Trasmettiamo di seguito una lettera inviata da una nostra compagna ad una ragazza che ha militato insieme a lei all’interno di un collettivo studentesco. In questa lettera la compagna riflette e fa un bilancio dell’intervento che ha messo in campo, da comunista, su questo collettivo. In particolare, fa autocritica per il fatto di non essere riuscita a legare le varie lotte rivendicative al movimento comunista e spiega come mai invece questo sia necessario. È per noi una fonte di insegnamento, perché ci mostra l’importanza di combinare e curare quando agiamo su un’organizzazione operaia o popolare entrambi gli aspetti: spingere a fare una scuola pratica di comunismo e l’aspetto teorico.
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Cara compagna,
ti scrivo per sottoporti una riflessione che ho maturato in questi giorni di emergenza sanitaria, nei quali abbiamo più tempo a disposizione per ragionare.
Ho pensato molto alle lotte che abbiamo portato avanti insieme in questi anni, da quando abbiamo mosso i primi passi nella nostra scuola organizzando iniziative cuturali e cineforum per ritagliarci degli spazi di confronto alla creazione di un Collettivo che si è adoperato per mettere mano concretamente ai problemi della scuola. Abbiamo fatto un lavoro importante, mai realizzato prima nella nostra scuola, e il frutto di questo lavoro si è visto soprattutto dall’unità e la determinazione con cui due intere classi hanno deciso di boicottare i test INVALSI e dalla seria mobilitazione per dei mezzi di trasporto decenti.
Tuttavia, io credo ci sia mancato (ed è mancato in particolare a me, in quanto comunista e “dirigente” del Collettivo) l’elemento fondamentale: quello di legare tutte queste lotte rivendicative al movimento comunista, di far ragionare i ragazzi sulle contraddizioni del sistema capitalista per far loro capire che solo con un cambiamento radicale della società avrebbero potuto vedere realizzati gli ideali per i quali lottavano e lottano con tanto slancio, a partire dal diritto ad un’istruzione libera e gratuita, non asservita alle logiche di mercato. Di critiche al capitalismo durante le nostre attività ce ne sono state tante, ma è sempre venuto meno l’elemento costruttivo, di fatto non abbiamo mai discusso seriamente di quale alternativa potessimo costruire, fuori da questo sistema. Non parlarne equivale ad illudere, perché effettivamente quei miglioramenti per i quali stimolavo voi, i miei compagni del Collettivo, a lottare, non li avremmo potuti avere qui ed oggi, senza cambiare lo stato di cose vigente, dentro questa società. Questo, però, io non l’ho mai detto.
Dico che l’errore è stato essenzialmente mio perché io da tempo avevo capito (o forse pensavo di aver capito, dato che la prova di quanto un compagno ha assimilato in teoria si vede poi nella sua azione) che ogni lotta rivendicativa, se non viene incanalata in un progetto più ampio è parziale ed inutile (infatti la borghesia, appena potrà, si riprenderà tutte le concessioni che le masse popolari riescono a strapparle: in questa fase acuta e terminale della crisi essa non può, infatti, permettersi di concedere niente). Non solo, è anche dannosa, perché i vari tentativi che, per forza di cose, non andranno a buon fine, oppure ci andranno fino ad un certo punto, provocheranno nelle masse popolari frustrazione e rassegnazione. Questo è, purtroppo, proprio quello che è successo: i ragazzi del Collettivo hanno di molto allentato la presa da quando siamo andati via noi più grandi che eravamo la testa del collettivo, e questo soprattutto perché, non essendo noi riusciti a dar loro una prospettiva di più ampio respiro (lottare per il socialismo e per il Governo di Blocco Popolare), non erano motivati, non avevano fiducia nella loro azione, erano, appunto, frustrati perché non riuscivano a coinvolgere tanti ragazzi. Io ero una ragazza come te, che si era organizzata nella sua scuola perché vedeva che c’erano dei problemi che voleva risolvere dal basso. Ho capito la necessità di lottare per il socialismo soprattutto sulla base della mia esperienza (perché vedevo che i nostri risultati erano sempre parziali, mai davvero soddisfacenti: per esempio, eravamo riusciti a rendere l’assemblea di istituto gratuita per tutti gli studenti, ma dopo poco il problema si è ripresentato), ma anche perché vedevo che il Partito dei Carc, al quale poi mi sono legata, mi dava degli strumenti che io non avevo per interpretare e capire la realtà nella quale mi muovevo.
Io ho trovato molte difficoltà del portare a te e agli altri compagni l’appello al socialismo, soprattutto per questi motivi:
-Conciliatorismo: ero consapevole che all’interno del collettivo nessuno fosse comunista, c’erano ragazzi dalle idee politiche più disparate e questi avevano messo in chiaro fin da subito che il collettivo doveva essere apartitico. Avevo dunque paura dello scontro.
-Per paura di allontanare i ragazzi che non la pensavano come me.
-Perché non ero sicura delle cose che sostenevo, della mia capacità di saperle spiegare e di riuscire ad illuminare l’esperienza dei miei compagni e probabilmente anche della mia scelta di stare nel partito.
-Perché pensavo, sbagliando, che fosse giusto non parlare esplicitamente di socialismo, ma cercavo di sostenere tutte le lotte e di farle andare avanti sperando chi giovani avrebbero capito da soli che serviva un governo d’emergenza popolare, che i loro diritti non potevano davvero essere applicati all’interno di questo sistema.
Credo che oggi, con l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo, stia diventando sempre più palese agli occhi della gente il fatto che sia necessario un governo di emergenza delle masse popolari organizzate, che prendono i provvedimenti che servono davvero al benessere del paese. La borghesia, nei fatti, sta svelando la sua vera faccia: la gente continua a morire a causa delle politiche criminali di tagli al sistema sanitario nazionale che essa stessa ha perpetrato negli scorsi decenni, quella borghesia che ora cerca di far ricadere la colpa sulle masse popolari, accusandole di essere irresponsabili ed egoiste, di non pensare al “bene comune”. A requisire le strutture ospedaliere private senza indennizzo e assumere personale sanitario a tempo indeterminato, però, non ci pensa, perché deve pensare prima a tutelare il loro interesse.
Noi giovani non siamo solo il futuro dell’umanità, ma anche e soprattutto il presente. Salvador Allende diceva che “Essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione persino biologica”. Andrà tutto bene, allora, solo se oggi lottiamo insieme per l’instaurazione di un governo che sia l’emanazione ed i provvedimenti presi dalle masse popolari e non da una classe parassitaria, è il primo passo di un processo che ci porterà ad un sistema giusto e solidale: il socialismo.