Scioperi spontanei e fuochi di lotta per il diritto alla salute

Per avere idea di quanto sono stati capillari gli episodi di mobilitazione dopo la pubblicazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’8 marzo che “chiudeva il paese”, rimandiamo alle pagine del nostro sito, in particolare all’articolo Mobilitazioni in tutto il paese per fare fronte dal basso al Covid-19 che manteniamo in continuo aggiornamento. Di seguito riportiamo una sintetica selezione dei principali episodi, focalizzandoci sulle mobilitazioni operaie nelle grandi fabbriche da cui è partita la richiesta di serrata per dato il via alla rivendicazione di fermata per  di tutte le attività produttive non essenziali. Una rivendicazione che ha messo in chiaro una volta di più gli schieramenti in campo: da una parte padroni e governo, che vogliono garantita la produzione a ogni costo, e dall’altra gli operai e i lavoratori che pretendono sia riconosciuto il diritto alla salute e alla sicurezza. Mentre scriviamo, nonostante il Decreto del 23 marzo che avrebbe dovuto “chiudere tutto”, ancora le aziende che producono beni non essenziali sono ancora aperte…

Dal 10 marzo gli operai cominciano a farsi sentire, a rifiutare di lavorare in condizioni che sono sempre più percepite come insicure. A dispetto di quanto raccomandato dalla Commissione di Garanzia che intimava di non scioperare, i primi scioperi arrivano, a partire dalla FCA di Termoli, dove il Sindacato Operai Autorganizzati (SOA) dichiara uno sciopero di più giorni, dal 10 al 14 marzo, per attuare dal basso la chiusura dello stabilimento per l’epidemia. Nelle stesse ore scioperano i lavoratori della Bartolini BRT di Caorso (PC), che diretti da USB rivendicano la tutela della propria sicurezza e la fornitura di mascherine e guanti. Scioperi anche all’Ikea a Roma, mentre alla Piaggio di Pontedera prende il via una serie di segnalazioni e proteste sulle condizioni di lavoro nella fabbrica, che si protrarranno anche nei giorni a seguire. Il Si Cobas FCA di Pomigliano (NA) presenta una denuncia all’Ispettorato del Lavoro, mentre partono i primi scioperi spontanei anche in quello stabilimento. Nei giorni seguenti sciopera anche la Whirlpool di Cassinetta (VA), mentre si registra una prima vittoria con la chiusura temporanea degli stabilimenti FCA di Pomigliano, Melfi e Cassino. Nelle aziende di tutto il paese monta l’aspettativa che il governo dichiari la serrata di tutte le attività non essenziali per arginare i contagi.

Un altro fronte caldo è quello delle carceri, dove scoppiano rivolte in 27 istituti sparsi in tutto il paese. Nel pieno dell’epidemia la condizione dei carcerati è quella dell’endemico sovraffollamento: la preoccupazione per l’emergenza sanitaria e l’imposizione della cancellazione dei colloqui con i famigliari ha fatto da detonatore a rivolte che non si vedevano da decenni. Il bilancio della repressione, dopo giorni di sommosse, sarà di 14 morti: la versione ufficiale delle autorità parla di overdose da oppiacei trafugati dalle infermerie durante la rivolta.

Nonostante un susseguirsi di Decreti e disposizioni restringano sempre più gli spazi di movimento e dispongano la chiusura di negozi, bar e ristoranti, la produzione di beni e servizi delle aziende non viene sospesa. Gli operai devono continuare a lavorare, gli uffici devono restare aperti. Salta il tappo della Esplode la rabbia operaia, sono centinaia gli scioperi spontanei e le forme di resistenza anche individuale, con i lavoratori che si mettono in ferie o in malattia. Nella logistica prosegue la mobilitazione in tutto il centro-nord: scioperano alla Piaggio, alla GKN di Firenze, all’AST di Terni, alla Fincantieri di Ancona, in varie aziende di Brescia e provincia, come la Pasotti di Pompiano, e del Piemonte, come alla Valeo di Mondovì. Altri scioperi vengono indetti in moltissime aziende in tutto il paese e i sindacati di base sono sul piede di guerra. Su spinta delle mobilitazioni spontanee FIOM-FIM-UILM minacciano lo sciopero a oltranza a livello nazionale se non viene fermata la produzione per sanificare gli impianti. Il governo convoca in videoconferenza i vertici di CGIL, CISL e UIL e di Confindustria per decidere il da farsi.

