CdF Philco (BG) seconda puntata – intervista a Maj e Locatelli

L’esperienza del Consiglio di Fabbrica della Philco e gli operai che votano Lega

Dare la priorità alla condizione di classe rispetto alle idee e all’adesione alle organizzazioni proposte dalla borghesia e dal clero!

Questa intervista sul CdF della Philco di Brembate Sopra (BG) è la “seconda puntata” di quella fatta a Gianni Maj che abbiamo pubblicato nel 2014. In questa seconda intervista ci concentriamo su un aspetto che in quella precedente era solo accennato, ma che è estremamente utile nella situazione attuale in cui “gli operai votano Lega”: il seguito che avevano la CISNAL e il MSI tra gli operai della Philco.

Gianni Maj ci ha lasciato, dopo una lunga malattia, nel 2017, ma abbiamo intervistato suo fratello Luigi, all’epoca operaio alla Legler (grande fabbrica tessile della zona), che ha seguito da vicino l’attività del CdF della Philco e suo cognato Massimo, che tra il 1971 e il 1975 ha lavorato anche lui alla Philco e poi fino al 1989 alla Dalmine (grande fabbrica siderurgica della zona).

La Philco era una fabbrica di fascisti?

Luigi: nel 1968, quando Gianni è entrato alla Philco, su 2.500 operai ce n’erano 600 iscritti alla CISNAL, il sindacato legato al Movimento Sociale Italiano [il partito fascista fondato e diretto da Amirante reduce dalla Repubblica di Salò-ndr] che all’interno della fabbrica aveva anche una sua sezione.

Non era una cosa strana. Tutta la zona di Brembate Sopra era marcata dalla nostalgia e mentalità del vecchio fascismo, la popolazione era prevalentemente contadina e c’erano ancora conti e marchesi, c’era la Caproni, una grande fabbrica aeronautica che dava lavoro a tutti, che è stata chiusa nel secondo dopoguerra e rilevata in seguito dalla Philco. Mi ricordo di Amerigo, un operaio della zona che però non lavorava alla Philco, che andava in giro vantandosi delle memorie del duce e di suo padre volontario fascista in Spagna ma che poi alla fine era diventato attivista di sinistra.

Massimo: all’epoca il grosso dei contadini vivevano in miseria, seguivano passivamente le organizzazioni che si richiamavano al duce e al fascismo.

Luigi: nessuno avrebbe puntato una cicca sulla Philco, era una fabbrica politicamente arretrata, gli operai non erano organizzati, erano abituati ad aspettare che la soluzione dei loro problemi venisse dall’alto, dalla CISNAL e dal prete.

Massimo: molti operai non avevano mai fatto politica e venivano ritenuti fascisti. Neanche io avevo esperienza, fino a 23 anni avevo fatto il commesso. Avevo partecipato ai primi scioperi perché ritenevo giusto che la paga dovesse essere più alta, ma non avevo coscienza politica. Ho cominciato alla Philco.

Poi cos’è successo?

Luigi: il Consiglio di Fabbrica e la sua azione hanno prodotto una grossa trasformazione all’interno della fabbrica e in zona. Gli operai iscritti al CISNAL, circa 600, sono arrivati a stracciare la tessera di quel sindacato e proprio alcuni di loro sono diventati tra i più attivi nella lotta dentro e fuori la Philco e nel chiudere la sezione del MSI in fabbrica. Nel 1974, dopo la strage di Piazza della Loggia a Brescia, sono stati loro che hanno eliminato gli ultimi residui della CISNAL e chiuso la sezione del MSI. Gianni nella sua intervista l’ha raccontato bene: “li buttammo fuori prendendo le loro scartoffie e portandole in direzione. Noi le avevamo portate lì, ma dopo gli operai ci dissero: “no, con questa gente i problemi si risolvono così!” e hanno preso le scartoffie e gli hanno dato fuoco!”.

Massimo: tra il 1968 e il 1970 sono entrati alla Philco Gianni e alcuni altri operai legati al movimento comunista. Non dicevano agli altri operai “vi proteggiamo noi”, ma quando c’era un problema si allontanavano dalla catena, la catena si fermava e a quel punto interveniva il capo che per rimettere in moto la catena era obbligato a risolvere il problema sollevato da Gianni e gli altri. In quel modo anche gli operai iscritti CISNAL hanno capito che c’era qualcosa che non funzionava nel loro sindacato. La CISNAL non interveniva mai per capire quale fosse il problema, ad esempio perché le donne non avevano il tempo per andare al bagno: bisognava lavorare e basta. Il problema della pausa per il bagno era molto sentito in azienda, infatti era permesso andarci solamente se il “capetto” era disposto a darti il cambio quando lo chiamavi. Naturalmente non veniva concesso a tutti, ma solamente a quelli che si occupavano delle parti più importanti del lavoro. Io ad esempio mettevo il motorino dentro ai frigoriferi e il “capetto” veniva sempre da me: bastava che fischiassi e arrivava, perché se mi bloccavo io non lavorava più nessuno. Le donne erano le più tartassate, non avevano mai i cambi, niente di niente, mentre a noi qualcosa in più concedevano perché incutevano più timore.

