[Italia] Air Italy in liquidazione: pretendere la nazionalizzazione!

L’11 Febbraio Air Italy, compagnia aerea con sedi a Olbia e Malpensa, ha messo in liquidazione i suoi 1450 dipendenti diretti, procendendo al licenziamento dal 1 Marzo e alla cancellazione di tutte le tratte. Air Italy nasce dalla fusione di Meridiana (ex Alisarda) e Eurofly, e con l’ingresso successvo della Qatar Airways.

Al di là dei bei progetti e delle grandi presentazioni Air Italy è una società nata per chiudere già dal 2016: del piano industriale previsto non è stato fatto nulla. Con l’ingresso della Qatar Airways che “salva l’azienda” dal fallimento inizia il taglio delle tratte (il 50%), l’apertura di nuove rotte chiuse dopo qualche mese, la svendita della flotta aerea, la riduzione del personale, l’appalto di tratte ad altre compagnie, l’esternalizzazione dei servizi ecc. Insomma, tutto tranne che il piano di sviluppo presentato nel 2016 che prevedeva l’aumento delle rotte percorse da Air Italy e l’acquisto di oltre 50 aeromobili.

Air Italy (ex Alisarda) è una compagni che da 50 anni operava sul territorio nazionale e con tratte internazionali, ed è rientrata a far parte di quelle aziende che attraverso l’acquisizione di capitali stranieri è stata via via smantellata e portata a morte lenta. Quante sono le aziende italiane che hanno fatto la stessa fine negli ultimi 20 anni? E’ necessario, urgente, che siano nazionalizzate le principali aziende italiane a discapito della speculazione e del saccheggio che fondi e gruppi stranieri promuovono per tagliarsi fette di mercato, smantellare la concorrenza, ridurre al minimo le condizioni di diritto dei lavoratori e poi chiudere quando un’azienda non porta più il profitto da loro sperato!

Gli operai, i lavoratori in generale e le masse popolari hanno interesse alla nazionalizzazione delle aziende strategiche, delle aziende in crisi, che chiudono, delocalizzano. Questa è l’unica soluzione realistica per Air Italy, per non lasciare che l’azienda chiuda oppure, nel migliore dei casi, lasciare ai padroni di turno l’acquisto di una azienda in liquidazione che utilizzeranno come leva per imporre peggiori condizioni di lavoro ai dipendenti e tagli alle strutture.

Nazionalizzare le aziende nell’interesse dei lavoratori e delle masse popolari significa prima di tutto salvaguardare i posti di lavoro (che devono essere utili e dignitosi), salvaguardare l’ambiente e l’apparato produttivo su cui si basa l’indipendenza e la sovranità nazionale. Ma per fare fronte efficacemente agli effetti della crisi, nazionalizzare le aziende non basta: bisogna nazionalizzare il sistema economico del paese, cioè deve essere la politica del governo a definire cosa produrre, quanto produrre, come produrre e come distribuire quanto prodotto. E’ quello che manca anche nella risoluzione della vicenda Alitalia e che solo un governo espressione delle organizzazioni dei lavoratori e dei comitati popolari può fare. I lavoratori di Air Italy, Alitalia, Alitech e del resto del settore aeroportuale devono prendere in mano la bandiera della nazionalizzazione delle aziende, per un trasporto aereo gestito dallo Stato italiano e sotto il controllo degli organismi dei lavoratori: se i lavoratori non promuovono una lotta simile, saranno in balìa dei “capitani coraggiosi” come per il caso Alitalia o di carrozzoni buoni solo ad ingrassare i dirigenti di turno, sacche di speculazione per affaristi e precarietà e disoccupazione per chi ci lavora.

Riportiamo a tal proposito un articolo di La Voce 63 del (n)PCI che fa riferimento al processo di privatizzazione di Alitalia, rispondendo inequivocabilmente a tutte quelle obiezioni che vengono poste alla nazionalizzazione delle aziende, che puntano a dare la colpa ai lavoratori per i fallimenti e a far balenare “l’antieconomicità” delle nazionalizzazioni.

