Il primo movimento comunista ha avuto tra i suoi simboli il sole dell’avvenire. La luminosità, l’entusiasmo per il futuro che hanno animato le masse popolari di ogni nazione nella prima metà dello scorso secolo, persino nelle condizioni terribili imposte dalle guerre mondiali nella seconda metà del secolo sono stati via via oscurati e in primo luogo da elementi che si sono spacciati per comunisti mentre portavano i partiti da loro diretti alla rovina. Così facendo, infangavano anche il nome del comunismo. Si sono fatti complici della classe dominante, della borghesia imperialista e del clero, e con loro si sono fatti responsabili della situazione presente, in cui la confusione e l’incertezza tra le masse popolari è enorme e cresce di giorno in giorno. Quella luminosità che ha rischiarato la strada a chi ci ha preceduto è però ancora viva. Anzi, visto che chi ci ha preceduto ha parlato di sole dell’avvenire fino dalla fine dell’Ottocento, dai tempi in cui, a Milano, il generale Bava Beccaris uccideva gli operai a cannonate, oggi dopo 120 anni possiamo bene considerare il nostro tempo vigilia d’aurora.
La vigilia d’aurora, dicono, è il momento in cui la notte è più nera. Infatti, in questo momento l’epidemia da coronavirus – covid19 sta facendo emergere sempre di più i disastri provocati in tutti gli ambiti dal sistema capitalista giunto alla fase terminale della sua crisi generale. La classe dominante già prepara il suo arraffa – arraffa e le sue speculazioni sulle tragedie che stanno colpendo le masse popolari. Il governo Conte, che è portavoce della parte della borghesia imperialista oggi dominante, fa leva sull’emergenza per abolire apertamente alcuni dei principali diritti costituzionali delle masse popolari (dal diritto di spostarsi, al diritto all’istruzione, dal diritto di manifestare a quello di scioperare) e altro non sa dirci se non di “stare a casa” nel tentativo di creare attorno alle istituzioni un clima di “unità nazionale”, impedendo che le masse popolari si organizzino per far fronte all’emergenza conformemente ai propri interessi.
A fronte di questa situazione c’è una risposta immediata e diffusa che è passiva. Sul piano del pensare è segnata da pessimismo e confusione. Sul piano del fare è non fare, cioè un attendere. Ci si affida al governo e alla classe dominante, ci si lascia prendere dal panico per il virus magari ripetendoci che “andrà tutto bene” in attesa che tutto ritorni al punto di prima.
Mettiamo la fiducia nel futuro al posto di questa condizione, di questo modo d’essere e di pensare. Attiviamoci per spingere le masse popolari ad organizzarsi in autonomia dalla classe dominante e dal suo circo mediatico, sostenendo le mobilitazioni dei lavoratori, dei precari, dei vecchi e nuovi disoccupati creati dall’emergenza.
Finita la pandemia, ci troveremo in un sistema politico, economico e sociale diverso da quello che l’ha scatenata. Come sarà il nuovo sistema? Dipende dall’azione della classe operaia e dal suo partito comunista. Dipende da quanto i comunisti rompono con l’inerzia, da quanto fanno propria la concezione comunista del mondo e la utilizzano per trasformare la realtà, assolvendo al ruolo descritto dal (n)PCI:
“L’abilità dei comunisti consisterà nel trovare nel particolare corso preso dalle cose spunti e appigli per creare nuovi centri del Potere delle Masse Popolari Organizzate e rafforzare quelli già esistenti (dal Partito fino a Organizzazioni Operaie e Popolari). Andremo dai più abili e più avanzati nella comprensione a quelli che si limiteranno a denunciare o anche solo a piagnucolare. A ogni persona che denuncia, bisogna appena ha finito chiedere “… e quindi cosa dobbiamo fare?”. Quelli che non traducono la denuncia in linea d’azione (non concludono la denuncia con l’enunciazione della linea d’azione), sono “liberi” di dire qualsiasi cosa, una tesi vale l’altra (è la sofistica al potere, è possibile portare buoni argomenti a favore di una tesi e anche della tesi opposta). Persone simili ovviamente si sottraggono alla verifica della loro denuncia, sono poco seri e sono inaffidabili” (Avviso ai Naviganti 98, 8 marzo 2020).
