Napoli, li 1 febbario 2020
“Se una azienda decide di non continuare la produzione per insostenibilità economica non esistono strumenti normativi coercitivi che possano impedirle di chiudere un’attività”. È la sintesi del fallimento del Tavolo tra le parti sociali tenutosi il 29 gennaio 2020 al MiSE in merito alla vertenza Whirlpool Napoli. Lo ha comunicato Patuanelli, Ministro dello Sviluppo Economico del governo M5S-PD, ben lontano dai toni trionfalistici in cui annunciava – come, prima di lui, Di Maio– di aver salvato la fabbrica di Napoli. Un comunicato diffuso dopo 5 ore di non-confronto: l’azienda sempre ferma nella sua posizione di chiusura, i sindacati confederali sempre aggrappati alla risoluzione tramite un’azione di governo, il governo che ha affidato a Invitalia spiegare le ragioni dei padroni a sindacati, delegati e amministratori locali di Regione Campania presenti: Whirlpool nonostante gli sgravi e gli incentivi statali e regionali ricevuti e i nuovi promessi, decide che “la sostenibilità delle attività nel lungo periodo e la piena occupazione” non possono essere garantite mentre il governo tace asservito al ricatto dei padroni (alla faccia dell’articolo 42 della Costituzione secondo cui la proprietà privata è riconosciuta dalla legge finché assicura una funzione sociale). Unica via percorribile sarebbe quella di cercare un nuovo acquirente del sito napoletano, strada già percorsa all’Embraco di Riva di Chieri (TO), gruppo Whirlpool, poi venduta, svenduta e chiusa.
La “giornata decisiva” della vertenza Whirlpool Napoli finisce con i sindacalisti nazionali di categoria lasciati soli ad affrontare la rabbia degli operai, in 350 in presidio sotto il MiSE, sostenuti da altri 60 della Scame Mediterranea, azienda di indotto, la cui produzione è assorbita 100% da Whirlpool e che, pertanto, alla chiusura del sito napoletano, sarebbe chiusa di conseguenza. Operai che chiedono il conto della trattativa fallita, a cui non basta l’ulteriore rinvio della chiusura, da quello proposto dall’azienda, il 31 marzo prossimo, a quello “strappato” dai sindacati il 31 ottobre.
La parziale vittoria del 30 ottobre scorso è durata lo spazio di poche settimane, quando la Whirlpool, a fronte del montare della resistenza operaia allargatasi a tutta la città di Napoli e diventata poi questione nazionale “da prima pagina dei giornali”, ha fatto passo indietro rispetto alla procedura di cessione di ramo d’azienda alla sconosciuta PRS.
È la dimostrazione che, nonostante l’“impegno” assunto dalla Whirlpool a ottobre 2018 (il “Piano Italia”) a reinvestire in tutti gli stabilimenti italiani, con i padroni nessun accordo è possibile. E insufficiente, per gli operai, è la risposta dei sindacati che indicono 16 ore di sciopero generale in tutti gli stabilimenti del gruppo (le prime 8 l’altro ieri, su base territoriale e le altre per una manifestazione nazionale ancora da indire) dopo mesi e mesi di mobilitazioni, scioperi, cortei, blocchi stradali, assemblee e anni di lavoro a contratto di solidarietà. Le promesse del governo sulla nazionalizzazione sfumano, i 20 milioni per il sito napoletano paventati come anticipo di campagna elettorale dal Presidente di Regione Campania De Luca (PD) si rivelano un bluff, le dichiarazioni del Sindaco di Napoli De Magistris (DemA) sulla costituzione di un centro di produzione collettiva tutto italiano restano chiacchiere, allo stato. Così come il ricorso a giudici civili o amministrativi, alla Corte costituzionale o fosse anche quella europea, tutti pronti a “garantire” lo stato di diritto, mai però ad affrontare il fatto. Per “cambiare la legge che consente alle imprese di prendere soldi dallo Stato e poi fare quello che vogliono” non si può aspettare che chi ci governa si convinca a farlo, bisogna imporglielo con la lotta, cambiando i rapporti di forza tra operai e padroni. Agli operai sta, dunque, rovesciare il tavolo in proprio favore. Non sono i padroni ad essere forti, è la classe operaia, organizzando intorno a sé il resto delle masse popolari, che deve far valere la sua forza! Dipende dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari organizzate quello che ora, a fronte della rottura di concertazioni e trattative sindacali tirate troppo e troppo a lungo, sarà il prosieguo della lotta contro la chiusura della fabbrica, lo smantellamento del sito, la delocalizzazione dove i padroni possono fare maggiori e migliori profitti.
