Guerra alla guerra: non un uomo, né un soldo, né un metro di territorio italiano per la guerra imperialista

Editoriale

Gli organi di informazione nazionali e internazionali ciclicamente lanciano l’allarme sullo scoppio della Terza Guerra Mondiale e sono tornati a farlo a inizio gennaio dopo l’attentato terroristico con cui gli imperialisti USA hanno assassinato il generale Soleimani e altri dirigenti delle forze armate iraniane.
In verità, la Terza Guerra Mondiale è già in corso anche se non è ancora nella fase aperta e dichiarata: la guerra è “la politica con altri mezzi” (vedi articolo “Cos’è la guerra” a pag. 6) e si manifesta
– nella guerra commerciale in cui rientra la questione dei dazi fra USA e Cina, ma non solo: il 21 gennaio il segretario al Commercio dell’Amministrazione Trump, Robert Lighthizer, ha minacciato il governo francese di “tariffe punitive fino al 100% su 2,4 miliardi di dollari di importazioni” se non cancellerà la “web-tax”, la tassa sui profitti dei giganti di internet come Google, Apple, Facebook e Amazon;
– nelle sanzioni economiche e militari e nelle altre manovre dei gruppi imperialisti contro la Russia e gli “Stati canaglia” (Cuba, Venezuela, Corea del Nord, Iran e altri);
– nella guerra industriale che si intreccia con quella finanziaria, esempio della quale è la concorrenza all’ultimo sangue fra Boeing (azienda USA) e Airbus (azienda francese);
– nelle guerre e i conflitti armati “per interposta persona” attraverso cui i gruppi imperialisti mondiali si spartiscono il mondo, nelle quali rientrano le oltre 30 guerre attualmente in corso (fonte Amnesty International).

Gli sforzi diplomatici per risolvere a tavolino le contraddizioni si rivelano sistematicamente una farsa: ne è ultima dimostrazione la Conferenza di Berlino sulla Libia che si è svolta il 19 gennaio 2020 e che Angela Merkel ha definito “un successo”. E’ stata affossata già il 21 gennaio dal governo francese che ha bloccato una dichiarazione congiunta con Italia, Gran Bretagna, Germania e Stati Uniti, di condanna del blocco delle esportazioni di petrolio deciso da Haftar (fonte Huffington Post – 21 gennaio 2020). In verità la Conferenza di Berlino non è servita “alla pace”, ma è stato solo un ring della partita in corso per la spartizione della Libia.

Le crisi marocchine
La Conferenza di Berlino sulla Libia ricorda, per le sue premesse e per gli immediati risvolti, le Conferenze sul Marocco del 1905 e nel 1906 a cui parteciparono i governi dei principali paesi imperialisti. L’obiettivo era dirimere le gravi contraddizioni emerse per la spartizione dell’Africa che rischiavano di degenerare in guerra aperta fra Francia e Germania, trascinandosi dietro tutte le altre potenze mondiali dell’epoca. Le Conferenze terminarono con un accordo che il governo francese violò nel giro di pochi mesi con il benestare della Gran Bretagna e il “prudente silenzio” dell’Italia; cosa che consentì alla Francia di assumere il pieno controllo del Marocco nel 1912.
Nel 1914 iniziò la Prima Guerra Mondiale la cui causa la storiografia attribuisce all’attentato di Sarajevo del 28 giugno contro Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria. Ma l’attentato fu in realtà solo un pretesto. I motivi della Prima Guerra Mondiale affondano, infatti, le loro radici nella struttura economica della società di allora, segnata dalla prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale.
L’evento particolare e pretestuoso dell’inizio di una guerra mondiale aperta e dispiegata può quindi essere il più vario, ma l’enorme distruzione di paesi, popolazioni, forze produttive e capitale dipende sempre dalla marcia forzata a cui la borghesia imperialista, in preda al corso della crisi generale, costringe le masse popolari di tutto il mondo.

L’allarmismo della propaganda di regime sullo scoppio della Terza Guerra Mondiale è uno degli strumenti attraverso cui vive “la guerra tra bande” interna alla classe dominante che ha lo scopo di rafforzare o mettere in cattiva luce nell’opinione pubblica questo o quel gruppo imperialista a seconda della convenienza (gli “egoisti francesi”, “Trump lo squilibrato”, ecc.). L’allarmismo è anche uno strumento di intossicazione della classe dominante contro le masse popolari e di diversione dalla lotta di classe.