Seguendo l’esempio di Gianni e di pochi altri che avvisavano il capetto quando andavano in bagno ma non aspettavano la sua autorizzazione, anche altri operai e soprattutto le operaie hanno cominciato ad andarci senza permesso e la catena girava a vuoto. Così anche molti iscritti CISNAL, che avevano la tessera per “proteggersi” e che erano i più “avanzati” perché avevano fatto lo sforzo di iscriversi a un sindacato, cominciarono a vivere con insofferenza le condizioni di lavoro imposte dal padrone.

Luigi: Gianni raccontava che se era vero che con il lavoro a catena si produceva di più, però il lavoro a catena aveva un punto debole, perché se uno non metteva una vite, quando il frigorifero o la lavatrice arrivava al controllo veniva scartato. Per questo e per evitare vuoti in catena quando anche le donne cominciarono a lasciare il proprio posto per andare in bagno, i padroni istituirono i cosiddetti jolly: si trattava di un gruppo di operai messi a disposizione proprio per tappare il buco di chi si assentava.

Massimo: a quel punto la direzione fu obbligata a riconoscere a tutti gli operai un quarto d’ora di cambio, però durante il cambio i capi controllavano cosa facevamo. Il controllo era generale: eravamo controllati anche quando timbravamo il cartellino per uscire, perché volevano accertarsi che non avessimo viti nelle tasche. Anche a questo abbiamo detto basta. A noi controllavano le tasche, mentre i dirigenti si portavano fuori frigo e lavatrici? Era inammissibile! Abbiamo detto basta ai controlli e a tante altre imposizioni del padrone contrarie ai nostri diritti e alla nostra dignità.

Luigi: gli operai iscritti alla CISNAL si erano attivati. Non era tutto “o bianco o nero”, mi ricordo ad esempio di un operaio che era diventato attivo in fabbrica ma che continuava a stampare i volantini del MSI a casa sua, dove aveva ancora i macchinari del suo lavoro precedente di tipografo. Quindi nella quantità c’era il bello e il brutto, ma l’aspetto principale era che tutti gli operai erano diventati attivi in prima persona. Gianni e gli altri operai legati al movimento comunista non sono partiti dallo schieramento sindacale e politico degli operai, ma hanno fatto valere praticamente (con l’esempio, con quello che facevano) la linea di non aspettare la “protezione” di altri, ma proteggersi direttamente e imporre i propri diritti, hanno portato gli altri operai a sperimentarla e a toccare con mano i risultati che dava. È questo che ha unito gli operai sul fatto che avevano gli stessi interessi, ha fatto sì che uno dopo l’altro stracciassero la tessera della CISNAL e ha fatto saltare la CISNAL.

Massimo: in questo periodo (siamo nel 1970-71) sono entrati in fabbrica anche altri sindacati, CGIL, CISL e UIL, che hanno iniziato a fare tesserati. Siccome era già in corso il movimento per cui per ogni catena o tot numero di operai doveva esserci un delegato, i sindacati non hanno potuto fare le commissioni interne come avrebbero voluto. Forse gli operai associavano l’idea che le commissioni interne di CGIL, CISL e UIL fossero come quella della CISNAL e non avevano fiducia. È nato quindi subito il Consiglio di Fabbrica.

Luigi: gli operai hanno via via preso coscienza che la CISNAL era un sindacato legato al MSI. Dentro la fabbrica erano nate delle cellule di gruppi extraparlamentari, come Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Partito Comunista Marxista-Leninista e altri. La loro presenza era importante perché sono iniziati i volantinaggi che legavano i problemi interni alla situazione generale e la mentalità degli operai si è aperta.

Massimo: hanno avuto un ruolo importante. Prima in fabbrica non si sapeva niente rispetto all’aria generale che tirava e il volantino che spiegava come andavano le cose era uno strumento utile perché spingeva gli operai a leggere, a incontrarsi e a discuterne.

Luigi: la nascita del CdF e la sua azione insieme all’opera dei gruppi extraparlamentari ha sconvolto tutta la zona di Brembate Sopra. Attorno alla Philco infatti c’erano altre grosse fabbriche (come la Legler) con circa 5.000 operai. Brembate faceva parte di una zona, chiamata Isola, che contava 20.000 operai, per lo più abitanti della zona, quindi quando un Consiglio di Fabbrica si muoveva aveva quasi naturalmente o più facilmente un’influenza su tutte le fabbriche e quindi su tutta la popolazione della zona. Gianni nella sua intervista ha spiegato bene come gli operai della Philco sono diventati un’autorità pubblica riconosciuta e seguita in tutta la provincia e anche oltre, come la Philco è diventata la fabbrica faro in tutta la provincia di Bergamo.

