Riceviamo e rilanciamo la lettera inviata da Paola alla nostra Agenzia Stampa, un’insegnante precaria delle scuole medie che si trova a fronteggiare il nuovo metodo della didattica a distanza e tutti i problemi che ne conseguono, non solo per gli studenti ma anche per i professori.
Malgrado quello degli insegnanti sia già un mestiere difficile in un sistema sociale in cui l’istruzione è stata rapinata e svuotata di fondi (come quelli necessari a garantire la sicurezza degli edifici e la strumentazione necessaria per ridurre al minimo le diseguaglianze cognitive e sociali) essere un insegnante ai tempi del Covid-19 è ancora più complicato.
Il Ministero dell’Istruzione infatti, ha garantito agli studenti che non perderanno l’anno grazie ad un sistema di video lezioni e sistemi di valutazione ad hoc in discussione proprio in questi giorni, dando per scontato però che ognuno abbia a disposizione connessione ad internet e computer, mettendo dunque in evidenza situazioni familiari problematiche per le quali avere un pc per ogni figlio che deve frequentare le lezioni da casa non è la priorità.
I genitori inoltre, il più delle volte, sono costretti a lavorare fuori casa anche durante l’emergenza, e non possono garantire ai ragazzi il supporto necessario per l’accesso ai canali con cui oggi si da continuità ai programmi scolastici cercando di far restare in piedi quel che rimane dell’istruzione pubblica.
Per gli insegnanti i problemi sono altri, ma strettamente connessi a quelli degli studenti. Garantire la puntualità nell’inizio e nella fine delle lezioni è quasi impossibile come lo è far conciliare la gestione delle ore d’insegnamento a distanza con il tempo che la cura dei figli piccoli, anche loro a casa per la chiusura di asili e scuole elementari, richiede.
Per non parlare della mancata tutela per l’eventuale utilizzo improprio di video o audio facilmente registrabili e condivisibili sui social network. Per farvi fronte il personale docente ha proposto di ridurre al minimo l’utilizzo dello strumento delle videoconferenze, riservandolo ai casi eccezionali come per coloro che appartengono alla categoria della 104 o 107, oppure ancora per la correzione di compiti per cui è richiesto necessariamente un supporto audiovisivo. La proposta è quella di utilizzare invece il registro elettronico attraverso il quale è possibile per gli insegnanti caricare materiali audio, video ma anche file di testo facilmente consultabili e scaricabili dagli studenti.
Dalla lettera di Paola si capisce quella che è la gestione caotica del sistema scolastico in un periodo di emergenza, ma emerge con forza anche la preoccupazione di chi ha familiari e conviventi ancora costretti a lavorare in fabbrica, a stretto contatto con altri operai, senza protezioni sufficienti, correndo il rischio di contrarre il virus e di trasmetterlo a chi è chiuso in casa da oltre 20 giorni per la quarantena, vanificando gli effetti delle misure restrittive del Governo Conte.
Come un cane che si morde la coda, in questa gestione scellerata e folle dell’emergenza messa in moto dal Governo Conte, a farne le spese sono le masse popolari che continuano ad ammalarsi ma che non possono accedere in toto alle cure necessarie perché mancano posti letto e respiratori, mancano dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario al quale, nonostante tutto, viene fatto timbrare il cartellino ad ogni costo purché l’azienda della salute continui a far finta di funzionare.
È vero quindi quello che dice Paola: urgono misure di emergenza affinché le strutture ospedaliere siano in grado di accogliere i pazienti Covid-19 positivi nella massima sicurezza di familiari e lavoratori.
Non serve però distrarre gli unici fondi stanziati a garanzia del diritto all’istruzione pubblica, bensì investirli per la didattica di emergenza che serve, per esempio fornendo a tutti gli studenti e agli insegnanti il materiale necessario per accedere alle piattaforme online, garantendo la gratuità di testi scolastici e la fruibilità di materiale da portali dedicati semplificando così il lavoro sia a insegnanti che studenti. Non serve distrarre i miseri fondi che il Governo Conte ha stanziato per la scuola per destinarli alla sanità.
I medici, gli infermieri, gli studenti, gli insegnanti e gli operai non hanno bisogno di un Governo che prosegua il processo di smantellamento decennale dei diritti costituzionalmente garantiti alle masse popolari, strizzando l’occhio a Confindustria e al profitto nonostante l’emergenza sanitaria. Quello di cui c’è bisogno invece è una soluzione politica per far fronte agli effetti più gravi della crisi del capitalismo, giunto ormai in fase terminale.
Serve il Governo di Blocco Popolare, espressione degli operai e delle masse popolari organizzate, capace di dare forma e forza di legge alle misure che caso per caso e di momento in momento le organizzazioni operaie e popolari indicheranno come quelle che per esempio indicano oggi per far fronte all’emergenza sanitaria:
- Requisire senza indennizzo gli ospedali e le cliniche private,
- riaprire gli ospedali chiusi ma agibili,
- assumere a tempo indeterminato il personale sanitario, fermando il contagio intraospedaliero,
- fornire i DPI che servono al personale sanitario,
- abolire il vincolo di fedeltà aziendale.
Tutte cose che non può fare nessun governo succube del “mercato” finanziario, complice del sistema bancario e vincolato al sistema monetario, neanche di fronte all’emergenza da Covid-19.
