Agitazione, propaganda e organizzazione: attività di partito nel paese in quarantena

Nonostante i decreti che restringono le libertà delle masse popolari ogni giorno di più, noi non ci fermiamo: i comunisti devono proseguire con la loro opera di costruzione della rivoluzione socialista, tanto più in una situazione di emergenza come questa che porta con forza alla luce tutte le contraddizioni del capitalismo. Con consapevolezza e senso di responsabilità abbiamo quindi deciso fin da subito di non “aspettare che passi la nottata”, ma adottando tutte le precauzioni igienico-sanitarie (uso di mascherine e guanti, mantenimento della distanza di sicurezza) abbiamo trovato modalità diverse e creative di continuare il nostro lavoro di mobilitazione delle masse popolari. La responsabilità della diffusione del contagio, dei morti e degli incalcolabili danni del Coronavirus è infatti solo e soltanto della classe dominante e delle sue autorità: non possiamo aspettarci una soluzione che venga da loro, ma dobbiamo adoperarci in ogni modo per condurre la lotta di classe anche nelle condizioni attuali.

Per questioni di spazio non riusciamo a riportare sul giornale gran parte dell’attività del Partito di queste settimane: di seguito indichiamo alcuni esempi di quello che stiamo mettendo in campo, invitando tutti a contribuire per svolgere iniziative simili o altre, da individuare caso per caso, sui territori.

Informazione. Dal 10 marzo abbiamo attivato per mezzo dell’Agenzia Stampa Staffetta Rossa, sia sul nostro sito che sulla newsletter email, degli aggiornamenti sulla mobilitazione delle masse popolari per far fronte alla situazione di emergenza. Stiamo riportando ogni giorno non solo le attività che le sezioni fanno sui territori, ma tutte le mobilitazioni di cui veniamo a conoscenza: nelle fabbriche, nel settore della sanità, nel mondo della scuola, dei precari, nelle carceri, delle organizzazioni sul territorio, ecc. (vedi l’articolo a pag. 4). I media della borghesia non fanno altro che alimentare il terrorismo tra le masse popolari che in queste settimane sono bene o male costrette a sorbirsi ore e ore di TV e di informazione parziale e distorta, dove il messaggio che passa è: “state a casa che ci pensa il governo a fare il vostro bene”. Noi mostriamo che sono sempre di più le mobilitazioni di operai, lavoratori della sanità e masse popolari che da un capo all’altro attraversano il nostro paese e che dimostrano che “andrà tutto bene” solo se la gestione dell’emergenza verrà tolta dalle mani degli speculatori e degli affaristi e verrà assunta come propria dalle masse popolari organizzate.

Propaganda. La propaganda è un pezzo importante del nostro lavoro, soprattutto in un momento come questo in cui serve che i comunisti si facciano portatori di messaggi e appelli all’organizzazione delle masse popolari. Quindi abbiamo da subito prodotto locandine e volantini (che trovate sul nostro sito) con parole d’ordine che si rivolgono alla classe operaia, al personale sanitario e ai giovani: in tutte le città dove siamo presenti abbiamo fatto attacchinaggio sui muri e messo il materiale nelle cassette delle lettere, abbiamo appeso striscioni davanti alle fabbriche, agli ospedali, alle università e nei quartieri. Lo abbiamo fatto anche approfittando delle passeggiate e commissioni (fare la spesa, andare alle Poste, ecc.) che sono (ancora) permesse, facendo nostra la concezione di utilizzare qualsiasi occasione per portare un orientamento giusto alle masse popolari. Perfino fare la fila al supermercato è diventata un’occasione per fare inchiesta sui problemi del quartiere, delle famiglie e dei lavoratori e per instaurare dei legami!

Non è mancato l’intervento davanti ad aziende e ospedali, fatto per lo più sotto forma di videomessaggi (vedi articolo sulle iniziative on-line a pag. 6) o tramite interviste ai lavoratori. Ne riportiamo una fra le tante, a titolo di esempio, invitando i lettori a visitare il nostro sito per gli altri aggiornamenti. La testimonianza è di un OSS del Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna, del sindacato SGB. Oltre a denunciare la situazione drammatica in cui versano gli ospedali pubblici a Bologna come nel resto d’Italia – l’emergenza Covid-19 ha scoperchiato i danni prodotti da decenni di incuria e gestione speculativa delle strutture sanitarie – , il compagno non si è limitato ad elencare le cause del disastro ma ha proposto una soluzione per mettere mano nel concreto ai problemi del Servizio Sanitario Nazionale: “Penso che per rilanciare la sanità pubblica bisogna iniziare a lavorare soprattutto sui lavoratori e sulle lavoratrici, renderli coscienti della funzione che hanno come difensori del proprio lavoro e della salute dei cittadini, costruendo coordinamenti con i cittadini e con chiunque oggi si occupi di sanità pubblica. La contraddizione oggi emersa con il Covid-19 deve essere la molla per l’agire politico di chiunque ritiene che la salute è un bene pubblico e che va difeso con le unghie e i denti. Inoltre, non può esserci una gestione decentrata sulla regione come quella di oggi: ci vuole un assetto diverso, incentrato sulla pianificazione reale dei metodi sia dei lavoratori, che devono partecipare alle decisioni di applicazione del loro agire quotidiano, sia della cittadinanza, con la partecipazione a piani di prevenzione e di salute pubblica in tutti gli ambiti quotidiani. In una società strutturata capitalisticamente ciò non è proponibile perché il modello aziendale risponde agli interessi monetari, alle multinazionali del farmaco e alle varie aziende, tipo quelle che producono pannoloni o sapone, le ditte esterne di smaltimento dei rifiuti, ecc., che sfruttano la situazione per ricavare un surplus rispetto alle forniture reali che servono. A ciò si aggiunge lo smantellamento del pubblico in favore del privato”.

