Dopo l’intervista a Caterina Calia, avvocato del foro di Roma, continua l’inchiesta sulle condizioni dei detenuti in Italia.
A seguire vi invitiamo a leggere l’intervista a Pietro Ioia, Garante dei Diritti dei Detenuti di Napoli. Pietro con un passato da narcotrafficante, viene dal carcere dove ha trascorso 22 anni. A Poggioreale ha sperimentato sulla sua pelle la “Cella Zero”, una cella dove i detenuti venivano torturati dalle guardie penitenziarie. Uscito di prigione ha denunciato gli abusi subiti: ne è seguito un procedimento giudiziario che ha visto 22 indagati tra agenti penitenziari e medici (il processo è ancora in corso). Ha fondato l’associazione ex D.O.N che riunisce alcuni ex detenuti campani che tentano di ritrovare un posto nella società dopo la detenzione ed è diventato nel corso degli anni un punto di riferimento per le famiglie dei carcerati. Nel dicembre 2019 il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, lo ha nominato Garante dei diritti dei detenuti.
Gli abbiamo chiesto di esprimersi sul problema di una possibile diffusione del Covid-19 in carcere e sui provvedimenti adottati per fronteggiarla.
Lei conosce bene la condizione delle carceri napoletane, riguardo a Poggioreale ha dichiarato senza mezzi termini che la struttura va chiusa perché non recuperabile. Ci descrive lo stato in cui queste strutture versano? Ritiene, a fronte di ciò, che siano giustificati i timori dei detenuti e dei loro familiari di una diffusione massiva del coronavirus al loro interno?
Ho sempre ribadito che il carcere di Poggioreale andrebbe chiuso perché è una struttura fatiscente, vecchia di almeno un secolo e in cui non esistono misure igieniche adeguate. In celle piccole vivono assembrati tra i 10-12 detenuti e in un contesto come questo il virus potrebbe arrivare a contagiare 2000 mila persone in un baleno, quindi sì, è del tutto giustificata la preoccupazione e la paura sia dei detenuti che dei familiari. La situazione carceraria in Italia d’altra parte è nota, come testimoniano anche le tante sanzioni comminate al nostro paese dalla Corte europea di Strasburgo per violazione dei diritti umani.
Ci sono stati già, a Napoli, casi di contagio tra i detenuti o il resto della popolazione carceraria, ivi compresi gli agenti della penitenziaria?
Per adesso non abbiamo conferme che qualche detenuto abbia contratto il coronavirus nelle carceri della Campania, ma risulta il contagio di un medico nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (CE) e questo aggrava la preoccupazione che il virus possa diffondersi tra i detenuti.
Che impatto avrebbe una diffusione del coronavirus in carcere sulla Sanità napoletana?
A Poggioreale ci sono tra i 2000-2100 detenuti rispetto a una capienza di 1600 posti. Se il coronavirus si propagasse al suo interno, sarebbe una tragedia, una tragedia che si ripercuoterebbe inevitabilmente anche fuori. Nel carcere attualmente i familiari non entrano, immaginate cosa accadrebbe se i familiari entrassero e il contagio venisse veicolato in un senso o nell’altro. Il virus si espanderebbe non solo dentro, ma anche fuori del carcere, in tutti i quartieri di Napoli. I parenti vengono da Forcella, Sanità, Santa Lucia, dai Quartieri Spagnoli, da quartieri che sono tutti ad altissima densità di popolazione. E comunque se i familiari oggi non possono accedere, resta il problema di chi in carcere ci lavora, di chi lo frequenta ogni giorno (secondini, avvocati, magistrati, ecc.) Anche loro possono essere veicolo dell’infezione come dimostra il contagio del medico suddetto.
La sanità a Napoli non ha posti sufficienti neppure per le persone libere, figurarsi per i detenuti. La verità è che i detenuti rischiano di non arrivarci proprio in ospedale. Rischiano di morire nelle loro celle. E questo il Governo fa finta di non saperlo.
E’ tutto questo che occorre prevenire. Occorre fare uscire questa gente.
Considerate che in carcere ci sono persone che devono affrontare ancora tutti i gradi di giudizio, c’è gente che alla fine potrebbe risultare anche innocente. Lo Stato così condanna anche loro a morire come topi, a fare la fine dei topi in gabbia.
Quali sono le misure di prevenzione adottate?
La settimana scorsa ho portato alcuni familiari dal nuovo direttore di Poggioreale e là mi è stato detto che è stata allestita una tenda esterna al carcere dove i nuovi arrivati restano in osservazione una settimana prima di essere distribuiti nei reparti. Ma queste tende c’è chi le ha allestite e chi no. Alcuni detenuti hanno riferito ai familiari che appena arrivati hanno fatto loro il tampone per poi distribuirli subito nelle celle. Ci sono quindi versioni discordanti. Come Garante comunque la settimana entrante andrò a verificare di persona la situazione nelle diverse carceri napoletane.
Ritiene che le misure del Decreto Legge (DL) “Cura Italia” riguardanti il carcere e l’emergenza coronavirus siano sufficienti? A fronte della popolazione carceraria di Poggioreale, in quanti potrebbero usufruire delle misure del DL e uscire? Quali a suo parere le misure da adottare urgentemente per far davvero fronte al problema?
Le misure varate dal Governo non sono assolutamente sufficienti. Da Poggioreale potrebbero uscire grazie al Decreto Legge forse 250 detenuti, una goccia nel mare, un dato del tutto irrilevante. Vista la gravità del problema occorre varare in tempi brevi un indulto o una amnistia.
Le rivolte nelle carceri italiane hanno contato 14 morti “per overdose”, maltrattamenti a carico dei detenuti sono stati segnalati nel carcere di Opera a Milano. Lei ha sperimentato nel carcere la tortura, nella cosiddetta “cella zero” di cui denunciò ai magistrati l’esistenza, può escludere che ci siano state morti violente o pestaggi nelle rivolte o a seguito di esse?
Ogni rivolta in carcere, è seguita da rappresaglie contro i detenuti etichettati come “disturbatori delle sezioni” e violenti. Anche i trasferimenti successivi in altri penitenziari rientrano nel prezzo da pagare.
Abbiamo ricevuto molte segnalazioni di presunti pestaggi da parte dei familiari dei detenuti e io che in passato, nella condizione di carcerato, li ho vissuti di persona, non escludo affatto che possano esserci stati.
La situazione attuale sta riproponendo con forza il dibattito sulla funzione del carcere.
La sua, in questo senso, è una storia esemplare, una storia di reale reinserimento sociale: da ex carcerato a Garante dei Detenuti di Napoli. Ma è anche una storia eccezionale in una situazione in cui chi esce dal carcere molto più frequentemente non ha altra prospettiva che tornare a delinquere.
La mia storia spero possa veicolare un messaggio positivo per i tanti giovani detenuti che prima o poi usciranno dal carcere. Un aiuto per il loro reinserimento lavorativo e sociale deve venire anche dalle Istituzioni, come è stato nel mio caso, altrimenti una volta usciti ad accoglierli troveranno solo la malavita organizzata.