Rompere il grande inganno del “bene comune”

Ogni volta che sentite parlare di interesse nazionale, interessi comuni, bene comune e sentite dire che “siamo tutti sulla stessa barca”, insospettitevi: siete di fronte a qualcuno che alimenta un grande inganno oppure a qualcuno che è caduto in un grande equivoco.

La società è divisa in classi (sfruttatori e sfruttati, borghesia e proletariato) e ogni classe ha diversi e specifici interessi, opposti fra loro e inconciliabili.

Il grande inganno è quello alimentato dalla classe dominante per far credere che gli interessi della borghesia e quelli del proletariato possono e devono incontrarsi per il bene comune (per l’interesse del paese). Il grande equivoco è quello in cui cadono gli elementi delle masse popolari che le danno retta e che, credendo di perseguire il bene comune, si accodano agli interessi della borghesia.

Se avete dei dubbi a riguardo, il dibattito politico di queste settimane li elimina efficacemente più di mille discussioni “di principio”.

Il governo rischia la crisi per la riforma della giustizia”. Cosa significa? Per la classe dominante il punto nodale della riforma della giustizia è l’abolizione, o meno, della prescrizione dei reati. Se guardiamo le cose dal suo punto di vista (cioè a partire dai suoi interessi di classe) il motivo per cui ci sono fazioni tanto contrarie all’abolizione della prescrizione è del tutto evidente: uno come Berlusconi (citiamo lui per parlare anche delle centinaia di imprenditori, speculatori, malavitosi, politicanti, faccendieri che gli fanno compagnia) nel quadro dei suoi 36 procedimenti, ha beneficiato otto volte della prescrizione e due dell’amnistia. Non esiste proletario che abbia beneficiato quanto lui di tali misure e probabilmente non esiste neppure proletario che abbia collezionato così tanti procedimenti giudiziari. Per i proletari la legge è dunque meno uguale che per i borghesi! E’ molto più veloce e la pena più certa. Per quelli come Berlusconi, la possibilità di violare la legge e farla franca è una possibilità enormemente più concreta che per un proletario e il fatto che nonostante i suoi 36 processi stia lì a condurre la bella vita, la dice sicuramente lunga, alla faccia de “la legge uguale per tutti!”.

Il principio dei “due pesi e due misure” è particolarmente evidente quando processi, condanne e pene riguardano, ad esempio, i preti pedofili. Loro non fanno un giorno di galera, vengono “trasferiti” in altra parrocchia e spesso si sentono in televisione altri preti e vescovi che cercano di giustificarli. Se una dipendente dell’azienda dei rifiuti porta a casa un monopattino lasciato all’isola ecologica viene licenziata per “giusta causa” (furto!) e, anziché giustificazioni e attenuanti, trova l’opinionista di turno che in televisione rincara la dose sui “dipendenti pubblici fannulloni”, i “furbetti del cartellino”, ecc.

La questione è che la legalità e la giustizia borghese sono solo strumenti di oppressione della classe dominante contro le masse popolari. Che talvolta in galera ci finiscano anche i ricchi borghesi è solo la manifestazione della guerra per bande fra i comitati di affari che gestiscono il paese (“l’uso politico della Magistratura”).

“Il taglio dei parlamentari è un attentato alla democrazia e alla Costituzione”, dicono alcuni in vista del referendum del 29 marzo. Che vuol dire? Sono almeno 25 anni che attraverso leggi elettorali sempre più restrittive la classe dominante sta smantellando anche la forma, oltre che la sostanza, della democrazia borghese e dei suoi riti: sistema maggioritario, liste bloccate, percentuale di sbarramento, aumento del numero di firme per presentare una lista, mattarellum, rosatellum, porcellum… Davvero qualcuno pensa che ridurre il numero dei parlamentari sia un attentato alla democrazia borghese, dopo che la democrazia borghese, le sue leggi e i suoi principi più progressisti sono stati violentati dai partiti di tutto l’arco parlamentare in nome della governabilità del paese?

In realtà “governabilità del paese” è quel concetto per cui, per non avere “rotture di palle”, i partiti delle Larghe Intese hanno cercato in ogni modo la strada per essere presenti in Parlamento da soli.

Del resto, va detto, fa parte del grande inganno degli interessi nazionali anche la campagna sul taglio delle spese della politica portata avanti dal M5S. Infatti, per “risanare i conti e ridurre gli sprechi” tagliare il numero di parlamentari è come curare una bronchite con l’acqua calda dal momento che poi miliardi di euro vengono regalati ogni anno dallo Stato italiano al Vaticano, a finanzieri e speculatori attraverso gli interessi sul Debito Pubblico, ai capitalisti sotto forma di sovvenzionamenti pubblici per tenere aperte le aziende (e che loro in realtà usano per speculare in borsa) e alla Lockheed Martin produttrce degli aerei da guerra F35.

