Lunedì 30 marzo con un post sui social il Movimento No TAV ha pubblicato la notizia dell’uscita di Nicoletta Dosio dal carcere delle Vallette di Torino per scontare la pena ai domiciliari, nella sua casa di Bussoleno in Val Susa.
Una scelta sofferta per Nicoletta che, come simbolo della lotta contro il TAV, ha avanzato la richiesta spinta e supportata dai militanti del Movimento, che hanno visto nel propagarsi del Coronavirus un pericolo concreto per la vita della compagna. La situazione nelle carceri è infatti allo stremo e la gestione dell’emergenza da parte del Governo risulta insufficiente a prevenire il contagio sia tra la popolazione carceraria che tra polizia penitenziaria, infermieri, avvocati e magistrati, che entrando e uscendo dalle carceri diventano potenziali vettori dell’infezione.
Pubblichiamo quindi solo oggi l’intervista rilasciata dall’avvocato Valentina Colletta, difensore della Dosio, perché avrebbe anticipato la notorietà della richiesta di Nicoletta di essere sottoposta alla detenzione domiciliare, presentata il 20 marzo, e di cui ancora il movimento No TAV non aveva diffuso la notizia.
Con la rabbia di chi ha lasciato tra le mura del carcere tante compagne di detenzione a cui il governo nega il diritto a mettersi in salvo dal virus, Nicoletta prosegue da casa la sua battaglia per il riconoscimento pieno dei diritti dei detenuti costretti ad una realtà fatta di intollerabile oppressione e repressione sociale.
A Nicoletta e agli altri attivisti ci uniamo nella lotta per pretendere l’attuazione immediata di misure urgenti come l’amnistia sociale per ridurre il sovraffollamento carcerario, per la salvaguardia e la salute dei detenuti e del personale penitenziario, sanitario e giudiziario con cui entrano in contatto.
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Quali sono le condizioni di Nicoletta e come è cambiata la vita all’interno del carcere a seguito del diffondersi dell’epidemia da Covid-19?
Nicoletta è in carcere ormai da tre mesi e, se nel primo periodo – nonostante le difficoltà connesse alla drastica perdita di ogni libertà, alla sua lunga collocazione ai “nuovi giunti” e ai suoi problemi di carattere sanitario – è riuscita comunque a mantenersi serena e propositiva, oggi la situazione è cambiata. Nicoletta si è infatti da subito attivata per comprendere le dinamiche che caratterizzano i rapporti interpersonali all’interno del carcere, si è messa a disposizione delle altre detenute, ha cercato faticosamente di interagire in maniera costruttiva con il personale di Polizia penitenziaria affinché venissero riconosciuti e garantiti i diritti suoi e delle sue compagne, si è occupata della biblioteca della sezione dove si trova, ha mantenuto costanti rapporti epistolari con l’esterno e si è mantenuta informata. Con il dilagare della pandemia in corso molte delle sue attività sono state ulteriormente limitate a causa del divieto di ingresso di volontari e personale che rendevano agibile la biblioteca, così come altri servizi. Nicoletta, come le altre detenute, non ha più diritto ai colloqui visivi parentali e non può più ricevere pacchi alimentari. Inoltre respira quotidianamente un clima particolarmente teso, alimentato dalle scarse e poco chiare notizie che le giungono. Tutti i detenuti hanno contezza, sebbene non ufficialmente, dell’ingresso del virus in carcere e lei, come le sue compagne, vivono con ansia l’assenza di presidi sanitari e la promiscuità a cui sono costrette.
Come è arrivata alla decisione di richiedere misure alternative alla detenzione in carcere?
