In questi mesi ricorre il trentunesimo anniversario della nascita del movimento studentesco de “La Pantera”, sviluppatosi tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 (dicembre ’89 – marzo ’90) con l’occupazione di molte università italiane in opposizione alla “(contro)riforma Ruberti” dal nome dell’allora ministro socialista dell’Università e della ricerca.
“La Pantera” è stato uno dei principali movimenti studenteschi del nostro paese per intensità, consistenza e radicalità e per questo è importante farne un giusto bilancio e ricavare gli insegnamenti che derivano dalla sua ricca esperienza.
Il contesto storico
Nel corso degli anni ’80 l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria era ormai palese e la seconda crisi generale del sistema capitalista, cominciata già nella prima metà degli anni ’70, faceva sentire i suoi effetti con sempre maggiore forza.
In particolare, sul piano internazionale la decadenza dell’Unione Sovietica e delle democrazie popolari dell’est Europa, iniziata nel 1956, era sempre più evidente e anche il tentativo della Cina di porsi come nuova base rossa della rivoluzione proletaria mondiale era fallito a seguito della sconfitta della Rivoluzione Culturale. La borghesia imperialista rialzava la testa nei paesi imperialisti e riprendeva in mano la direzione del mondo (Thatcher 1979, Reagan 1981) e iniziava a liquidare le conquiste strappate dalle masse popolari quando il movimento comunista era forte.
In Italia, falliti i tentativi di ricostruzione del partito comunista rappresentati dal movimento marxista – leninista e dalle Organizzazioni Comuniste Combattenti, il movimento comunista, già ampiamente corroso e corrotto dai revisionisti moderni di Togliatti e Berlinguer, si avviò verso un progressivo disfacimento sancito definitivamente dalla liquidazione del PCI, avvenuta tra il 1989 e il 1990 con la “svolta della Bolognina” di Achille Occhetto. Nel frattempo era già cominciata la stagione della liquidazione delle conquiste ottenute dalle masse popolari, a partire dallo smantellamento dei Consigli di Fabbrica, dal taglio della scala mobile e dalle controriforme dell’istruzione pubblica, incentrate sull’autonomia di scuole e università e funzionali alla loro privatizzazione e aziendalizzazione.
Agli effetti della crisi economica e politica (di lì a poco il regime DC avrebbe iniziato la fase della sua putrefazione) corrispose, tuttavia, un salto di qualità nella mobilitazione spontanea delle masse popolari: in particolare, per quanto riguarda la classe operaia, la nascita dei sindacati di base fu la risposta alla linea collaborazionista dei sindacati di regime contro cui, nel frattempo, si diffondeva la ribellione (si vedano a tal proposito i bulloni che nel 1992 colpirono l’allora segretario CGIL Bruno Trentin); per quanto riguarda il movimento giovanile, la nascita dei primi centri sociali e la lotta contro gli attacchi alla scuola e all’università pubbliche furono i principali canali entro cui si sviluppò la mobilitazione.
Il contenuto della “(contro)riforma Ruberti”
Il principale pilastro del progetto di riforma di Ruberti (legge 341/90) era costituito dall’autonomia delle università e degli enti di ricerca (che fu successivamente completata con le riforme di fine anni ’90 promosse dai governi di centro – sinistra e dai ministri Berlinguer e Zecchino), il grimaldello tramite cui si aprì la strada alla privatizzazione strisciante degli atenei, permettendo il finanziamento privato e l’ingresso delle aziende nei Consigli di Amministrazione e promuovendo una competizione tutta a scapito dei piccoli atenei.
Gli studenti, inoltre, venivano di fatto estromessi da ogni decisione in virtù della presenza maggioritaria dei docenti (spesso baroni) negli organi collegiali e il loro ruolo, confinato in un Consiglio degli studenti creato ad hoc, era meramente consultivo.
