Editoriale
Ci troviamo spesso a discutere con persone che si rendono ben conto della necessità di un cambiamento radicale della società e che però, per vari motivi, credono che l’instaurazione del socialismo sia un bel sogno irrealizzabile. Ognuno ha un suo motivo per pensarlo e certo non possiamo convincerlo del contrario solo con i discorsi: le idee delle masse popolari si trasformano prima di tutto attraverso l’esperienza pratica. Quindi, partiamo proprio dalla pratica per trattare alcune delle obiezioni che riceviamo e per tirare una sintesi.
Il socialismo e il comunismo sono superati dalla storia, il mondo è andato in un’altra direzione e per quella direzione proseguirà, nel bene o nel male. Se il comunismo è superato dalla storia, per quale motivo la classe dominante non perde occasione per fare propaganda anticomunista e denigrare l’esperienza dei primi paesi socialisti? Si susseguono le proposte di messa al bando del comunismo e dei suoi simboli, di equipararlo al nazismo: dalla risoluzione del Parlamento europeo (approvata il 19 settembre 2019, non 50 anni fa!), alle continue proposte di amministratori locali e parlamentari (prima quella di Soragna, Comune in provincia di Parma, nel 2017; ultima quella di Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia), dai tentativi di riscrivere la storia della Seconda Guerra Mondiale (non fu l’esercito USA a liberare i campi di concentramento, come ripetono giornali e TV, ma l’Armata Rossa) alla farsa della giornata del ricordo per le vittime delle foibe. La verità è che la classe dominante afferma ogni momento che “il comunismo è morto”, ma tenta in ogni modo e senza posa di impedire che il comunismo, la falce e il martello, la dittatura del proletariato tornino ad essere un riferimento concreto e un’aspirazione per milioni di proletari e non solo il romantico ricordo di un pugno di “nostalgici”. La classe dominante ha il terrore del comunismo perché il socialismo è l’ordine economico e sociale che soppianterà il capitalismo, perché la classe operaia e le masse popolari saranno la classe dirigente della società, perché l’attuale società può progredire solo instaurando il socialismo e finché non lo fa aumenterà il degrado economico, sociale, ambientale e culturale. Le condizioni di questa svolta ci sono già: la crisi generale del capitalismo non ha soluzione, la borghesia non riesce più a governare la società come la governava in passato, le condizioni di vita delle masse popolari peggiorano a vista d’occhio ed esse si ribellano in maniera crescente (nelle forme, con le idee e con gli strumenti che hanno e in una fase di debolezza del movimento comunista) alla ricerca di una prospettiva.
Quindi, non è vero che il comunismo è “roba di altri tempi”: bisogna invece approfittare di tutte le occasioni per propagandarlo in ogni contesto, per mostrare il progresso che hanno rappresentato per l’umanità i primi paesi socialisti, per indicare nella rivoluzione socialista la strada per farla finita con il capitalismo, con lo sfruttamento, con i padroni e con la divisione della società in classi.
I lavoratori sono troppo deboli, ricattabili e sottomessi, si muovono solo se sono toccati in prima persona e comunque oggi non sono in grado nemmeno di difendere i loro posti di lavoro. Che i lavoratori siano deboli, ricattabili e costretti alla sottomissione è una verità: man mano che si è esaurito il vecchio movimento comunista sono stati abbandonati anche dal sindacato, le fabbriche sono diventate – dove più e dove meno, ma la tendenza è quella – delle caserme, i diritti sono diventati privilegi e le questioni collettive sono diventate sempre più questioni da trattare individualmente con il padrone, solo i licenziamenti sono rimasti collettivi. C’è una ragione storica e politica a tutto ciò. Ci sono state fasi in cui i lavoratori, benché lavorassero in condizioni molto più dure delle attuali – ad esempio quando i sindacati erano vietati – hanno espresso una combattività e una capacità organizzativa tali da riuscire a ottenere quei diritti e quelle tutele, anche grazie all’esistenza e all’influenza dell’URSS e dei primi paesi socialisti, che oggi sono rimesse in discussione. Ci sono state fasi in cui la loro combattività e organizzazione ha determinato dei rapporti di forza tali da renderli protagonisti del funzionamento delle fabbriche (vedi articolo a pag. 5 sui Consigli di Fabbrica) e artefici di grandi conquiste economiche e sociali. La combattività e i rapporti di forza che riescono a imporre ai padroni non dipendono dai lavoratori (dalle loro caratteristiche morali, dalla loro istruzione, dalla loro provenienza, dalla loro