Del pessimismo, del disfattismo e della convinzione che “tutto tornerà come prima” e che “dovremo ricominciare da capo” parla Gramsci nel suo articolo intitolato appunto “contro il pessimismo” e pubblicato su L’Ordine Nuovo nel marzo del 1924. Siamo a tre anni dalla nascita del Partito Comunista d’Italia con il congresso di Livorno, che aveva sancito la rottura con il riformismo del vecchio PSI facendo propri i punti fondativi dell’Internazionale Comunista e ponendosi l’obiettivo di fare la rivoluzione socialista. Tuttavia, il Partito, nato principalmente su spinta dell’Internazionale e costituitosi come scissione a sinistra del vecchio Partito socialista italiano, di cui aveva mantenuto i limiti ideologici di fondo, non fu in grado di darsi una strategia per condurre vittoriosamente la rivoluzione e fu colto di sorpresa dal fascismo. Questo portò molti militanti a lasciarsi cadere nel fatalismo di chi si ferma a vedere le cose così come sono, convinto che la rivoluzione è alle porte quando le masse si muovono e si ribellano ed è lontana quando la mobilitazione arretra. Se pensi in questo modo quando la mobilitazione arretra resterai fermo in attesa degli eventi, alleviando rabbia e amarezza con il ripeterti che prima o poi la rivoluzione scoppierà. Gramsci scrive, a tal proposito:
“Questo pessimismo è strettamente legato alla situazione generale del nostro paese; la situazione lo spiega, ma non lo giustifica, naturalmente. Che differenza esisterebbe tra noi e il Partito socialista, tra la nostra volontà e la tradizione del Partito socialista, se anche noi sapessimo lavorare e fossimo attivamente ottimisti solo nei periodi di vacche grasse, quando la situazione è propizia, quando le masse lavoratrici si muovono spontaneamente per impulso irresistibile e i partiti proletari possono accomodarsi nella brillante posizione della mosca cocchiera? Che differenza esisterebbe tra noi e il Partito socialista, se anche noi, partendo sia pure da altre considerazioni, da altri punti di vista, avendo sia pure un maggior senso di responsabilità e dimostrando di averlo con la preoccupazione fattiva di apprestare forze organizzative e materiali idonee per parare ogni evenienza, ci abbandonassimo al fatalismo, ci cullassimo nella dolce illusione che gli avvenimenti non possono che svolgersi secondo una determinata linea di sviluppo, quella da noi prevista, nella quale troveranno infallibilmente il sistema di dighe e canali da noi predisposto, incanalandosi e prendendo forma e potenza storica in esso?”
Gramsci continua dicendo che è impossibile poter tornare alla situazione precedente perché nel frattempo la classe operaia, le masse popolari e gli stessi comunisti hanno fatto una scuola pratica che ha irrimediabilmente trasformato la loro coscienza.
“Il pessimismo prende prevalentemente questo tono: – ritorniamo a una situazione pre-Livorno, dovremo rifare lo stesso lavoro che abbiamo fatto prima di Livorno e che credevamo definitivo. Bisogna dimostrare a ogni compagno come sia errata politicamente e teoricamente questa posizione. Certo bisognerà ancora lottare fortemente (…) Ma non ci troveremo più in una situazione pre-Livorno, perché la situazione mondiale e italiana non è, nel 1924, quella del 1920, perché noi stessi non siamo più quelli del 1920 e non lo vorremmo mai più ridiventare. Perché la classe operaia italiana è molto mutata e non sarà più la cosa più semplice di questo mondo, farle rioccupare le fabbriche con, per cannoni, dei tubi di stufa, dopo averle intronato le orecchie e smosso il sangue con la turpe demagogia delle fiere massimaliste. Perché esiste il nostro Partito, che è pur qualcosa, che ha dimostrato di essere qualcosa, e nel quale noi abbiamo una fiducia illimitata, come nella parte migliore, più sana, più onesta del proletariato italiano”.
Nulla sarà più come prima: questo è più vero oggi di quanto lo fu ai tempi in cui Gramsci scrive. L’emergenza sta mostrando in modo chiaro alle masse popolari la contraddizione stridente tra un mondo sempre più interconnesso e unito in tutti i suoi aspetti e il permanere di un sistema basato sulla proprietà privata e renderà progressivamente più evidente la necessità di costruire un nuovo sistema economico, politico e sociale: il socialismo.
Gramsci ci insegna che non si tratta di attendere il momento in cui la rivoluzione socialista verrà. La rivoluzione socialista si costruisce qui ed ora, mobilitandoci per rafforzare gli organismi operai e popolari esistenti e costruirne di nuovi e renderli in grado di instaurare un proprio governo, capace di prendere misure di emergenza nel loro interesse. Non perdiamo tempo aspettando di tornare alla vita di prima. Lanciamoci in questa esperienza nuova e inedita: costruiamo il nuovo potere che farà dell’Italia un nuovo paese socialista. Questa è la prevenzione più efficace, la cura migliore, la soluzione più certa della crisi in corso. Lasciamoci conquistare dalla fiducia nel futuro.