata in cui il mio coordinatore infermieristico avvisava che doveva essere creata una task force apposita perché “il paziente numero uno” a Lodi era risultato positivo al Coronavirus e avevano capito già da subito la gravità della situazione.

Inizialmente c’è stata confusione… non eravamo pronti né psicologicamente né strutturalmente a questo evento, anche perché il San Paolo è una struttura nuova, più fornito rispetto a quello vecchio ma a livello di personale rimane comunque carente (vuoi anche per i vari cambi e le partenze del personale).

Inizialmente arrivavano poche persone sospette o contagiate e noi le potevamo sistemare in una sala apposita, di isolamento, ma abbiamo capito fin da subito che non sarebbe bastata, infatti a un certo punto sono arrivate così tante persone che abbiamo dovuto mettere in funzione il vecchio pronto soccorso, cosa che ha portato via diverse energie. In realtà abbiamo messo su un vero e proprio “lazzaretto”, mi dispiace chiamarlo così… ma il problema di tutto ciò è che noi non siamo tutelati, stanno nascendo tanti contagi anche fra di noi!

Stiamo avendo già alcuni colleghi positivi, però il periodo di incubazione del virus e di 1-2 settimane… All’inizio ho combattuto io in prima linea ad incitare i miei colleghi a spingere per farci dare i Dispositivi di Protezione Individuali (DPI) perché l’azienda non ce li dava e anzi, a un certo punto ci ha pure detto di utilizzare solo la mascherina chirurgica! Abbiamo contattato vari organismi (dall’OMS ai vertici dell’amministrazione sanitaria) e finalmente dopo cinque giorni di lotta i dispositivi sono arrivati. Ma senza il coraggioso appello mio e dei miei colleghi, anche quando l’azienda faceva muro contro muro, è certo che non sarebbe stato sicuro il loro arrivo! Purtroppo, ci sono ancora delle carenze: noi ora abbiamo la mascherina FFP2 ma quando interveniamo sui pazienti positivi e soprattutto dobbiamo fare interventi invasivi (che vanno dall’aerosol alla ventilazione meccanica) ci servirebbero le mascherine FFP3, che non abbiamo. Oppure quando utilizziamo quello che viene detto Casco CP3, che serve ad aiutare la respirazione del paziente ma è anche l’ultima spiaggia prima dell’intubazione, c’è un forte rischio di contagio per noi lavoratori, soprattutto se non siamo protetti.

E nel resto d’Italia?

Anche per motivi di studio ho girato vari ospedali d’Italia e mi vien da dire menomale che è successo qui a Milano, perché la situazione sanitaria del resto di Italia è disastrosa, e non solo per le assunzioni.

Hanno aperto di recente per questa emergenza bandi pubblici in cui ci sono proposte salariali di 30 euro lordi l’ora, mentre noi che siamo già dentro assunti non stiamo ricevendo niente. Ho scoperto dai colleghi toscani che lì la Regione sta dando contributi economici ai medici e infermieri che si occupano di queste emergenze… noi non lavoriamo per soldi, però creare queste divergenze salariali lo trovo controproducente su due fronti: il primo è che malgrado diamo la nostra vita nel nostro lavoro non siamo riconosciuti dallo Stato, il secondo è che si approfitta di chi invece cerca lavoro (quando ho fatto il bando per entrare al San Paolo eravamo 6000 a partecipare, ne hanno presi 500 e più avanti hanno continuato ad assumere).

Quindi, malgrado si parli sempre bene della sanità in Lombardia, ci sono molti problemi: carenza di personale e il sovraccarico di lavoro e poi i dispositivi di sicurezza…

Le problematiche principali sono queste, è innegabile che la gravità dell’emergenza la vedevamo già i primi giorni quando hanno riaperto il vecchio pronto soccorso, anche se abbiamo tentato di tutto per evitare la psicosi ora imperante.

Soprattutto questo virus ha una virulenza davvero elevata quindi bisogna stare attenti su tutto. E questo ci ha dato anche molte problematiche logistiche, non potevamo di certo fare avanti e indietro dal pronto soccorso all’Ospedale tutti bardati! Ora, almeno al San Paolo, la situazione per fortuna sta rientrando e arrivano meno persone impaurite dalla psicosi.

In questi giorni ci sono stati vari scioperi di operai… secondo te prendere la decisione di chiudere le aziende che producono beni non indispensabili, in quanto luoghi di assembramento, è giusta?

Per me è giusto, già noi in primis limitiamo quelle che sono le nostre vite per ridurre il contagio. Ora il virus è invisibile… ancora oggi non siamo sicuri che il contagio sia soltanto aereo, nel senso che bastano le solite misure consigliate per contrastarla.