***

A proposito di “più mercato, meno Stato”: il caso Alitalia

Alitalia-Linee Aeree Italiane, compagnia di bandiera italiana controllata al 100% dallo Stato tramite l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI),(1) nasce nel 1957 dalla fusione di Linee Aeree Italiane (fondata nel 1947) di proprietà statale e la compagnia privata Alitalia-Aerolinee Internazionali Italiane (fondata nel 1946) che viene nazionalizzata. Al netto delle ruberie dei boiardi dell’IRI e dei favori al Vaticano (i Papi e il loro codazzo dal 1964 hanno viaggiato con Alitalia gratis), finché è stata in mani pubbliche Alitalia ha assolto alla funzione per cui era stata creata (fornire un trasporto aereo di qualità al paese), si è sviluppata ed è cresciuta fino a primeggiare a livello mondiale negli anni ’70 per volume di passeggeri sulle rotte intercontinentali. La situazione cambia a partire dall’inizio degli anni ’80, quando prende il via la cessione della sovranità dello Stato su Alitalia e la trasformazione del trasporto aereo civile in un campo di valorizzazione del capitale.

  1. L’IRI è un ente pubblico con funzioni di promozione della politica industriale nazionale. Nato nel 1933 su iniziativa del regime fascista, si sviluppa nel trentennio compreso tra il 1945 e il 1975 diventando l’ente dirigente del sistema industriale pubblico creato dal regime DC durante il periodo del “capitalismo dal volto umano”. L’IRI viene liquidato definitivamente nel 2000, ma il suo smantellamento comincia negli anni ’80 con la vendita delle numerose industrie che l’IRI controllava (Alitalia fu una delle ultime). L’IRI è un esempio di quelle che Marx chiamò “forme antitetiche dell’unità sociale”: istituzioni che sorgono nella società borghese per mediare tra il carattere collettivo delle forze produttive e i rapporti di produzione capitalisti.

La privatizzazione di Alitalia

Per privatizzare Alitalia i governi delle Larghe Intese (a partire dagli anni ‘80 e con intensità crescente negli anni ’90 e in quelli successivi al 2000) hanno seguito tre direttrici.

  1. La cessione di parti via via crescenti di azioni di Alitalia agli operatori del mercato finanziario (speculatori, affaristi, compagnie aeree straniere, ecc.). Le tappe principali sono state le seguenti:

– 1985: la partecipazione statale scende dal 100% all’84,1% con la vendita controllata di quote di azioni (referenti della vendita in questa prima fase sono altri investitori istituzionali, capitalisti e piccoli risparmiatori),

– 1996-1998: il primo governo Prodi promuove un’ulteriore campagna di vendita sul mercato di quote di azioni di Alitalia, che porta la partecipazione statale al 53%. In parallelo iniziano le trattative per una privatizzazione completa di Alitalia tramite fusione con la compagnia olandese KLM;

– 2000: viene liquidato l’IRI e la proprietà di Alitalia passa al Ministero dell’Economia e delle Finanze; nel frattempo il tentativo di fusione con KLM si chiude con esito negativo;

– 2004: il governo Berlusconi nomina Giancarlo Cimoli (ex amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, che aveva portato formalmente alla bancarotta, in realtà all’indebitamento con affaristi amici) nuovo amministratore delegato di Alitalia: sotto la sua gestione, tra il 2004 e il 2007 Alitalia moltiplica il proprio debito (3,5 miliardi di euro solamente durante la sua gestione);

– 2008: il governo Berlusconi realizza la privatizzazione completa di Alitalia: lo Stato si fa carico dei debiti e degli esuberi della vecchia Alitalia (che viene chiusa), viene fondata una nuova compagnia denominata Alitalia-Compagnia Aerea Italiana (CAI), completamente privata, di cui è titolare al 70% una cordata di banchieri e capitalisti italiani capeggiati da Colaninno e composta dal banchiere Passera, dagli industriali Benetton, Mercegaglia, Riva, dall’affarista Toto, dall’immobiliarista Ligresti e dal “nobile” Montezemolo (i cosiddetti “capitani coraggiosi”) e al 30% Air France;