Ecco perché, allora, il 29 gennaio non è stata “giornata decisiva” per la lotta in Whirlpool, ma “giro di boa” di una lotta che continua e deve prendere ora ancora maggiore slancio. Ecco perché oggi opporsi alle politiche padronali è ed è stato solo il primo passo.
– Bisogna che gli operai prendano ora in mano direttamente la gestione dell’azienda, facciano funzionare i coordinamenti delle RSU di stabilimento e quelli nazionali come nuove autorità operaie che dirigono la produzione, stendano piani alternativi a quelli dei padroni facendo appello a tecnici, ingegneri, studenti che solidarizzano già ora con la lotta e li impongano – più che chiederli – al governo, applicandoli e facendoli valere indipendentemente dal consenso di enti e istituzioni, affinché l’azienda produca non più profitti per i padroni, ma beni e servizi per la collettività! Piani che salvaguardino il lavoro. Piani in base ai quali si produca il necessario, si distribuisca tutto!
– Bisogna che gli operai si mettano, dunque, ancora alla testa del processo, mobilitino e si mobilitino ancora, dentro e fuori allo stabilimento, a Napoli come nel resto del Paese.
– Bisogna che usino ogni mobilitazione per imporre l’attuazione delle parti progressiste della Costituzione e l’imposizione della sovranità nazionale sugli interessi privati e i fini speculativi di padroni e multinazionali!
– Bisogna che usino la campagna elettorale per le prossime suppletive di Napoli e quella per le Regionali campane per imporre ai candidati di fare fin da subito quello che promettono di fare una volta eletti e che sono già venuti a promettere davanti ai cancelli chiedendo informalmente il voto operaio (un voto che non costa né 150 euro di “sottoscrizione” alla cassa di resistenza metalmeccanica né 20 milioni declamati e mai versati).
– Bisogna che gli operai imparino a usare ogni conflittualità per creare e rafforzare legami e azione comune con altri operai, indipendentemente dalle sigle sindacali di appartenenza (dall’ILVA all’AVIO alla FCA, dalla Hitachi a Mercatone Uno, da Alitalia alle aziende della logistica, ovunque ci siano operai che si organizzano) e con il resto delle masse popolari, città per città, territorio per territorio, per costruire un fronte operaio che faccia rete con la popolazione solidale, allertandola e mobilitandola.
– Bisogna che chiamino alla lotta gli operai in pensione, affinché la sostengano e vi partecipino, forti dell’esperienza di organizzazione operaia al tempo della Ignis e poi della Indesit, maestranze operaie italiane poi assorbite dall’americana Whirlpool, ma soprattutto capaci di insegnare ai nuovi operai come si costruisce e come agisce un consiglio di fabbrica, autorità operaia in azienda alternativa a quella dei padroni.
– Bisogna che riprendano, estendano e rafforzino il movimento di solidarietà che hanno già suscitato in tutto il Paese, facendo della vertenza una questione ordine pubblico e inchiodando al peso delle dichiarazioni fatte e delle loro responsabilità esponenti delle istituzioni di prossimità (Amministrazione comunale e Regione Campania) affinché si mettano effettivamente al servizio della lotta. Che fine ha fatto il gran ciarlare di De Magistris, De Luca, Di Maio e compagnia? Servono fatti e soluzione concrete, non chiacchiere!
Si tratta di passi necessari per imporre la nazionalizzazione senza indennizzo degli stabilimenti del gruppo (impianti, magazzini, scorte, marchi e brevetti) e imporre il controllo operaio della produzione e della vendita di elettrodomestici e della componentistica. Si tratta di misure che solo la classe operaia può strappare ai padroni. Misure che rafforzeranno, negli operai, la fiducia in se stessi e, nelle masse popolari, la fiducia nella classe operaia come classe dirigente di una società nuova. Fiducia di poter imporre l’unico governo utile alla classe operaia e al resto delle masse popolari in questa fase: un governo che difenda l’apparato produttivo del Paese, nazionalizzi la produzione strategica, distribuisca beni e servizi alla maggioranza della popolazione e prenda a calci nel culo i padroni che sfruttano, spolpano speculano e poi delocalizzano. Un governo fondato sulle organizzazioni operaie e popolari e che dia forza e forma di legge ai provvedimenti da queste assunti volta per volta: il Governo di Blocco Popolare.
Questo, concretamente, significa avanzare nella lotta per la costruzione di un’alternativa di classe, di sistema, di potere al capitalismo in crisi generale. Questo significa avanzare verso il socialismo.
Il Partito dei CARC lavora in questa direzione. Organizza ogni operaio e chiunque intenda mettersi su questa strada.
Operai vincere è possibile!
Nazionalizzare senza indennizzo gli stabilimenti del gruppo Whirlpool!
Imporre il controllo operaio della produzione e del mercato degli elettrodomestici e della componentistica!
Segreteria federale Campania – Partito dei CARC