Per caratteristiche specifiche del nostro paese, la propaganda di regime alimenta in particolare due tendenze: la rassegnazione alla sottomissione del nostro paese agli imperialisti USA (“gli USA controllano e comandano tutto”, “non si muove foglia che la CIA non voglia”) e l’allarmismo, il catastrofismo, la paura del futuro. Entrambe riguardano anche tanti compagni che, a causa dell’influenza della sinistra borghese, vivono il presente e guardano al futuro con pessimismo e inquietudine e che dicono: “nonostante tutto quello che sta succedendo le masse popolari non si mobilitano”. Entrambe le tendenze sono sbagliate e nocive perché non poggiano sulla realtà e perché promuovono rassegnazione anziché combattività, paura anziché determinazione.

A chi è persuaso che la Comunità Internazionale degli imperialisti sia coesa e imbattibile, noi vogliamo mostrare che è vero l’esatto contrario: essa è indebolita dalle contraddizioni fra i gruppi imperialisti che si allargano e si acutizzano ulterioremente a causa della resistenza dei governi di alcuni paesi oppressi, definiti “Stati canaglia”, ma soprattutto della resistenza e della mobilitazione delle masse popolari in ogni paese. Prendiamo ad esempio gli USA, i caporioni dell’imperialismo mondiale. La crisi economica si abbatte tanto sulla produzione capitalista di merci (beni e servizi) quanto sulla speculazione finanziaria (già nel 2008/2009 il fallimento a raffica delle principali banche del paese lo ha dimostrato); a livello commerciale infuria la battaglia, di cui è esempio la guerra dei dazi con la Cina, inoltre e a livello monetario il Dollaro (che pure ha perso molto nei confronti dell’Euro fin da quando quest’ultimo è entrato in corso), mantiene un ruolo dominante soprattutto grazie alla dipendenza dagli USA di vaste aree del mondo (dipendenza che viene preservata attraverso minacce economiche o militari, bombardamenti e colpi di Stato come in America Latina). Tuttavia, non bastano le armi per sedare le ribellioni: il governo fantoccio di un protettorato come l’Iraq, definito “pacificato” 10 anni fa dopo essere stato raso al suolo, ha chiesto ai protettori di lasciare il paese “per il bene di tutti” e l’ambasciata USA a Baghdad è diventata inagibile perché assaltata e bersagliata da razzi a seguito delle insurrezioni delle masse popolari irachene. Sul fronte della politica interna l’Amministrazione USA non è messa meglio: per ammazzare Soleimani, Trump ha dovuto agire di soppiatto e una parte del Congresso sta cercando di approfittarne per andare più a fondo nel procedimento di impeachment contro il Presidente. Il giorno stesso dell’omicidio di Soleimani, inoltre, nelle strade delle principali città nordamericane si sono riversate migliaia di persone a manifestare contro la guerra e hanno lanciato la giornata mondiale di mobilitazione del 25 gennaio. Altro che ottima salute e onnipotenza!

A chi si avvilisce perché le masse popolari del nostro paese non si mobilitano nonostante tutto quello che sta succedendo, noi ricordiamo che la responsabilità della mancanza di grandi mobilitazioni non è delle masse popolari, ma della sinistra borghese, quella stessa che oggi lancia disperati appelli contro la guerra, ma che ha portato in un vicolo cieco il grande movimento che pure aveva contribuito a suscitare nel 2003 contro la guerra in Afghanistan e in Iraq. Il vicolo cieco del pacifismo borghese, inteso come la rivendicazione ai governi imperialisti di “non fare la guerra”, è una supplica inutile che ha prodotto l’effetto opposto: l’aggressione imperialista c’è stata, l’Italia vi ha partecipato a pieno titolo e da ciò le masse popolari hanno concluso che manifestare non porta a nessun risultato (lo stesso è successo con l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e con le pensioni).
“Le masse popolari si appassionano a una lotta se rende; altrimenti, se non rende e chi la promuove non cambia registro, l’abbandonano, è naturale. Gli esponenti della sinistra borghese propongono ora di riprenderla, senza degnarsi di capire e spiegare perché la lotta di un tempo ha portato al mondo di oggi con la guerra sempre più diffusa. Ma perché mai, dietro loro invito, le masse popolari dovrebbero tornare oggi a quella lotta che ieri si è già rivelata inefficace?” (…) “Tutte le altre forme di lotta per la pace, di protesta contro la guerra hanno effetti positivi solo se il movimento comunista le combina, in altre parole se noi le combiniamo, con l’unica efficace forma di lotta contro la guerra e per un mondo in pace, se le facciamo servire come strumenti ausiliari della rivoluzione socialista, come spunti e rivoli che alimentano la rivoluzione socialista. In caso contrario, da sole, le denunce, le rivendicazioni e le proteste producono effetti negativi” – da “Dieci tesi sulla situazione attuale e sulla tendenza alla guerra”, gennaio 2016.

