Di seguito la relazione tenuta dalle compagne Silvia Fruzzetti e Mariangela Nasillo della Segreteria Federale Toscana all’iniziativa che si è svolta il 22 febbraio a Livorno su: “Mao Tse -Tung: sulla via italiana al socialismo. Il crollo del revisionismo moderno”.
Oggi trattiamo di che cos’è il revisionismo; di come e perché si è affermato a livello internazionale e nel nostro paese; di qual’è stato il contributo dato dal Partito Comunista Cinese (PCC) nella lotta contro la linea revisionista nei paesi imperialisti, in special modo in Italia. A questo proposito è molto utile studiare alcuni testi contenuti nelle Opere complete di Mao pubblicate nel 1994 dalla casa editrice Edizioni Rapporti Sociali, in particolare gli articoli stesi tra la fine del 1962 e il 1963 con cui il Comitato Centrale del PCC rispose apertamente e dettagliatamente agli attacchi che i revisionisti moderni capeggiati da Kruscev rivolsero contro il PCC. Quella di oggi può sembrare una discussione apparentemente teorica e slegata dalla pratica dei compiti dei comunisti di oggi ma in realtà non è così. Infatti, da quando nel 1848 il comunismo è diventato non solo un movimento pratico di trasformazione dello stato delle cose presenti ma anche una concezione del mondo, una scienza che va studiata, assimilata, applicata e difesa, la lotta sul fronte teorico è diventata parte integrante della lotta delle masse popolari contro la borghesia imperialista per il comunismo. L’importanza della lotta sul fronte teorico è data dal fatto che ha delle ricadute anche sul altri fronti della lotta in cui i comunisti dirigono le masse popolari: quello economico, quello politico.
Dunque, che cos’è il revisionismo? In sostanza è l’influenza della borghesia all’interno del partito; si manifesta nel tentativo di rivedere, revisionare, la teoria rivoluzionaria ma non per correggerne errori effettivi o limiti, ma per renderla più accomodante verso la borghesia, più accettabile e in definitiva innocua. Come e perché il revisionismo si afferma in seno al partito? Non è questione di disonestà o di “semplice tradimento” dei capi; non è questione morale: è una questione di lotta di classe che si manifesta nella lotta tra le due linee nel partito e che è il riflesso della lotta di classe che infuria nella società. Il revisionismo è sorto sempre nel movimento comunista quando, trovandosi di fronte a nuovi problemi e a nuove posizioni, doveva fare un salto di qualità. Tanto più i comunisti guadagnano posizioni nella lotta di classe, tanto più si trovano nella condizione di dover andare fino in fondo, di portare avanti la lotta per la vittoria1.
Il primo revisionismo nacque in seno al partito guida della Seconda Internazionale, il Partito socialdemocratico tedesco. Esso faceva leva su alcuni aspetti di novità e su alcune trasformazioni della società capitalista come il fatto che erano cessate le crisi cicliche decennali del capitalismo ( il capitalismo era entrato nella fase imperialista) e che grazie alle lotte della classe operaia e delle masse popolari di quegli anni la borghesia era stata costretta ad allargare i diritti democratici delle mp (suffragio universale maschile; diritto di organizzazione politica e sindacale), per affermare che l’analisi di Marx della natura del capitalismo era sbagliata. La linea patrocinata da Bernestain era che il capitalismo stesso, spontaneamente, avrebbe superato le sue contraddizioni; avrebbe cancellato la divisione della società in classi. Quindi, secondo i revisionisti, il compito dei partiti comunisti non era quello di lavorare per accumulare forze rivoluzionarie da impegnare nell’eliminazione dello stato borghese, bensì di strappare riforme alla borghesia e, di riforma in riforma, la classe operai sarebbe arrivata al comunismo.
Queste tesi furono clamorosamente smentite dai fatti che seguirono: due guerre mondiali; regimi controrivoluzionari e terroristici che la borghesia instaurò nel mondo. Il revisionismo moderno, o secondo revisionismo, si affermò in seno al principale partito dell’Internazionale Comunista: il PCUS che con il suo XX congresso (febbraio 1956) liquidò quanto restava delle basi programmatiche comuniste. Forte di questo successo anche il PCI sanzionò questa strada nel suo VIII congresso. Come si diceva prima, la destra nel partito si afferma e approfitta delle novità storiche che la fase e la situazione presenta e che mette i comunisti nella condizione di avanzare o di arretrare. All’indomani della fine della seconda guerra mondiale (che aveva segnato la fine della prima crisi generale 1900-1945) il movimento comunista aveva raggiunto grandi risultati che mettevano i comunisti dell’epoca nella condizione di dover fare un salto per avanzare nella nuova situazione:
– i comunisti dei paesi socialisti si trovano alle prese con la transizione del socialismo al comunismo;
– i comunisti dei paesi imperialisti si trovavano ancora davanti all’irrisolto compito di fare la rivoluzione socialista a casa loro.