religione, ecc.), dipendono sempre e solo dal legame che la parte più attiva e organizzata della classe operaia ha con il movimento comunista, con il partito comunista e le sue organizzazioni di massa. Oggi i lavoratori sono deboli, ricattabili e costretti alla sottomissione perché il movimento comunista è debole e il suo legame con la classe operaia è fragile e occasionale. Per questo, anche tra i lavoratori più combattivi prevale la sfiducia, la convinzione che non è possibile farla finita con i padroni, con il capitalismo e arrivare a instaurare il socialismo. Anche da questo dipendono le difficoltà a difendere con una certa efficacia i posti di lavoro e le conquiste di civiltà e benessere: senza una direzione “giusta” (decisa a vincere, che combina gli interessi immediati con quelli di prospettiva, che agisce per prevenire le mosse del padrone e non solo quando il padrone attacca), l’unico altro sbocco delle mobilitazioni è quello impresso dai sindacati di regime (accordi al ribasso, cessione del ramo d’azienda, “morte lenta” delle aziende con CIG, ammortizzatori, differimento dei licenziamenti, licenziamenti). è del tutto falso, invece, che gli operai si muovono solo quando sono toccati in prima persona. Ci sono esempi, invece, di operai che fanno vivere nella pratica la solidarietà di classe e l’internazionalismo proletario (vedi articolo sul CALP di Genova a pag. 6). Il discorso, anche in questo caso, non riguarda le qualità morali degli operai (sono solidali, non sono solidali, ecc.), riguarda invece la coscienza che gli operai hanno del loro ruolo sociale (e politico) in quanto classe e della loro forza e influenza sul resto della società; riguarda quanto fanno valere la loro forza, una forza politica e sociale in grado di cambiare il corso delle cose.
Se gli operai continuano a pensare che loro, in quanto operai, non contano niente e non possono cambiare niente (questo gli ripetono ogni giorno padroni, sindacalisti e politici), continueranno a mobilitarsi sulla difensiva e solo quando “hanno l’acqua alla gola”.
Quindi, i lavoratori oggi sono deboli perché non hanno ancora imparato a far valere la loro forza. La loro forza si può esprimere solo grazie al loro legame con il movimento comunista: la forza della classe operaia è direttamente proporzionale alla forza del movimento comunista. Bisogna operare senza riserve per legare la classe operaia al movimento comunista che sta rinascendo.
Ma quale rivoluzione! Messi tutti insieme i comunisti alle elezioni prendono lo 0,… Il discorso, anche in questo caso, è molto “pratico”: se i comunisti pensano di arrivare all’instaurazione del socialismo (ma anche di difendere i posti di lavoro e le conquiste) attraverso le elezioni non solo fanno bene a rassegnarsi, ma si meritano anche i risultati elettorali che collezionano! Che il socialismo non si possa instaurare attraverso le elezioni lo dice la storia (ad esempio quella del PCI nel nostro paese, la via elettorale al socialismo è stata il paravento della politica controrivoluzionaria e anticomunista di Togliatti e Berlinguer) e lo dice anche l’attualità: il M5S non si è mai sognato di fare la rivoluzione socialista, ma non è riuscito nemmeno ad attuare per intero un programma di riforme democratico-borghesi poiché tutto il meccanismo della democrazia borghese è incentrato sull’esclusione delle masse popolari dalle decisioni che riguardano il paese. Certo, nessuno lo dice con franchezza e la classe dominante si prodiga per favorire la “partecipazione”, ma solo in questo senso: partecipazione delle masse popolari al teatrino della politica borghese in condizioni di assoluta subalternità e senza possibilità alcuna di incidere sul corso delle cose.
Le elezioni borghesi possono essere sfruttate dai comunisti ai fini della loro politica rivoluzionaria, ma intese così, i risultati delle liste comuniste o di sinistra vanno visti come aspetti secondari. Allo stesso modo, il metro di misura dell’unità dei comunisti non va valutato nella capacità di presentarsi uniti alle elezioni, ma nella capacità di coordinarsi per attuare la linea politica che deriva dalla concezione comunista del mondo.
Quindi, bisogna usare le elezioni e approfittarne per allargare il lavoro di propaganda e di organizzazione dei comunisti fra i lavoratori e le masse popolari, per formare operai e giovani comunisti, ma allo stesso modo bisogna contrastare ogni illusione che basti semplicemente “votare per i comunisti” per cambiare le cose, che bastino alcuni eletti nelle istituzioni locali o nazionali (cosa peraltro sempre più difficile) per invertire l’attuale situazione di debolezza della classe operaia e delle masse popolari.