Cosa intendiamo per sinistra borghese
La sinistra borghese è costituita dall’insieme di partiti, organismi e personaggi che si oppongono alle ingiustizie del capitalismo e della divisione in classi della società: vorrebbero che tutti i membri della società avessero vite decenti, casa, salari e pensioni decenti, istruzione, sanità e un lavoro assicurato. Allo stesso tempo però non vedono oltre l’orizzonte della società borghese, non concepiscono e considerano un’utopia la possibilità di sostituire il capitalismo con una nuova società socialista, dove il potere politico è dei lavoratori, le forze produttive sono proprietà pubblica e gestite secondo un piano ed è promossa la partecipazione di tutti alla gestione della società e alle altre attività propriamente umane; una società che mette al centro il benessere delle masse popolari e marcia verso la fine della divisone in classi dell’umanità. Insomma sono contro l’attuale corso delle cose ma non per un altro realmente diverso, vorrebbero il capitalismo, ma senza “i mali del capitalismo”.
La sinistra borghese non ha soluzioni per la crisi generale in cui siamo immersi e non può quindi che essere al carro della destra borghese, che marcia verso la guerra. Il movimento comunista che rinasce può però giovarsi della sua denuncia del catastrofico corso delle cose per mobilitare le masse popolari nella costruzione della rivoluzione socialista e, man mano che cresce la sua forza, arruolare fra le sue file gli elementi non ciecamente anticomunisti.

Per fare la guerra ad altri paesi e Stati, la borghesia imperialista deve condurre più a fondo la guerra contro gli operai e le masse popolari dei paesi imperialisti (regime di guerra), deve andare più a fondo nello smantellamento dei diritti e delle conquiste, nella militarizzazione delle città, nella repressione dei movimenti sociali e politici, deve andare più a fondo nella promozione della guerra fra poveri per tenere divise e sottomesse le masse popolari. Per questo motivo, anche se non sono in corso grandi manifestazioni contro la guerra imperialista, la classe operaia e le masse popolari stanno già conducendo praticamente iniziative e lotte per contrastarla. Ne sono esempio le mobilitazioni che operai italiani e immigrati conducono fianco a fianco (vedi l’articolo sul corteo del SI COBAS a Prato a pag. 4), come anche le mobilitazioni contro la repressione e gli appelli al confronto per arrivare a rompere con il ricatto economico delle pene pecuniarie e la cappa del legalitarismo diffuso (vedi gli articoli a pag. 4 e 5). Ne sono ulteriore dimostrazione le mobilitazioni contro la chiusura delle fabbriche e le delocalizzazioni, per la salvaguardia dei posti di lavoro, contro le privatizzazioni e per le nazionalizzazioni (vedi l’articolo a pag. 8), le mobilitazioni dei giovani del Friday For Future contro la crisi ambientale e quelle di giovani e meno giovani contro la deriva reazionaria (movimento delle Sardine).
Queste e le altre mille manifestazioni contro gli effetti della crisi e la tendenza alla guerra sono il terreno pratico su cui i comunisti intervengono e su cui fanno leva per promuovere la rivoluzione socialista.

Guerra alla guerra, dunque. Non nel senso di azioni militaresche, ma nel senso che alla guerra imperialista verso cui la classe dominante conduce il mondo e il nostro paese, i comunisti oppongono la guerra popolare rivoluzionaria organizzando la classe operaia per combatterla e per vincerla.

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