– 2013: fallisce la gestione CAI, una parte dei “capitani coraggiosi” si sfila dalla partecipazione (non prima di aver incassato utili milionari), lo Stato si fa carico dei debiti maturati nel corso di questa gestione; l’azienda viene rifondata con la denominazione di Alitalia – Società Aerea Italiana (SAI) di cui sono titolari al 51% i rimanenti “capitani coraggiosi” guidati da Montezemolo, sostenuti dallo Stato che interviene con Poste Italiane, mentre il restante 49%  viene venduto ad Etihad, compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti;

– 2017: fallisce anche la gestione SAI, i “capitani coraggiosi” di Montezemolo ed Etihad, spalleggiati dal governo Gentiloni, presentano un piano industriale “lacrime e sangue”: la mobilitazione dei lavoratori che culmina nel referendum del maggio 2017 (2) blocca un ulteriore giro di vite nella privatizzazione. L’azienda viene messa dallo Stato in regime di Amministrazione Straordinaria con l’obiettivo di venderla e nel frattempo finanzia le casse aziendali (spolpate dalla precedente gestione) con un prestito ponte di 900 milioni di euro.

  1. Lo spezzettamento della struttura produttiva in aziende economicamente indipendenti da Alitalia che vengono poi vendute. Un esempio è quello della gestione degli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, le due principali basi logistiche di Alitalia, le cui tappe sono state

– 1994: la gestione degli aeroporti di Roma Fiumicino e Roma Ciampino viene scorporata da Alitalia e assunta da una società a capitale misto (cioè partecipata da capitali sia pubblici che privati);

– 1997: viene messo in vendita il 45% delle azioni precedentemente detenute da soci pubblici (IRI, ecc.);

– 2001: viene completata la privatizzazione della gestione degli aeroporti di Roma Fiumicino e Roma Ciampino;

– 2013: il gruppo Benetton (tramite la sua controllata Atlantia), entrato nel frattempo nell’operazione “capitani coraggiosi”, acquisisce la maggioranza delle azioni degli aeroporti di Roma, arrivando negli anni successivi a detenerne fino al 96%.

  1. Lo scopo del referendum del maggio 2017 (promosso dai sindacati di regime) era far accettare ai lavoratori un ulteriore giro di vite nella privatizzazione e nello smembramento di Alitalia proposto dall’allora socio di maggioranza, la compagnia emiratina Etihad. Questa aveva posto come condizione per il prosieguo del suo intervento in Alitalia il licenziamento di oltre 2.000 lavoratori e il peggioramento delle condizioni di lavoro. Nonostante il sostegno dei sindacati di regime, del governo Gentiloni e una massiccia campagna dei media di regime, i lavoratori non accettarono il ricatto e con una maggioranza del 70 % votarono NO.

Un altro esempio emblematico è quello delle officine grandi manutenzioni dell’aeroporto di Fiumicino. Nel 2003 vengono scorporate da Alitalia e poste sotto il controllo di una nuova società, controllata da Alitalia ma autonoma da

essa, denominata Aero Mantenaince Systems. Negli anni successivi il 40% di AMS viene acquistato dalla compagnia aerea tedesca Luthfhansa che, diventata socio di maggioranza di AMS, inizia a trasferire in Germania parte delle lavorazioni che prima venivano svolte a Fiumicino. Nel 2007 AMS entra in crisi, altri capitali esteri entrano nell’azionariato, ma l’azienda non si risolleva e nel 2015 viene dichiarato il suo fallimento con conseguente licenziamento di centinaia di dipendenti delle officine di Fiumicino. Durante il lungo periodo di crisi di AMS la sua struttura produttiva diventa oggetto di saccheggio prima da parte di Air France e poi di Etihad che una volta entrata nell’azionariato di Alitalia le dà il colpo di grazia appaltando la manutenzione dei velivoli Alitalia alla società israeliana Bedek. AMS, oramai espropriata delle sue capacità produttive, nel 2017 viene acquistata da un capitalista colombiano che riassume solo parte dei dipendenti della vecchia AMS e trasforma le ex officine grandi manutenzioni in una sorta di reparto sfasciacarrozze dell’aeroporto di Fiumicino.