Il dilagare del virus ha portato in molti a chiedere a Nicoletta di accedere alle misure alternative a cui avrebbe diritto. Il Movimento NO TAV l’ha pubblicamente invitata a considerare la richiesta quanto meno della detenzione domiciliare. Le è dunque giunta la forte e generalizzata preoccupazione per le sue condizioni di salute che, in caso di contagio, la esporrebbero a conseguenze potenzialmente letali ed alcuni giorni fa ha quindi avanzato richiesta di detenzione domiciliare. La sua è stata una decisione sofferta che ha dovuto assumere per rispetto di quanti le hanno chiesto di salvaguardare sé stessa e la valenza che ha per le molte lotte che ha sposato, in primis quella del Movimento NO TAV. La decisione che ha preso l’ha d’altra parte esposta al patimento di provare a sottrarsi ad un ambiente, quello carcerario che, sebbene sia fonte di inestinguibile dolore, le ha consentito di conoscere e condividere una realtà contro cui da sempre si espone in quanto inumana, inutilmente degradante ed emblema di quell’intollerabile controllo sociale che marginalizza gli ultimi e reprime quanti per loro si battono ancora. Qualora la magistratura di sorveglianza ne consentisse la scarcerazione Nicoletta continuerà a dedicare ogni sua energia alle lotte sociali e ai detenuti.
Qual è il ruolo di Nicoletta nella lotta contro la drammatica situazione del sistema carcerario e quali sono le misure prese per contrastare la diffusione del virus tra detenuti e personale?
Nicoletta decise di non chiedere misure alternative al carcere per riportare l’attenzione di tutti sulle tematiche che da sempre le sono care: le lotte ambientali, quelle per la casa ed il lavoro, le distorsioni di un sistema capitalistico ed individualista che delega alla magistratura la violenta repressione di chi non si piega. Nicoletta in questo modo ha cercato di rimettere sotto i riflettori le ragioni della lotta sua e dei suoi compagni e, non ultimo, le drammatiche condizioni in cui versa l’intero sistema carcerario. In effetti dopo il suo arresto numerose sono state le realtà che hanno cominciato ad invocare provvedimenti che consentissero la scarcerazione non solo di coloro che sono stati condannati per aver preso parte alle lotte sociali, ma anche di quanti si trovano ristretti per reati per lo più bagatellari e dettati da condizioni di necessità o indigenza. La pandemia ha tuttavia interrotto tale movimento che ora, necessariamente, si è concentrato sulla richiesta di misure, magari meno strutturate ma più urgenti, per contenere quello che si teme potrà essere un inarrestabile contagio all’interno degli istituti penitenziari con conseguenze drammatiche e, almeno in parte, imprevedibili. Continuo a frequentare regolarmente la Casa Circondariale di Torino e la paura di quanto potrà avvenire è palpabile sia nella popolazione detenuta che nel personale di Polizia penitenziaria. Sia ai detenuti che al personale che lavora in carcere non è stato fornito alcun presidio di protezione personale e il sovraffollamento e la conseguente promiscuità non consentono a nessuno di rispettare neppure quel minimo di distanza interpersonale prescritto a tutti gli altri cittadini. Il nervosismo e la sensazione di vivere e lavorare in un mondo dimenticato da tutti sono evidenti e si manifestano in un maggiore nervosismo ed in un’ansia che mina i rapporti interpersonali. Il perdurare di una sovraesposizione alla paura rende le persone meno disponibili e sensibili alle sofferenze e ai bisogni altrui anche in carcere. Per il momento continua ad essere consentito l’ingresso agli avvocati, ai quali viene misurata la febbre e fornita una mascherina. Ogni finestra del carcere è e resta aperta per consentire la più ampia areazione possibile ed i detenuti hanno freddo ma sopportano. In difetto di un approvvigionamento alimentare tramite i pacchi dei parenti, gli acquisti all’interno del carcere sono divenuti più onerosi e non tutti possono permetterselo.
Come si è mosso il Governo per limitare il dilagare dell’epidemia all’interno delle carceri?
Il Governo ha reagito all’allarme da più parti gridato con un provvedimento che affronta il tema con due miseri articoli che non potranno che incidere tardivamente e inefficacemente. Il decreto ricalca le disposizioni della legge c.d. svuotacarceri ponendo tuttavia ulteriori limiti alla sua già ridotta applicabilità. In difetto di altri immediati e più radicali provvedimenti lo Stato dovrà assumersi la responsabilità di quanto appare drammaticamente inevitabile: il dilagare della pandemia all’interno degli istituti penitenziari con le conseguenze che questo significa in un ambiente in cui vivono ammassati uomini, donne, vecchi, bambini, malati e miserabili.