Il movimento de “La Pantera”
Il 5 dicembre 1989 gli studenti della facoltà di Lettere dell’università di Palermo occuparono la facoltà, sia per opporsi alla “riforma Ruberti” che per denunciare le pessime condizioni materiali della facoltà. In pochi giorni questa prima iniziativa alimentò un movimento che si fece via via più vasto: altre sette facoltà entrarono rapidamente in occupazione e la mobilitazione degli studenti universitari si legò immediatamente a quella degli studenti medi, anch’essi in lotta contro la “riforma Galloni” (dal nome dell’allora ministro DC dell’istruzione) convogliando, il 20 dicembre, in una grande manifestazione che coinvolse circa 10 mila studenti. La mobilitazione palermitana riscosse un ampio interesse: furono convocate in ogni città assemblee di ateneo per discutere della controriforma e quasi tutte decisero per l’occupazione, a partire dalla Sapienza di Roma.
Ovunque si tennero seminari autogestiti dagli studenti in rottura con la tradizionale didattica nozionistica (fu particolarmente significativo un convegno sugli anni ’70 a seguito del quale la stampa borghese fece montare lo scandalo per i presunti legami del movimento con la lotta armata) e vennero create aule e biblioteche ad hoc.
Nel corso del mese di febbraio si intravidero le prime crepe: la mancanza di prospettive e obiettivi realistici che andassero oltre la mera protesta rese particolarmente difficile la resistenza negli atenei. Ruberti annunciò alcuni emendamenti che accoglievano parte delle richieste degli studenti che la destra del movimento, raccolta essenzialmente attorno alla FGCI e al PCI, fu subito propensa ad appoggiare. Il dibattito portò ad una nuova assemblea nazionale (Firenze, 1 marzo 1990) e ad una grande manifestazione (Napoli, 17 marzo), ma ormai in gran parte delle università gli occupanti erano in via di smobilitazione. Il mese di marzo segnò, in definitiva, la fine de “La Pantera” come movimento studentesco di massa.
Conclusioni
Il movimento de “La Pantera” ha costituito una grande prova di forza della mobilitazione dei giovani delle masse popolari, che hanno saputo reagire e resistere all’ondata di sfiducia e di rassegnazione seguita al disfacimento del vecchio movimento comunista, a dimostrazione di come l’onnipotenza della borghesia sia una pia illusione e di come la crisi generi una resistenza via via crescente e più intensa. Basti pensare alle mille mobilitazioni in corso contro lo smantellamento dell’istruzione pubblica, moltiplicatesi in virtù della breccia apertasi nel sistema politico del nostro paese con le elezioni di marzo 2018.
Tuttavia esso ha dimostrato anche come le mobilitazioni delle masse popolari, per quanto ampie, radicali e generose possano essere, senza un partito comunista all’altezza della situazione in grado di dirigerle, di farne ambiti della costruzione del Nuovo Potere, di incanalarle nel fiume della rivoluzione socialista, sono destinate a rifluire perché prive di una prospettiva.
La Carovana del (n)PCI, forte degli insegnamenti tratti dall’esperienza del primo movimento comunista, invita i figli più generosi delle masse popolari del nostro paese a non farsi travolgere dalla sfiducia diffusa a piene mani dalla borghesia, a non aver paura del futuro e li chiama ad organizzarsi in ogni scuola e università per contribuire alla rivoluzione socialista in corso nel nostro paese. Oggi, nel nostro paese, questo significa anzitutto costruire Organizzazioni Giovanili in grado di esercitare il potere all’interno della scuola e di agire come Nuove Autorità Pubbliche, ovvero di: 1) individuare i problemi e le necessità della propria scuola – università (tasse, didattica, edilizia, subordinazione dei programmi scolastici/di ricerca ai privati, ecc.); 2) elaborare e proporre misure concrete per far fronte a questo o quel problema; 3) attuare le soluzioni che sono attuabili anche parzialmente e i passi che si possono fare subito; 4) coordinarsi tanto con insegnanti, lavoratori e ricercatori, quanto con il resto delle Organizzazioni Operaie e Popolari presenti nel paese con l’obiettivo di imporre un governo di emergenza che sia loro espressione e dia forma e forza di legge alle loro misure.
Ciro I.