  1. Liberalizzazione del mercato del trasporto aereo civile, con l’ingresso di compagnie private, italiane e soprattutto straniere come le compagnie low cost Ryan Air e Easy Jet. Queste ultime si giovano della possibilità concessa loro dal governo italiano di sfruttare i lavoratori in deroga alle leggi vigenti in Italia (Ryan Air ha riconosciuto ai propri dipendenti il diritto di iscriversi ad un sindacato soltanto nel 2017, dopo una mobilitazione internazionale dei suoi dipendenti) e depredando la stessa struttura produttiva di Alitalia. Ryan Air, ad esempio, utilizza oramai da alcuni anni l’aeroporto di Roma Fiumicino come base per la manutenzione e lo scalo della propria rete di aeromobili operanti in Italia, nonostante le normative internazionali stabiliscano che gli aeromobili di ciascuna compagnia, tra un volo e  l’altro, devono fare scalo nell’aeroporto della nazione in cui hanno base (l’Irlanda nel caso di Ryan Air). Il tutto mentre gli aeromobili Alitalia, per pegno di sottomissione pagato ai sionisti d’Israele, periodicamente devono raggiungere Israele per la manutenzione.

Attraverso la “cura” della privatizzazione,

– Alitalia è diventata terra di conquista a) per i grandi gruppi capitalisti stranieri operanti nel trasporto aereo civile, che ne hanno approfittato per saccheggiare la struttura produttiva e ridimensionare un concorrente importante, specie nei trasporti continentali ed intercontinentali; b) per alcuni grandi gruppi capitalisti italiani, che ne hanno approfittato per lucrare sulla vendita dei pezzi pregiati della compagnia (come avvenuto con il reparto manutenzioni di Alitalia), per impossessarsi di sue parti (come hanno fatto i Benetton rilevando le gestioni aeroportuali di Ciampino e Fiumicino), per rifilare vere e proprie truffe allo Stato;(3)

– sono proseguite, in maniera ancora più marcata di quanto già accadeva ai tempi della gestione pubblica, le ruberie e gli sperperi dei grandi dirigenti di Alitalia (4) e le regalie ai potentati della Repubblica Pontificia (dai voli gratis a disposizione del Vaticano ai costi milionari di affitto dell’aereo presidenziale di Matteo Renzi);

– sono stati tagliati lavoratori (passati da più di 21.000 nel 2004 agli 11.600 di oggi) e aerei. Secondo i calcoli di alcuni esperti, dal 1974 al 2017 lo Stato italiano ha messo in Alitalia una cifra pari a 10,6 miliardi di euro, di cui più della metà utilizzati dal 2008 in avanti (quando i “capitani coraggiosi” hanno messo le mani su Alitalia), per ripianare i debiti accumulati nel corso della privatizzazione. Partiti ed esponenti delle Larghe Intese blaterano spesso di “diseconomicità” della nazionalizzazione di Alitalia. In realtà, come sostengono vari dei lavoratori che in questi anni si sono mobilitati per la nazionalizzazione e il rilancio di Alitalia, “se tutto questi soldi fossero stati impiegati per potenziare la flotta aerea e il numero dei lavoratori, a quest’ora lo Stato avrebbe tra le mani non una ma due compagnie aeree di bandiera” (posto che il valore commerciale di Alitalia è stimato in circa 3 miliardi di euro).

  1. Esponente di spicco dei “capitani coraggiosi” che nel 2008, con l’aiuto della banda Berlusconi, si impossessarono di Alitalia è Carlo Toto, capitalista abruzzese e concessionario di reti autostradali in centro Italia. Toto partecipa alla costituzione della nuova Alitalia-CAI portando in dote la sua compagnia privata (la Air One) e i relativi debiti e perdite economiche, scaricati sulle spalle dello Stato che del resto si stava già facendo carico dei debiti della vecchia Alitalia. In questo modo Toto da padrone di una compagnia privata fallita (Air One) diventa membro della cordata che rileva Alitalia nel 2008 e si libera dai debiti di Air One.

