[Internazionale] Siamo veramente sull’orlo della terza guerra mondiale?

Con l’inizio del 2020 abbiamo visto compiersi un salto di qualità nell’avanzamento della crisi generale che si manifesta a livello internazionale e a livello nazionale. Tale salto si è manifestato, in particolare, con l’attacco degli imperialisti USA all’Iran attraverso l’omicidio di Suleimani e altri esponenti dell’apparato politico militare iraniano in Iraq. L’attacco ha innescato la reazione militare dell’Iran, una rinnovata e rafforzata spinta del governo iracheno verso l’indipendenza nazionale, una impennata delle tensioni internazionali e una rinnovata spinta delle masse popolari alla mobilitazione contro la guerra imperialista, in particolare negli USA.

Nel nostro paese questa spinta alla mobilitazione nel campo delle masse popolari è stata interpretata da varie correnti della sinistra borghese che hanno alimentato analisi terroristiche e catastrofiche (“è iniziata la Terza Guerra Mondiale”).

Ma è veramente così? Per fare chiarezza e confutare il catastrofismo di queste tesi rilanciamo un testo pubblicato a gennaio 2016 dal Partito dei CARC titolato “Dieci tesi sulla situazione attuale e sulla tendenza alla guerra”. Le tesi sono un’ottima guida per orientarsi anche oggi e non perdere la bussola disorientati dalla propaganda di regime.

***

Dieci tesi sulla situazione attuale e sulla tendenza alla guerra

  1. Per capire in modo giusto gli sviluppi della situazione bisogna partire dalla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale che da circa 40 anni a questa parte sempre più strettamente determina il corso delle cose nel mondo. La sostanza di questa crisi consiste nel fatto che a livello mondiale e considerando tutti i settori produttivi, il capitale accumulato è tanto che, se i capitalisti lo impiegassero tutto nelle loro aziende che producono merci (beni e servizi), estrarrebbero una massa di plusvalore (quindi di profitto) inferiore a quella che estraggono impiegandone solo una parte. In un sistema di relazioni sociali capitaliste la borghesia deve valorizzare il capitale, ma, stante gli ordinamenti esistenti, la borghesia non poteva investirlo nella produzione di merci. Questo ha dato luogo a tutti gli sviluppi che constatiamo e che rientrano nei seguenti cinque campi:

– spremitura delle masse popolari (riduzione dei redditi ed eliminazione dei diritti e delle conquiste),

– finanziarizzazione dell’economia reale e sviluppo del capitale speculativo,

– ricolonizzazione dei paesi oppressi e sfruttamento dei paesi ex socialisti,

– devastazione della Terra (saccheggio delle risorse naturali, cambiamento climatico, inquinamento dell’ambiente, devastazione del territorio),

– lotta tra capitalisti ognuno dei quali cerca di ingrandirsi a spese di altri capitalisti.

Gli sviluppi in ognuno di questi cinque campi hanno come sbocco la guerra: la guerra è un effetto inevitabile del capitalismo in crisi.

La comprensione che la crisi attuale è una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale distingue noi comunisti dalla sinistra borghese e da quanti sono succubi della concezione borghese del mondo che essa veicola anche tra le masse popolari. Che la crisi attuale è una crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale e non una crisi per sovrapproduzione di merci (anche appiccicandole l’etichetta di “assoluta”) non è una questione nominalistica, ma di comprensione del corso delle cose e degli esiti a cui esso dà luogo, della via d’uscita dalla crisi e della linea politica da seguire.

La crisi per sovrapproduzione di merci è una crisi di squilibrio tra domanda e offerta (dovuta al carattere anarchico del modo di produzione capitalista) e trova soluzione nel movimento economico della società borghese: è lo sconquasso stesso del sistema produttivo che, riducendo la capacità produttiva, nel corso di un certo tempo crea le condizioni per la ripresa della produzione. Chi mette all’origine del marasma attuale la sovrapproduzione di merci, concentra l’attenzione sul mercato (offerta e domanda di merci) e i rimedi a cui arriva in definitiva si riducono o a interventi sull’offerta (per renderla più allettante, più profittevole: la destra) o a interventi sulla domanda (per accrescerla: i keynesiani, la sinistra).

La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, pur nascendo dall’economia, è una crisi che diventa generale – cioè anche politica, culturale, sociale e, per quanto riguarda la crisi attuale, ambientale – e trova la sua soluzione sul terreno politico, cioè nello sconvolgimento degli ordinamenti sociali a livello di singolo paese e del sistema di relazioni internazionali (tra paesi).