Dagli operai iscritti alla CISNAL della Philco agli operai che oggi votano Lega…

Luigi: l’esperienza della Philco degli anni ‘70 mostra che la questione è partire dalle esigenze, dagli interessi di classe, non dallo schieramento politico o sindacale, da come uno la pensa, cioè dalle idee. Le idee nel tempo si possono trasformare, oggi uno la pensa in un modo e domani in un altro… è una trasformazione che dipende dalla realtà, dall’esperienza. Se uno alla Philco fosse partito dicendo “fuori i fascisti dalla fabbrica” sarebbe stato buttato fuori lui. La questione è non fermarsi alle etichette, neanche nel 1969 si faceva… E oggi, rispetto ad allora, partiamo da un livello superiore.

In che senso dici a un livello superiore?

Luigi: nel 1969 siamo partiti dal miglioramento delle nostre condizioni economiche e di lavoro. Oggi la lotta non si pone solo a quel livello, è diventato sentire più comune che è una questione politica, che dipende da chi detiene il potere. Oggi il problema non è più di tipo economico-sindacale, questo esiste eccome, ma tutto diventa subito un problema politico. Chi vota Lega lo fa perché in qualche modo sente che solo a livello di direzione politica, economica, sociale complessiva può risolvere il suo problema. Non può farlo il sindacato, tanto meno sindacati discreditati come sono oggi la UIL, la CISL e anche la CGIL.

In più il M5S ha mostrato a tutti i lavoratori che non basta mandare al governo persone di buona volontà, cambiare i personaggi e i partiti al governo centrale o locale… e un eventuale governo della Lega insegnerebbe la stessa cosa. I comunisti oggi devono partire da questa situazione, da operai, studenti, precari, ecc. che votano Lega o M5S o che sempre più numerosi non votano proprio, iscritti o no ai sindacati, che magari seguono Fratelli d’Italia e perfino CasaPound, per portarli a creare e rafforzare loro organismi come i CdF in fabbrica, nelle scuole e nei quartieri, ovunque, fino a costruire autorità locali e nazionali che sono emanazione di questi organismi, controllate da loro, che fanno quello che questi organismi dicono, con persone designate da questi organismi e da loro revocabili come i delegati di reparto dei CdF. Solo così operai, studenti, pensionati, ecc. potranno risolvere i loro problemi.

Inoltre allora la CISNAL (ma anche le ACLI) potevano dire “iscriviti che ti proteggo io”, oggi la Lega non può permettersi quel lusso. I suoi elettori non chiedono protezione, ma lavoro e un salario decente, servizi pubblici che funzionino, chiedono di avere una casa dove abitare e di non vedersela portare via da una banca, chiedono l’abolizione della riforma Fornero, chiedono di non essere strozzati da tasse e ticket, di non respirare e mangiare merda, di non sottostare ai voleri dell’Unione Europea, ecc. Gli elettori esprimono le loro esigenze, gli operai oggi cercano risposte a queste loro esigenze. Quindi bisogna partire dalle esigenze, non fermarsi o partire dalle idee sulle cause e le soluzioni a queste esigenze propagandate da i media di regime, dalla Lega e simili: non partire dal fatto che pensano che sono gli immigrati la causa e la loro cacciata la soluzione; ricordiamoci i meridionali, gli immigrati degli anni ‘60, presentati come causa dei mali dei lavoratori del nord, come quelli che rubavano il lavoro, che erano sporchi, ecc., poi è stata la volta dei dipendenti pubblici che lavoravano poco e andavano in pensione giovani, dopo sono venuti i lavoratori autonomi che non pagavano le tasse, ecc. Adesso sono i neri, gli arabi e i cinesi… anche se all’occorrenza ritirano fuori anche i lavoratoti autonomi e i dipendenti pubblici “fannulloni” e “furbetti del cartellino”!

Infine c’è l’esperienza del periodo dello “Stato sociale” (o capitalismo dal volto umano) e del suo smantellamento, ancora in corso: è la dimostrazione pratica che non è possibile conciliare stabilmente gli interessi dei padroni con quelli degli operai, gli affari dei capitalisti con condizioni di vita e lavoro dignitose per i lavoratori, che non si possono fare le cose a metà. Negli anni ‘60 e ancora fino agli inizi ‘70 il PCI (con Togliatti e poi Longo) diceva che di riforma in riforma era possibile cambiare la struttura economica del paese e arrivare al socialismo, che più voti il PCI avrebbe preso e più sarebbe stato forte per far attuare queste riforme e l’esperienza pratica sembrava dargli ragione: effettivamente le condizioni di lavoro e di vita miglioravano, c’era il settore pubblico dell’economia, è stato introdotto il servizio sanitario nazionale, l’equo canone, ecc. Ma quando è il campo socialista è venuto meno, i padroni e i loro governi hanno iniziato a riprendersi quello che avevano dovuto cedere. Vi ricordate cosa diceva Fossa, presidente di Confindustria, alla fine degli anni ‘90? “Abbiamo dovuto dare lo Stato sociale perché c’era la minaccia del comunismo. Ora che non c’è perché dovremmo mantenerlo?”.

Questi elementi oggi giocano a favore dei comunisti e fanno da contraltare al fatto che il movimento comunista non è forte e all’attacco nel mondo come era allora, non ci sono più l’Unione Sovietica e il campo socialista.

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