  1. Un esponente simbolo è Giancarlo Cimoli, ex dirigente dell’IRI e successivamente nominato amministratore delegato prima di Ferrovie dello Stato (che aveva portato alla bancarotta) e poi di Alitalia: solo per l’egregio lavoro svolto di aver portato Alitalia in bancarotta ha avuto una buonuscita di quasi 3 milioni di euro!

Alitalia dopo l’apertura della breccia nel sistema politico borghese (2018)

La resistenza dei lavoratori Alitalia è stata una costante per tutto il corso del processo di privatizzazione. Essa ha assunto un ruolo particolarmente incisivo prima nel movimento contro i governi Renzi e Gentiloni e poi nel contribuire all’apertura della breccia che ha portato nel marzo 2018 all’affermazione del M5S e alla formazione del governo M5S-Lega, in particolare con la mobilitazione della primavera 2017 culminata nella vittoria del NO al referendum ricatto del maggio 2017. Il M5S nel 2018 ha fatto proprie le rivendicazioni dei lavoratori (nazionalizzazione e controllo pubblico di Alitalia, difesa della struttura produttiva e dei diritti dei lavoratori, rilancio dell’azienda) e candidato esponenti del movimento dei lavoratori nelle proprie liste (come Giulia Lupo, ex delegata USB in Alitalia e oggi senatrice M5S). La stessa Lega di Salvini, invischiata nel sistema politico delle Larghe Intese e nei traffici degli ultimi decenni per  privatizzare e smantellare Alitalia, a cavallo delle elezioni del 2018 ha strizzato l’occhio ai lavoratori Alitalia e alle loro rivendicazioni. Il rilancio dell’azienda è entrato tra gli obiettivi del Contratto di governo siglato da M5S e Lega (cap. 27 Trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni): “con riferimento ad Alitalia siamo convinti che questa non vada semplicemente salvata in un’ottica di mera sopravvivenza economica bensì rilanciata, nell’ambito di un piano strategico nazionale dei trasporti che non può prescindere dalla presenza di un vettore nazionale competitivo”.

Il governo provvisorio M5S-Lega non ha realizzato le promesse fatte ai lavoratori Alitalia prima e dopo il 4 marzo 2018, benché il M5S, con Di Maio al Ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico e Toninelli al Ministero dei Trasporti, avesse propri importanti esponenti in posti apparentemente chiave per procedere nella nazionalizzazione di Alitalia. Alla sua caduta nell’agosto 2019, dopo più di un anno di ipotesi e propositi di rilancio, Alitalia continua a versare nello stato di morte lenta in cui l’hanno ridotta decenni di privatizzazione. Per “salvare capra e cavoli” il governo M5S-Lega ha finito per sfornare un progetto che non ha nulla a che vedere con la nazionalizzazione e il rilancio di Alitalia, ma prosegue sul solco tracciato dagli anni ’90 in poi dai governi delle Larghe Intese. Questo progetto prevede infatti la creazione di una nuova compagnia composta per metà da soci pubblici (con Ferrovie dello Stato a capeggiare la cordata e in seconda posizione il Ministero dell’Economia e delle Finanze) e per la restante parte da soci privati, cioè la compagnia aerea USA Delta Airlines (o in alternativa la compagnia tedesca Lufthansa) e gruppi capitalisti multinazionali aventi base in Italia come Atlantia dei Benetton (già padroni di Aeroporti di Roma e concessionari di reti autostradali che il M5S, dopo il disastro del Ponte Morandi, aveva giurato gli avrebbe sottratto). Il contenuto del progetto prevede inoltre l’ulteriore riduzione della flotta degli aeromobili, tagli sui salari del personale di volo e di terra, il licenziamento di più di un migliaio di lavoratori del personale di terra. Questo progetto è quanto lasciato in dote dal governo Conte 1 al governo Conte 2, con la differenza che adesso sono venute meno le resistenze dei ministri del M5S ad accettare l’ingresso di Atlantia dei Benetton nella nuova Alitalia.

Riccardo A.

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