La necessità di fare questo salto aprì nel movimento comunista internazionale un’aspra lotta ideologica che vedeva fronteggiarsi due linee: la sinistra che sosteneva la prosecuzione della lotta contro l’imperialismo ma non aveva un’adeguata strategia da opporre alla linea di destra la quale, invece sosteneva la linea di collaborazione tra le due classi, di coesistenza tra i due campi. Questa era la linea dei revisionisti moderni i quali patrocinavano l’idea che la forza del movimento comunista aveva consentito di attenuare gli antagonismi di classe il che rendeva possibile una trasformazione graduale e pacifica verso il socialismo2.
La linea dei revisionisti moderni poggiava le sue basi sulla situazione economica che si era venuta a creare all’indomani della fine della prima crisi generale: le due guerre mondiali avevano aperto un periodo, temporaneo, di riaccumulazione del capitale che metteva la borghesia nella condizione di poter cedere alle masse popolasi migliori condizioni di vita, senza contare la spinta rappresentata dalle lotte e dalla presenza del movimento comunista con cui la classe dominante doveva necessariamente concorrere. Si affermò nei paesi imperialisti quello che noi definiamo il capitalismo dal volto umano (che durò dal 1945 al 1975) e che si caratterizzò come una fase in cui la produzione capitalista poté espandersi nuovamente, il proletariato e le masse lavoratrici poterono strappare una serie di miglioramenti. È su questo terreno concreto, economico, che si affermarono i revisionisti e i riformisti in tutti i paesi imperialisti.
In Italia questa trasformazione economica riguardò il decennio tra il 1955 al 1965. In questo decennio si verificò quello che la borghesia chiamava “orgogliosamente” il miracolo economico.
La produzione industriale raddoppiò, il reddito nazionale anche; crollò il numero dei lavoratori agricoli e raddoppiò quello dei lavoratori dell’industria anche a causa dell’emigrazione massiccia dalle campagne del sud verso le città del nord: dal 1951 al 1967 ben 2.600.000 contadini emigrarono3. È in questi anni che il PCI compì ulteriori passi in avanti nel divenire a tutti gli effetti il partito di opposizione nell’ambito dello schieramento borghese.
Con l’VIII congresso la via pacifica, democratica, parlamentare al socialismo tramite le riforme di struttura e l’allargamento continuo dei diritti democratici delle masse, venne proclamata la via italiana al socialismo e proposta, addirittura, in sede internazionale come modello (quello che poi diverrà l’eurocomunismo). Il tentativo di far valere questa linea per l’intero movimento comunista internazionale, come aveva dichiarato Toglietti, spinse il PCC a intervenire e a redigere i due famosi documenti: “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” e “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi”. In questi documenti i comunisti cinesi smascherano le tesi sostanzialmente anti – marxista patrocinate da Togliatti:
“Toglietti sostiene che l’analisi di Lenin in Stato e Rivoluzione non è più sufficiente. Secondo la loro teoria delle riforme di struttura, non c’è bisogno in Italia di una rivoluzione proletaria, non c’è bisogno di infrangere la macchina dello Stato borghese e non c’è bisogno di instaurare la dittatura del proletariato (…). Essi assumono che lo stato sia uno strumento al di sopra delle classi e credono che lo stato borghese possa condurre una politica socialista, essi assumono che la democrazia borghese sia una democrazia al di sopra delle classi e credono che il proletariato possa elevarsi ad essere la classe dirigente dello stato facendo affidamento su tale democrazia. Questa teoria delle riforme di struttura è un completo tradimento delle teorie marxiste-leniniste sulla rivoluzione proletaria e sulla dittatura del proletariato” altro passaggio: “Sebbene la Costituzione italiana incorpori alcune conquiste ottenute dalla classe lavoratrice rimane una costituzione borghese e come la democrazia praticata in tutti gli altri paesi capitalisti la democrazia praticata in Italia è una democrazia borghese cioè una dittatura borghese”4.