Il 14 marzo, il frutto della lunga trattativa è il protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nonostante le aspettative, ancora non viene decisa alcuna fermata produttiva, che viene lasciata alla volontà delle singole aziende. Le mobilitazioni operaie dilagano e impongono la chiusura anche all’Iveco di Suzzara (MN), con lo sciopero indetto in solitaria dall’UGL, e alla CNHI di Jesi (AN), dove lo sciopero è indetto dalla FIOM. Alla Electrolux di Susegana (TV) la continua mobilitazione operaia impone la chiusura. Ormai è chiaro che quello che non è in grado di fare il governo lo impone la classe operaia con la lotta!

Il traino della lotta operaia si fa sentire ed entrano in agitazione anche nel settore del commercio e delle consegne a domicilio. Alle proteste si uniscono anche i Vigili del Fuoco. Nel frattempo dilaga anche la mobilitazione nel settore più colpito dalla crisi in corso, quello della sanità: sempre maggiore è la protesta per i turni massacranti, per la carenza di personale, per la mancanza di strumenti, sia operativi che di protezione individuale. La sanità spolpata da anni di politiche predatorie è al collasso.

Nel corso di tutta la settimana seguente non accenna a diminuire la mobilitazione: nonostante le città siano vuote per le misure imposte dal governo il fronte delle aziende, degli ospedali,  e delle carceri è caldissimo. Proseguono le iniziative di lotta e si formano comitati e organismi di solidarietà dal basso, per tutti quelli che si vedono bisognosi hanno di assistenza e si ritrovano isolati dalla propria abituale rete di socialità.

L’emergenza si aggrava, parecchie aziende hanno temporaneamente chiuso su pressione diretta o indiretta dei lavoratori, ma tantissime rimangono aperte, anche nelle zone più a rischio e maggiormente colpite. Ormai si lavora anche dove si sono stati accertati casi di Covid-19 senza che alcuna autorità intervenga. Attraverso vari strumenti (lettere aperte, post sui profili Facebook dei sindaci) i lavoratori, alla spicciolata, ma diffusamente, iniziano ad appellarsi alle amministrazioni locali perché facciano ordinanze per chiudere quelle aziende che continuano a produrre favorendo il diffondersi del contagio, visto che non lo fanno i governatori regionali né il governo. Questa spinta porta a prese di posizione contro la mancata fermata produttiva, puntando che puntano esplicitamente il dito esplicitamente contro le scelte degli industriali, come ha fatto il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono in un’intervista a il Fatto Quotidiano. Alcuni sindaci di comuni di provincia emettono comunicati nei quali invitano le aziende dei loro territori a chiudere e i lavoratori a starsene a casa, ma nessuno compie ancora il passo di emettere regolare ordinanza in tutela della salute pubblica, come invece indicato precisamente da alcuni lavoratori.

20 marzo. In questo clima il Ministero della Salute emette un’ordinanza che reinterpreta in senso ancora più restrittivo alcune limitazioni per le uscite da casa. Mentre monta la protesta per le fabbriche che rimangono aperte, il governo dichiara guerra a chi porta a pisciare il cane! Il 22 marzo il sindacato USB dichiara lo sciopero generale di tutte le categorie del pubblico e del privato per mercoledì 25 marzo, per chiedere la fermata produttiva. La Commissione di Garanzia intima di ritirarlo, ma USB tira dritto e lo sciopero nazionale si combina con quello dei metalmeccanici della FIOM in Lombardia e Lazio.

Nel momento in cui scriviamo, Confindustria fa le carte false per evitare la chiusura delle aziende e il governo tergiversa per assecondarla. La battaglia per definire nuovi rapporti di forza è aperta: ai padroni l’arma del ricatto e della legge, agli operai la consapevolezza della loro forza, la possibilità di farla valere attraverso l’organizzazione e la solidarietà di tutte le masse popolari.

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