Il P. CARC aderisce alla videoconferenza indetta dal Si Cobas per domani, 2 aprile. Nell’appello del Si Cobas, che riportiamo di seguito, ci sono tutte le informazioni per aderire.
Riteniamo l’iniziativa positiva in quanto è esempio della volontà di mettere mano da subito ai peggiori effetti dell’emergenza sanitaria che la classe dominante sta cercando di far pagare ai lavoratori e alle masse popolari e di non aspettare “che il peggio passi”: la lotta di classe è qui e ora!
Invitiamo i comunisti, gli organismi operai e i comitati popolari, a partecipare alla videoconferenza e portare un proprio contributo.
Organizzarsi e coordinarsi ora per imporre da subito le misure necessarie e urgenti per far fronte all’emergenza Covid-19! Non lasciamo la gestione dell’emergenza nelle mani di chi l’ha generata!
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Marzo 30, 20200
Cari compagni,
ci eravamo lasciati all’indomani dell’assemblea dello scorso 8 febbraio a Roma con l’impegno di proseguire un percorso comune sui temi della repressione e del rilancio nel nostro paese di un’opposizione di classe.
In questo momento ci appare anche superfluo dover evidenziare come da un mese a questa parte il quadro sociale e politico sia stato letteralmente stravolto sconquassato dall’emergenza-Coronavirus esplosa a livello mondiale e con particolare virulenza sul territorio italiano.
In queste settimane, in un contesto reso difficilissimo dalla quarantena generale imposta dalle autorità, il SI Cobas sta conducendo una battaglia senza esclusione di colpi per smascherare l’infame ipocrisia degli appelli governativi a “restare tutti a casa” nel mentre per quasi un mese si è imposto a milioni di lavoratori di continuare a lavorare privi di tutele (e nella maggioranza dei casi lo si sta facendo tuttora), quindi a contagiarsi a vicenda, a contagiare il resto della popolazione e, talvolta, a morire di CoVid-19. Una battaglia che stiamo conducendo assumendo come prioritario il principio della tutela, senza se e senza ma, della vita e della salute dei lavoratori, sviluppando l’iniziativa politica per mantenere la forza attiva degli operai, quindi pretendendo la chiusura immediata di tutte le attività (produttive e non, fatta eccezione per i servizi essenziali) con la garanzia della copertura salariale al 100%, rivendicando per chi non può restare a casa il massimo di tutela in termini di sicurezza e prevenzione dai contagi e soprattutto che i padroni anticipino la FIS o la cassa integrazione perché sappiamo per esperienza che possono passare dei mesi prima che la paghino, venendo così a mancare il sostentamento nei periodi di quarantena.
Di fronte a questa emergenza, straordinaria sotto tutti i punti di vista, abbiamo ritenuto di dover riadattare anche le forme di lotta. A seguito di un ampio confronto e di un attenta valutazione dell’evoluzione degli eventi, abbiamo infine valutato che lo strumento di lotta più efficace non fosse lo sciopero classicamente inteso, bensì un astensione generalizzata quale forma immediata e urgente di autotutela per tutti i lavoratori: ciò alla luce del fatto che di fronte a una pandemia che mette a repentaglio la vita stessa dei lavoratori non vi sia nulla da contrattare se non nei servizi essenziali.
Questa forma immediata di autotutela è la stessa che è stata adottata in migliaia e migliaia di luoghi di lavoro, sia in Italia (il più delle volte in maniera spontanea) che nel resto del mondo (valga su tutti l’esempio degli operai degli stabilimenti FCA, GM e Ford negli Stati Uniti).
Nel mentre i vertici di Cgil-Cisl-Uil davano vita a un estenuante e ridicolo balletto di annunci e controannunci, firme di Protocolli-truffa e annunci di scioperi generali smentiti poche ore dopo, i provvedimenti governativi della scorsa settimana sulla chiusura di alcune attività, per quanto ancora estremamente parziali e contraddittori, sono stati il frutto di un processo spontaneo di difesa che è andato moltiplicandosi di ora in ora nei luoghi di lavoro, fuori e contro le logiche di asservimento dei confederali ai diktat di Confindustria e Confetra.
Ma il dato più eclatante e davvero epocale di questa emergenza sta nell’aver svelato agli occhi di milioni di proletari il carattere strutturalmente capitalistico di questa crisi, sia sotto il profilo sanitario sia per quanto attiene alle cause reali e alle conseguenze di breve-medio periodo della crisi economica che è alle porte sempre più virulenta.
- Sul piano sanitario, il collasso dei reparti ospedalieri nel nord Italia e la spirale di malati deceduti senza poter ricevere cura e’ l’immagine più nitida e al contempo drammatica di un sistema che per decenni ha attuato politiche di demolizione programmata della spesa sociale in nome del contenimento dei “costi”, dei profitti della sanità privata e di una corsa sfrenata agli armamenti (come abbiamo denunciato in un nostro manifesto: “un caccia F35 costa quanto 7113 ventilatori polmonari”…).