Rispetto alle lotte rivendicative i comunisti cinesi affermavano che: “è del tutto necessario per la classe operaia nei paesi capitalisti condurre quotidiane lotte economiche e lotte per la democrazia. Ma, lo scopo di queste lotte è conseguire miglioramenti parziali nelle condizioni di vita della classe operaia e del popolo lavoratore, di educare le masse ed organizzarle, elevare la loro coscienza ed accumulare la forza rivoluzionaria per la conquista del potere dello stato quando i tempi sono maturi. I marxisti-leninisti mentre favoriscono la lotta per le riforme si oppongono fermamente al riformismo. I fatti hanno provato che ogni volta che le rivendicazioni politiche ed economiche delle masse abbiano ecceduto i limiti permessi dai capitalisti il governo italiano è ricorso alla repressione”5.
Il PCC quindi, assieme al Partito del lavoro di Albania, divenne il punto di riferimento della lotta contro il revisionismo moderno a livello internazionale. Nell’ambito di questa lotta nel nostro paese nacquero svariate organizzazioni di matrice operaista, marxista -leninista e maoista. Nel 1966 nacque il Partito Comunista d’Italia (marxista – leninista) il cui congresso si tenne proprio a Livorno e si svilupparono importanti lotte come quelle del biennio ‘68-69 ed è in questo contesto di lotte; di aspettative mancate; di trasformazioni a livello internazionale che nacque un diffuso movimento di lotta armata, impersonato principalmente dalle Brigate Rosse che rappresentarono l’altro tentativo di ricostruzione di un partito comunista all’altezza dei suoi compiti. Tuttavia sia il Pcd’I (m-l) che le BR fallirono nel loro intento perché, così come la sinistra del PCI, non compresero che il revisionismo moderno non consisteva solo nel rinnegamento della rivoluzione come mezzo per instaurare il socialismo, ma sfruttava i limiti di concezione e di metodo di lavoro della sinistra e che quindi l’aspetto principale era costruire un partito adeguato ai compiti cioè fondato su una giusta concezione del mondo. La borghesia cerca in tutti i modi di impedire la costruzione di questo partito e questo è un aspetto fondamentale del regime di CRP in cui viviamo ma cerca di impedirlo non principalmente attraverso la repressione (quella la usa quando non ne può fare a meno) ma con la sua influenza tra i comunisti.
La borghesia è al potere da secoli, la classe operai lotta per il potere solo da 160 anni e ha esercitato il potere per brevi periodi; quindi la borghesia ha con sé la forza dell’abitudine. Nel partito la destra si poggia su quello che già esiste e al massimo punta a “migliorarlo” (proprio come i revisionisti volevano fare col capitalismo: abbellirlo). La sinistra, invece, deve elaborare, scoprire, sperimentare fino a trovare la via più adeguata a fare la rivoluzione, come fecero i bolscevichi e i cinesi che infatti hanno conquistato il potere nei loro paesi applicando la scienza comunista con creatività. Alla destra non occorre una teoria rivoluzionaria, la sinistra invece non può farne a men. Questo mancò alla sinistra del primo PCI e alle altre organizzazioni che incarnarono altri tentativi di ricostruzione di un’organizzazione rivoluzionaria nel nostro paese. La vita di un partito comunista è inevitabilmente influenzata dalle contraddizioni di classe, dalla contraddizione tra vecchio e nuovo, vero e falso. Questo è un fattore oggettivo ma solo se lo riconosciamo possiamo comprenderlo e farvi fronte.
Per approfondire consigliamo la lettura di:
– Le divergenze fra il compagno Togliatti e noi, Opere, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali
– Ancora sulle divergenze fra il compagno Togliatti e noi, Opere, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali
– Leninismo e revisionismo moderno, Opere, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali
– Manifesto Programma del (n) PCI scaricabile al seguente link: http://www.nuovopci.it/classic/mao/indexmao.html
Le intere Opere di Mao delle Edizioni Rapporti Sociali sono scaricabili al seguente link: http://www.nuovopci.it/classic/mao/indexmao.html
1Vedi, Rapporti Sociali 23/24
2Vedi Manifesto Programma
3Vedi Renzo Del Carria, Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne in Italia, vol. 2
4Vedi, Mao Tse-Tung, Ancora sulle divergenze fra il compagno Togliatti e noi, in Opere, vol. 19, Edizioni Rapporti Sociali
5Ibidem