Tuttavia un approccio attivo all’emergenza è la via giusta, come mi ha raccontato una paziente cinese: loro in Cina hanno fatto davvero quarantena e mi raccontava che i supermercati erano gestiti dall’esercito che portavano razioni di cibo necessarie a sfamare tutta la famiglia. Quelle nazioni che tanto critichiamo e diciamo che sono troppo rigide poi sono quelle che riescono a gestire meglio queste situazioni, in Cina sono riusciti a contenere l’epidemia in così poco tempo. Se poi consideriamo il rapporto tra numeri di abitanti totali e numero di contagiati e decessi tra Cina e Italia, la situazione è davvero preoccupante. Credo quindi che sia giusto chiudere quelle attività e inoltre aggiungo che anche i lavoratori professionisti devono essere tutelati.

A livello sanitario, cosa dovrebbe fare il governo? Non si potrebbero requisire le strutture sanitarie private?

Io sono risentita verso la sanità privata… Ti racconto un episodio: la prima settimana di epidemia è arrivata al nostro ospedale un’ambulanza solo che i posti per le ambulanze ormai erano tutti occupati, ai colleghi sull’ambulanza non è restato che chiedere posto all’Humanitas (Istituto Clinico privato a Rozzano, ndr) dove gli hanno chiuso la porta in faccia.

Il fatto è che i privati hanno dietro ingenti investimenti economici a differenza degli ospedali pubblici e poi ci stupiamo se il privato vuol dire avanguardia e qualità! Qualsiasi ospedale con un po’ di soldi sarebbe all’avanguardia!

Inoltre, penso che il privato che non collabora e va contro quella che è l’esigenza nazionale come minimo dovrebbe pagare una penale. Oltre al fatto che un’emergenza è un’emergenza per tutti…non dovrebbe esserci in questi casi differenza tra pubblico e privato!

Inoltre durante l’emergenza abbiamo dovuto trasformare nostri reparti (come quello di ginecologia e lo stesso pronto soccorso) in reparti per gestire l’emergenza COVID-19, alla fine siamo diventati un ospedale, come il Sacco o molti altri, soltanto per il COVID19. Requisire locali privati, anche solo piccole cliniche, aiuterebbe e non ci sarebbe bisogno nemmeno di trasformarle, perché il problema poi è diventato anche curare i pazienti con problemi ordinari ma che vengono tagliati fuori o peggio contaminati negli ospedali.

C’è inoltre la questione della gestione del numero verde apposito… che ha problematiche. Noi abbiamo ricevuto in ospedali pazienti che da 4 settimane avevano 39 di febbre ma malgrado avessero chiamato il numero gli addetti non sono mai arrivati.

A proposito del numero verde per l’emergenza noi abbiamo conoscenti che hanno telefonato e come risposta hanno avuto di richiamare se la situazione non migliorava perché avevano finito i tamponi… ora noi vediamo che in altri paesi come Cina o Corea del Sud si investe tanto nella prevenzione dei contagi. In Italia è stato fatto?

Per quanto riguarda il San Paolo abbiamo il reparto malattie infettive che fa un tipo di rilievo sperimentale detto “a coorte”. Ma premetto che non facciamo i tamponi a tutti… di recente abbiamo aumentato l’organico dei lavoratori con l’assunzione di un infettivologo. Quando il paziente fa il tampone l’infettivologo controlla il registro dei pazienti e nota se quest’ultimo ha avuto sintomi prima della visita e in base a ciò si decide cosa fare. Se il paziente positivo e asintomatico ma non grave lo si manda all’isolamento domiciliare. Questa può sembrare una forma di selezione ma in realtà è un modo possibile per curare le persone gravi.

Si è detto che bisogna tutelare la salute dei cittadini, ma anche noi infermieri siamo cittadini eppure dobbiamo lavorare senza mascherine adatte, poi con l’ultimo decreto che hanno fatto non si faranno più i tamponi ai lavoratori venuti in contatto con i pazienti infetti… noi vorremmo che lo stato ci riconoscesse di più come infermieri.

Voi portate avanti la baracca e allo stesso tempo si sta scaricando su di voi l’emergenza e tutte le mancanze… è evidente che le misure prese dal governo nascondono interessi e ledono la sicurezza vostra come di molti operai che stanno lavorando ora senza protezioni. Tuttavia è evidente anche che alcune misure sono state prese su spinta delle mobilitazioni e scioperi dei lavoratori. Che ne pensi?

Più che altro quello che vedo che manca è l’aiuto di tutti. Non è vero come si legge e si sente su alcuni social che dobbiamo scegliere di salvare i pazienti meno gravi, non siamo arrivati a quel punto ma non vogliamo arrivarci. Io credo che l’iniziativa debba arrivare dallo Stato, che deve dire di chiudere ma chiudere per tutti e non lasciare aperte aziende dove non vengono dati neanche i dispositivi di protezione o non gli viene neanche insegnato l’utilizzo!

Quando sarà finita l’emergenza andremo a Roma per mettere sul tavolo tutte queste mancanze emerse, verranno prese come carta straccia ma noi vogliamo comunque metterci lo stesso in prima linea, anche grazie a chi, come voi, ci dà voce e spazio.

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