- Ma la crisi rovinosa prodotta dal CoVid-19 non è da ascrivere solo al tracollo dei sistemi sanitari pubblici. Lo stesso coronavirus è tutt’altro che una “maledizione caduta dal cielo”come vorrebbe farci credere la narrativa “mainstream”, ne tantomeno, come sostiene tutto il filone “complottista”, è il risultato di chissà quale esperimento di laboratorio organizzato da quello o quell’altro paese imperialista: al contrario, la stessa causa scatenante dell epidemia è connessa a doppio filo col sistema di sfruttamento capitalistico della natura; come evidenziato da compagni e ricercatori indipendenti cinesi, il diffondersi del virus è il prodotto dei processi di depredazione e di deforestazione senza freni delle risorse naturali operati dal capitale, in questo caso quello cinese.
- Le conseguenze, ovvero i costi di questa crisi senza precedenti, saranno manco a dirlo ancora una volta addossati sulle spalle dei lavoratori e dei proletari. Le elargizioni di denaro a pioggia che tutti i governi, con il nostro in prima fila, e la stessa UE stanno mettendo a punto, non devono in alcun modo illuderci, così come non bisogna lasciarsi abbindolare dalla repentina inversione di marcia operata dalla quasi totalità delle istituzioni nazionali e sovranazionali nella direzione di un ritorno di fiamma verso il “deficit spending”, e ciò per due motivi: 1) le massicce iniezioni di denaro pubblico, già in queste ore, sono orientate in larga parte a sostenere i bilanci delle imprese e del capitale bancario al fine di evitare (o meglio, a ritardare) gli effetti di una crisi che è e sarà sempre più sistemica; d’altro canto, i provvedimenti (decisamente meno massicci) a sostegno dei salari e dei redditi servono invece, per stessa ammissione dei governanti, a prevenire e limitare possibili ondate di proteste popolari; 2) la spesa in deficit, da sempre, è una misura-tampone che una volta terminata l’emergenza si ripercuote in termini esponenzialmente negativi sulle condizioni di vita dei proletari: un credito (minimo) erogato oggi ai proletari, ma che domani, in nome delle “politiche di rientro del debito”, governi, padroni e banche vorranno vedere saldati con tassi d’interesse usurai…
Questo nuovo e complicato quadro ci impone la necessità di “uscire allo scoperto” in tempi stretti e nella maniera più chiara possibile.
La crisi rovinosa che sta attraversando, e con ogni probabilità tenderà ad attraversare per anni, ogni aspetto del dominio capitalistico, e con essa il processo di impoverimento cui vasti strati della classe lavoratrice e le masse povere andranno incontro a breve, è foriera di possibili grandi esplosioni di lotta e di protesta : ciò rappresenta per le forze di classe e anticapitaliste una potenziale opportunità di ricevere attenzione da settori ben più larghi di quelli che sinora ci hanno prestato ascolto, ma anche il rischio che il malcontento possa sfociare ancor più di prima verso i lidi del nazionalismo e della reazione.
Se da un lato è evidente come le misure repressive “a senso unico” verso chi viola la quarantena prefigurano una nuova escalation repressiva anche quando l’emergenza sarà terminata, è altrettanto vero che in molte aree metropolitane, in primo luogo nel meridione della disoccupazione e del lavoro nero, gli effetti devastanti di questa crisi stanno già in queste ore producendo forme spontanee di malcontento e di protesta con cui molte soggettività che hanno preso parte all’assemblea dell’8 febbraio, unite nella rete “Vogliamo Tutto”, si stanno già dialettizzando.
Per tutti questi motivi vi proponiamo un incontro in videoconferenza per giovedì 2 aprile alle ore 17, in cui socializzare i rispettivi percorsi ed individuare insieme un programma di azione di classe immediato.
Come SI Cobas proponiamo di avviare una campagna comune a partire dalle seguenti rivendicazioni:
- I costi della pandemia li paghino i padroni: patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione
- Diritto a stare a casa a salario pieno fino al termine della pandemia per tutti i lavoratori non operanti nei servizi essenziali
- Prevenzione straordinaria con garanzia del tampone per tutti i proletari, a partire da quelli obbligati a lavorare in queste settimane
- Taglio drastico delle spese militari da destinare alla spesa sociale e sanitaria
- Assunzioni stabili e non precarie del personale sanitario ed infermieristico
- Salario di quarantena per tutti i disoccupati, i precari e i lavoratori al nero
- Blocco immediato di fitti, mutui e tariffe per chi perde il lavoro
Invitiamo tutte le realtà destinatarie di questo appello, e a chiunque volesse aggiungersi, a comunicarci la loro disponibilità su questa email, o su whatsapp contattando i numeri 3338490774 o 3397212623. Entro mercoledì pomeriggio verrà comunicata a tutti i partecipanti l’applicazione da utilizzare e le modalità di accesso alla videoconferenza.
30/03/2020
Esecutivo SI Cobas