Per i partiti della sinistra borghese, infine, la battaglia contro il taglio dei parlamentari sembra essere la battaglia della vita e questo è ben comprensibile dal momento che, nella costante lotta per rientrare in Parlamento, tale misura costituirebbe per loro un ostacolo insormontabile: già fanno fatica a rientrarci oggi, figuriamoci quando i posti a disposizione saranno minori!

Il referendum del 29 marzo è la più efficace dimostrazione di come del dito che indica la luna – dove la luna è il vero problema i partiti borghesi, compreso il M5S, chiamino le masse popolari a guardare solo il dito, in nome del bene comune.

Il 5 marzo del 1953 moriva Giuseppe Stalin, pilastro della costruzione del socialismo in URSS e dirigente del paese che ha sconfitto i nazisti e liberato i campi di concentramento. Gli enormi e positivi risultati che la classe operaia e le masse popolari hanno conquistato in URSS e nel mondo anche grazie a Stalin spiegano il livore della borghesia che lo raffigura come uno dei peggiori criminali della storia, come il diavolo in persona.

Citiamo qui un brevissimo passaggio di un suo testo non solo come occasione per commemorare la sua opera e il suo contributo, ma perché esso sintetizza bene il discorso che stiamo facendo: “Per non sbagliarsi in politica, è necessario condurre una politica proletaria intransigente di classe e non una politica riformista di armonia tra gli interessi del proletariato e gli interessi della borghesia, non una politica di conciliazione, di “integrazione” del capitalismo nel socialismo”.

Se ci si regola così, sbagliarsi in politica oggi significa mantenere le masse popolari al carro della borghesia e del clero (i papa Bergoglio), spingerle a collaborare agli interessi della classe dominante anziché a far valere i propri, a far assumere loro una posizione di sottomissione, di reticenza, di delega. Significa alimentare l’idea che l’unico modo per cambiare le cose sia percorrere la strada tracciata dalla borghesia, limitandosi ai recinti che essa ha stabilito, alle forme e alle rivendicazioni da essa tollerate.

Noi del P.CARC facciamo una politica di principio: il principio è mettere avanti sempre e comunque, in ogni contesto e ambito, gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari e spingerli a fare quelle esperienze pratiche di lotta e di mobilitazione attraverso cui imparano a imporre essi stessi i loro interessi, senza dipendere dalla mediazione della sinistra borghese, dei sindacati di regime, delle istituzioni e autorità borghesi.

E’ vero, c’è un grave problema di mancanza di giustizia per i lavoratori e le masse popolari del nostro paese, ma esso non ha niente a che vedere con l’abolizione delle prescrizione dei reati.

Sollevare polveroni su questi temi serve solo a intossicare le masse popolari e ad alimentare la diversione dalla lotta per la conquista del potere

Trattare veramente di giustizia vuol dire nazionalizzare le aziende per difendere i posti di lavoro: vuol dire

– nazionalizzare senza indennizzi e sotto il controllo degli organismi operai e popolari Alitalia e Air Italy, Whirlpool e FCA, Ex-ILVA ed ex-Lucchini;

– nazionalizzare le grandi aziende, quelle per cui sono aperti i 160 tavoli di crisi al Ministero, ma anche le centinaia di piccole e medie aziende per cui al Ministero non viene aperto nessun tavolo di trattativa, ma che comportano ugualmente la perdita complessiva di altre migliaia di posti di lavoro;

– aver già cacciato i Benetton dalla gestione criminale delle autostrade, altro che farsi ricattare da loro!

Trattare di giustizia vuol dire rendere pienamente efficiente e pubblico il sistema sanitario nazionale, non farlo diventare ancor di più il carrozzone fatiscente che è, per cui per un esame anche urgente c’è da spettare 18 mesi, ma in una struttura privata – a caro prezzo beninteso – si fa in due giorni. Vuol dire vivere in città che non siano camere a gas e poter mandare i propri figli a scuola con la certezza che il soffitto non crolli sulle loro teste, vuole dire finirla con i regali di miliardi di euro al Vaticano, alla finanza e agli speculatori.

In questo senso, il contesto creato dalla campagna elettorale permanente può e deve essere usato per trattare dei reali interessi dei lavoratori e delle masse popolari. Non bisogna permettere a nessun candidato di fingersi “amico del popolo” per acquisire consenso con proposte che in tempi normali si guarderebbe bene anche dal fare. La questione è che chi ha realmente a cuore la difesa della Costituzione deve farsi promotore concretamente (con azioni, non solo con raccolta firme e campagne di opinione) della mobilitazione per attuare le parti progressiste di essa che sono state sistematicamente eluse e violate. Deve partecipare attivamente e praticamente alla lotta contro la chiusura delle aziende e lo smantellamento dell’apparato produttivo, per una sanità e una scuola pubbliche e di qualità. Questo è nell’interesse dei lavoratori e delle masse popolari, questa è anche la strada per dare un senso alla partecipazione alle competizioni elettorali.

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