Un esempio da seguire e far conoscere viene da Rochy Geneletti, segretario della sezione di Bergamo, una delle città più colpite dal Coronavirus che sta pagando a carissimo prezzo la gestione irresponsabile e criminale che il governo fa dell’emergenza sanitaria. Il compagno ha scritto una lettera alla Prefettura della città e alla Provincia in cui chiede conto della mancata produzione di mascherine sanitarie che sono ormai introvabili ma necessarie. Non si limita a chiedere, ma elenca in maniera dettagliata le aziende e le fabbriche della zona che potrebbero essere incaricate della produzione, riconvertendo le loro produzioni con uno sforzo minimo. Imporre un cambio di produzione di questo tipo è una cosa che anche la nostra Costituzione prevede all’articolo 42: “La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale”, come viene ricordato nella lettera. Così facendo la sezione si è di fatto posta alla pari col Prefetto e la Provincia: non è andata a chiedere con il cappello in mano, non ha fatto un appello generale ma ha messo le autorità competenti di fronte alle loro responsabilità e “ha detto loro cosa fare”, con proposte concrete e immediatamente attuabili.

Questo piccolo ma luminoso esempio deve servirci per capire qual è l’approccio che sempre di più noi comunisti e le masse popolari dobbiamo assumere nei confronti delle istituzioni di ogni livello: se le istituzioni (che dovrebbero in teoria rappresentare i cittadini) non svolgono il loro ruolo, per incompetenza o interesse, ebbene le masse popolari organizzate devono sostituirsi a loro, devono fare quello che il sindaco, la Prefettura, la Regione, ecc., non fanno, per esempio garantire il diritto alla salute dei cittadini. Applicare la Costituzione significa questo, significa non delegare o imparare a farlo sempre meno, significa conoscere profondamente il territorio in cui viviamo e usare quella conoscenza per mettere a disposizione delle masse popolari e dei lavoratori tutte le risorse che servono, significa prendere in mano le redini del paese partendo da quello che già oggi può essere fatto senza indugiare oltre, significa, in definitiva, costruire la rivoluzione socialista.

Tutte queste attività, sia quelle nuove che quelle tradizionali, non devono essere portate avanti solo dal P.CARC ma da chiunque (partiti, singoli, organismi, associazioni, ecc.) voglia opporsi a questo stato di cose e voglia darsi da fare per costruire una società diversa, una società basata non sul profitto di pochi ma sul benessere collettivo. In questo senso negli ultimi giorni sono state lanciate campagne molto positive dal FGC, da Potere al Popolo, dai collettivi studenteschi di tutta Italia e altre se ne aggiungono con il passare delle settimane. Avanti così! Se diciamo che i comunisti devono diventare dei punti di riferimento per le masse popolari, ebbene devono essere presenti qualunque siano le condizioni imposte dalla classe dominante!

Informazione sulle condizioni dei detenuti

Su www.carc.it sono presenti alcune interviste che affrontano la questione delle condizioni dei detenuti e l’emergenza Covid-19 in carcere.

Di seguito un breve stralcio dell’intervista a Caterina Calia, avvocata del Foro di Roma.

(…) La disperazione per le notizie sempre più allarmanti sul rischio contagio e l’assenza di ogni canale di comunicazione con le direzioni ed il DAP ha portato alle rivolte spontanee in tantissimi istituti con i tragici esiti che conosciamo. La maggior parte dei detenuti che hanno partecipato alle proteste e anche molti di coloro che hanno perso la vita in circostanze ancora tutte da chiarire dovevano scontare pene brevissime, uno dei deceduti sarebbe uscito tra due settimane; questo ci dà il polso dell’impatto che ha avuto dentro le carceri la notizia del diffondersi del Coronavirus e delle misure eccezionali adottate per la salvaguardia della salute di tutta la popolazione, eccezion fatta per i carcerati, considerati soggetti privi di qualsiasi diritto, addirittura del diritto primario alla salute e alla vita. (…) Le misure di prevenzione per contrastare la diffusione del contagio tra i detenuti e gli agenti di polizia penitenziaria non possono che produrre l’effetto contrario se non si svuotano urgentemente le carceri, in primo luogo attraverso i classici strumenti deflattivi di amnistia e indulto, riducendo consistentemente il numero dei detenuti. (…) Nessuno può negare che il sovraffollamento nel carcere ha superato ogni limite e che la sanità è quasi inesistente quindi i timori dei reclusi di un espandersi del contagio sono più che fondati.

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