Non lasciamo la soluzione dell’emergenza in mano a chi l’ha generata!
Anche a Torino sono i lavoratori e le masse popolari a pagare il prezzo dell’emergenza corona virus ma gli effetti drammatici che stanno scaturendo sono soltanto lo strascico di decenni di privatizzazioni e attacco alle conquiste dei lavoratori e delle masse popolari.
Lo stato in cui versa la sanità piemontese ne è l’esempio. Se medici e infermieri, la prima linea della lotta al contagio, sono costretti a lavorare senza alcun dispositivo di protezione individuale, con mascherine razionate e il disinfettante mani distribuito con il contagocce ciò è l’effetto di decenni di tagli alla spesa sanitaria. Confrontando alcuni dati forniti da “La Stampa” relativi al periodo che va dal 2010 al 2017 emerge il divario e il costante taglio di risorse. Nel 2010 i dirigenti medici che lavoravano nelle Asl e negli ospedali piemontesi erano 8.958, nel 2017, 8.443: 515 in meno. Nel 2020 i direttori di struttura complessa erano 818, nel 2017, 555: 263 in meno, pari a una riduzione del 32%. Un’ecatombe di primariati. Se contiamo i responsabili di struttura semplice, si passa dai 1.160 del 2010 a 707 del 2017 un calo del 39%. Sempre in Piemonte i posti letto negli ospedali pubblici nel 2010 erano 13.183, nel 2017 11.623. Quindi 1.560 posti letto in meno, pari a una riduzione del 11,8%. Ma la cosa più grave è che il buco di bilancio, un debito della sanità piemontese di ben 9,3 miliardi, non è stato causato da deficit della Sanità: parte dei finanziamenti provenienti dal governo centrale per la Sanità sono stati utilizzati negli anni come cassa per spese extra-sanitarie, 4,3 miliardi impiegati… altrove.
A Torino come nel resto d’Italia i lavoratori sono costretti a vivere l’emergenza alla mercè dei dettami di Confindustria. Sempre più lavoratori precari e non, si sono ritrovati in questi giorni di fronte a lettere di licenziamento che sono piovute come ghigliottine sulle teste di chi già non arrivava a fine mese, chi deve pagare l’affitto, magari il mutuo o le rate dell’auto, le bollette e perché no anche la spesa ed oggi badare anche ai figli a casa da scuola. Troppe sono le storie che ci sono giunte in questi giorni, come quella di Eunice, operaia in una fabbrica torinese di gadget della Juventus. Eunice ha lavorato in questa azienda collezionando faldoni di contratti a tempo determinato e senza diritti per ben tre anni. L’ultimo dei tanti contratti le scadeva a fine Dicembre 2019, ma costretta a lavorare e con la promessa di un prossimo contratto a tempo indeterminato, ha dovuto lavorare per altri due mesi a nero, senza contratto, fino a che un bel giorno di fine febbraio, mentre si recava a lavoro, il vigliacco padrone le ha comunicato il licenziamento. Madre di una bimba, con il marito disoccupato, con tutte le spese da coprire si è ritrovata sola in questo marasma. Lei come Marta di Torino che, lavoratrice ad un banco del mercato centrale, già a fine febbraio si è ritrovata a casa senza lavoro e non per diretta colpa del commerciante proprietario del banco, ma a causa di uno stato borghese che non garantisce niente a chi l’Italia la costruisce ogni giorno svegliandosi la mattina per andare a lavorare ma che prontamente toglie a chi già non ha.
Come gli operai FCA a cui gli Agnelli – Elkann oggi chiedono di ridurre del 20% il già magro stipendio, presentando come atto di grande magnanimità la riduzione di pochi spiccioli dei compensi miliardari loro e di Manley.
In questo mese e mezzo di emergenza sanitaria, capitalisti di tutte le taglie, stanno cogliendo al volo “l’occasione coronavirus” per licenziare dipendenti e peggiorarne le condizioni di sfruttamento, gettando sul lastrico intere famiglie, costrette a fronteggiare soli e a mani nude questa situazione.
In questa situazione che mette allo scoperto decenni di sperperi e ruberie nel servizio sanitario e il regresso nelle condizioni di lavoro della classe operaia, la Giunta Appendino e l’apparato politico della Torino che conta (il cosiddetto “sistema Torino”) aprono anche nella nostra città la caccia all’untore contro i passeggiatori nei parchi cittadini. A vessazioni si aggiungono vessazioni.
Solo con l’organizzazione e la mobilitazione popolare possiamo realizzare una valida alternativa a questo scempio. Altrochè restare a casa ad aspettare che “andrà tutto bene” come ci ripetono ossessivamente i media. Organizziamoci. Costituiamo e moltiplichiamo in tutto il territorio cittadino brigate di solidarietà che si occupino di aiutare e prestare soccorso a quanti sono in condizioni di difficoltà nel provvedere ai propri bisogni più elementari (fare la spesa, servizi, ecc.). Ma soprattutto costituiamo e moltiplichiamo brigate di solidarietà che si occupino di fare controllo popolare sui padroni approfittatori che con la scusa dell’emergenza licenziano e fanno esuberi, sui padroni delle aziende che svolgono attività essenziali ma non garantiscono un lavoro in sicurezza agli operai, sui padroni di aziende che non svolgono produzioni essenziali ma che continuano a produrre mettendo a rischio tutti i loro dipendenti e la collettività.
Non lasciamo la gestione dell’emergenza in mano alle autorità, ai politicanti e ai capitalisti che l’hanno generata!
Organizzarsi ora in ogni condominio, in ogni vicinato, in ogni quartiere in 10, 100, 1000 Brigate di Solidarietà!
Andrà tutto bene solo con operai e masse popolari organizzati per far fronte all’emergenza!
L’organizzazione e la mobilitazione delle organizzazioni operaie e popolari fino ad imporre un governo di emergenza popolare, è la via d’uscita dall’emergenza sanitaria, economica e politica in corso!