Non ci sono riusciti nella Resistenza e negli anni ’70, figurarsi se ci riusciamo noi a fare la rivoluzione socialista. Il movimento comunista e rivoluzionario del nostro paese ha una storia gloriosa composta da mille episodi di eroismo, di coraggio, di generosità, di solidarietà e di combattività che rendono apparentemente inspiegabile il fatto che centinaia di migliaia di comunisti non siano riusciti a portare fino in fondo la rivoluzione socialista. In verità, c’è una spiegazione: il partito comunista non era all’altezza di quel compito. Il PCI della Resistenza aveva un piano (una strategia e una linea politica) per rovesciare il fascismo, infatti ci è riuscito, ma non ne aveva uno per rovesciare la borghesia e portare la classe operaia a prendere il potere, infatti si è piegato alle leggi e alle istituzioni della borghesia e del Vaticano. Il PCI del dopoguerra fu poi tra i capofila del revisionismo moderno (Krusciov e Togliatti) che avviò la liquidazione dei primi paesi socialisti e fu il fondatore dell’eurocomunismo negli anni ’70 (Berlinguer) con cui i revisionisti moderni chiusero definitivamente anche nella forma, oltre che nella sostanza, con il marxismo-leninismo. Negli anni ’70 c’era bisogno di un partito comunista che dirigesse quel grande movimento operaio e popolare che si sviluppò dal 1969, ma il PCI reggeva il moccolo alla DC e chi allora incarnava l’avanguardia rivoluzionaria non riuscì a dotarsi di quel partito. A causa di ciò, agli inizi degli anni ‘80 quel movimento fu sconfitto.
Quindi, per fare la rivoluzione socialista ci vuole un partito comunista all’altezza dei suoi compiti. Questo non vuol dire che deve essere da subito grande e forte, ma che deve avere una giusta concezione del mondo e una giusta linea per promuovere la politica rivoluzionaria. Al vecchio movimento comunista del nostro paese la Carovana del (nuovo)PCI, di cui il P.CARC fa parte, mette “un pezzo in più” che deriva proprio dal bilancio degli errori, dei limiti, delle inadeguatezze del passato: la rivoluzione socialista è una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata diretta dal partito comunista, il cui cuore pulsante è il legame fra i comunisti e le masse popolari che già oggi si organizzano per costruire l’embrione del nuovo potere, capace di contendere da subito quello della borghesia e di governare in seguito la società socialista.
Molti pensano che “fare la rivoluzione socialista” significa fomentare grandi scioperi e manifestazioni, insurrezioni, scontri con la polizia, organizzare la lotta armata contro lo Stato, ecc. In effetti è anche questo, ma è anzitutto portare, in maniera cosciente e organizzata, gli organismi operai e popolari a operare già oggi come autorità pubbliche che affermano gli interessi degli operai, dei lavoratori e delle masse popolari. Questa è la via per avanzare nella rinascita del movimento comunista e nel rafforzamento del Partito comunista che sia realmente lo Stato maggiore capace di condurre la classe operaia e il resto delle masse popolari a instaurare il socialismo. è questo l’aspetto principale: imparare a costruire la società e il paese che va bene a noi (che è nei nostri interessi) per come va bene a noi, senza limitarsi a contestare e “distruggere” quello che incarna gli interessi della classe dominante. Imparare a perseguire una nuova morale, non solo a disobbedire e violare la morale (e le leggi) della classe dominante. Imparare a individuare e affrontare i problemi che ci affliggono con l’organizzazione e la mobilitazione e non limitarsi a denunciarli e a pretendere che le istituzioni borghesi li risolvano. Fare direttamente e organizzare le masse popolari a fare direttamente, senza attestarsi allo sterile lamento della classe dominante che non fa.
Questo è il pezzo in più che i comunisti devono mettere per trasformare ogni mobilitazione in esperienza pratica di lotta politica rivoluzionaria per le masse popolari che vi partecipano (farne una scuola di comunismo). Questo è il pezzo in più che i lavoratori, gli operai e gli elementi avanzati delle masse popolari possono mettere fin da subito per dare alle lotte e alle mobilitazioni di cui sono promotori la prospettiva di vittoria, per costruire il legame con la lotta politica rivoluzionaria.
In ognuna di queste “sperimentazioni” la rivoluzione socialista già vive.