È con questo obiettivo che facciamo appello agli insegnanti come Paola, agli operai, agli studenti, di organizzarsi con i propri colleghi di lavoro, compagni di scuola, nei quartieri per continuare a lottare contro il vero nemico della classe operaia e delle masse popolare, il capitalismo e il suo virus.
Il Governo di Blocco Popolare porrà fine al carattere distruttivo della crisi economica indirizzando l’intero paese su una strada di rinascita a un livello superiore a quello raggiunto quando il movimento comunista era ancora forte nel mondo, verso la costruzione del socialismo.
Buona lettura
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Cari compagni e care compagne dell’Agenzia Stampa,
ho letto l’articolo contenente la lettera di una studentessa universitaria di Napoli che lamentava le difficoltà nel seguire le lezioni online da parte soprattutto delle fasce più deboli, quelle di quanti sono costretti a lavorare per studiare.
Io mi trovo a vivere un’esperienza analoga ma dall’altra parte delle cattedra, sono insegnante in una scuola media.
Premesso che esistono tutta una serie di dinamiche lavorative per cui c’è una “corsa agli armamenti” da parte di tanti colleghi che vogliono dimostrare quanto fanno di più degli altri, anche noi docenti ci troviamo di fronte ad una situazione di grande difficoltà: le videolezioni di queste settimane hanno mostrato molti limiti:
- limiti tecnici (connessione non sempre adeguata, auricolari non funzionanti…);
- limiti legati all’incapacità di molti studenti di usare il computer (soprattutto quelli che già hanno difficoltà pregresse -104, 107…-);
- limiti legati al tempo: è difficile rispettare l’orario scolastico (come da calendario).
A ciò vanno aggiunte le miriadi di riunioni e i “videoincontri” con soggetti specifici o con i colleghi perché intanto “stiamo tutti a casa”. Insomma la giornata lavorativa finisce sempre più tardi.
A questi disagi, che accomunano tutti, si aggiunge quello di chi, come me, sta passando la quarantena a casa con un figlio piccolo: Luca ha quattro anni e per me è davvero molto difficile fargli capire che sto lavorando anche se sono in sala e che il computer è il mio strumento di lavoro e non lo schermo in cui vedere cartoni su Youtube. Spesso, infatti, le mie videolezioni sono interrotte dalle sue continue richieste di attenzione. Purtroppo, finora, non sono riuscita a “tenerlo a debita distanza” perché mio marito è stato costretto ad andare a lavoro, essendo operaio. Alla mia difficoltà lavorativa si aggiunge, quindi, anche la preoccupazione di madre: in una fabbrica è impossibile mantenere la distanza di sicurezza! Ho paura per la salute di mio figlio che, giustamente, appena torna a casa il padre lo abbraccia e vuole giocare con lui.
Insomma per noi docenti la vita è diventata ancora più dura: il working from home è totalizzante proprio perché il lavoro è a tempo pieno, non ci sono, di fatto, orari prestabiliti e staccare è praticamente impossibile.
L’USB ha indetto mercoledì 25 marzo uno sciopero -a cui ho aderito- per rimanere scollegati come gesto di protesta sia all’incontrollata didattica multimediale -che non sostituisce di certo quella tradizionale e arricchisce case editrici e grandi marchi informatici- sia per assicurare la chiusura totale delle scuole (molto spesso il personale Ata è costretto a recarsi a lavoro in attesa del passaggio di qualche docente che deve -come se in questo momento fosse necessario- recuperare qualche libro).
Io non voglio non lavorare, ben inteso. Voglio garantire ai miei alunni, soprattutto a quelli che ne hanno più bisogno, il diritto all’istruzione. E lo voglio fare nella maniera meno traumatica possibile: rispettando orari, assegnando loro un carico adeguato di lavoro, semplificando le lezioni (consapevole che nessuna didattica multimediale potrà mai sostituire la lezione in classe). Non possiamo far finta che intorno a noi la situazione sia normale e i ragazzi lo sanno: mi chiedono spesso se verranno promossi, se ci rivedremo, che manca loro anche la scuola (chi lo avrebbe mai detto!). Non dobbiamo ingannarli ma possiamo rendere meno traumatico e più sereno possibile questo momento: sovraccaricarli non è certamente il modo giusto per garantire loro il necessario benessere psicologico (e neanche il nostro!). La scuola non è solamente una fabbrica di nozioni e di compiti da svolgere: è anche il luogo dove gli alunni imparano a vivere, a confrontarsi con gli altri, a dare il giusto valore alle cose. Come possiamo perciò far passare il messaggio che, in questo momento drammatico, sia più importante essere uno studente modello che non essere un uomo?
A tal proposito esemplare è il gesto di un gruppo di docenti di Viterbo che ha donato 85000 euro (previsti per la didattica online) alla sanità. Sono loro che hanno insegnano davvero ai loro alunni (e anche a noi colleghi) una grande lezione di vita ed è moltiplicando il loro gesto che saremmo anche noi altri docenti all’altezza del nostro ruolo.
Credo, infatti, che in questo periodo di grande incertezza la priorità non sia la scuola ma la sanità ed è lì che lo Stato dovrebbe investire: risparmi i soldi per la didattica online e per i concorsi (assumendo a tempo indeterminato tutti i precari storici che si stanno dimostrando in questo momento quanto mai pronti a qualsiasi tipo di didattica alternativa!) e li riversi nel SSN, vittima di uno smantellamento decennale!
Paola