  1. La guerra che dilaga nel mondo non è nata dalla cattiva volontà o dai calcoli sbagliati di uno o dell’altro dei membri della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti né come effetto della cattiva volontà dell’uno o dell’altro dei criminali che sono a capo dei governi dei loro paesi. Quindi non finirà nemmeno se capitasse che tra di essi un qualche illuminato o compassionevole personaggio prende l’iniziativa di farla finire. Sbagliano quindi, in particolare, quelli che (come Giorgio Cremaschi e simili) guardano con speranza a Papa Bergoglio. Non solo perché Bergoglio finora ha molto chiacchierato e proclamato, ma non ha mai cercato di mobilitare i suoi seguaci e fedeli e le altre risorse della sua Chiesa in un movimento politico contro i governi che promuovono la guerra, cioè quelli della comunità internazionale, per sostituirli con governi fautori della pace. Ma anche perché (al di là delle sue riposte intenzioni) non è nelle sue facoltà porre fine alla guerra anche se personalmente davvero lo volesse e cercasse di farlo. La guerra certo viene fatta nell’interesse dei gruppi imperialisti e arricchisce soltanto loro. Ma essa è un parto necessario della crisi generale del capitalismo e non è possibile porre fine alla guerra senza rovesciare il sistema capitalista almeno in alcuni dei maggiori paesi imperialisti, cioè senza un salto della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti, senza che almeno uno dei grandi paesi imperialisti rompa le catene della comunità internazionale e in questo modo apra la via e mostri la strada anche alle masse popolari degli altri paesi.
  2. Da trent’anni a questa parte, la comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti sovverte e colpisce su scala crescente ogni Stato che non si piega alla sua volontà e che non apre le frontiere alle sue scorrerie, ai suoi traffici, ai suoi affari e alle sue sopraffazioni. Tutti i gruppi imperialisti hanno bisogno di fare traffici e affari nei paesi oppressi, di aprire miniere, di installare piantagioni, di “ripulire” la terra dalle popolazioni che ci abitano, di delocalizzarvi aziende, di imporre opere pubbliche e altre operazioni speculative, di vendere armi, di fare investimenti. Non ne possono fare a meno, non potrebbero valorizzare altrimenti il capitale che hanno accumulato, si fanno perfino la guerra tra di loro perché ogni gruppo deve valorizzare il suo capitale. Per i gruppi imperialisti il caos è meglio di uno Stato che rifiuta di obbedire e piegarsi, dal momento che sostituire gli Stati disobbedienti con Stati obbedienti e sottomessi si rivela in ogni paese aggredito un’impresa impossibile. Essi suscitano e armano ribellioni, conducono attività e operazioni sovversive facendo leva in ogni paese (borghese o semifeudale) sui mille buoni motivi di ribellione che in ogni paese ha l’una o l’altra parte delle masse popolari oppresse dalla classe dominante. Ma regolarmente i capi e gli eserciti di queste ribellioni prima o poi si rivoltano contro i gruppi imperialisti che li hanno allevati, tanto è insopportabile dalle masse in rivolta l’ordine che i gruppi imperialisti vorrebbero imporre. È un ordine che va sempre più a pezzi perfino negli stessi paesi imperialisti, benché qui una parte importante della popolazione goda ancora di quel che resta delle conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato alla borghesia nella prima parte del secolo scorso sulla scia della prima ondata della rivoluzione proletaria suscitata nel mondo dalla vittoria della rivoluzione in Russia nel 1917.
  3. Gli attentati nelle metropoli dei paesi imperialisti (Parigi, Londra, Madrid, New York) hanno come causa diretta la politica di sopraffazione, devastazione e guerra che la comunità internazionale conduce da trent’anni a questa parte in tutto il mondo, in particolare in Medio Oriente e in Africa (ricolonizzazione dei paesi oppressi).

Negli attentati compiuti in Francia il 13 novembre e nello stato d’emergenza instaurato di fatto da vari governi europei, ivi compreso il governo della Repubblica Pontificia, si combinano:

– il contrattacco portato nei paesi imperialisti dai gruppi e dagli organismi che sono alla testa della resistenza delle masse popolari dei paesi arabi e musulmani all’attacco sferrato dalle potenze imperialiste,

– operazioni pilotate dai gruppi imperialisti americani contro l’UE franco-tedesca per conservare la loro dominazione economica, finanziaria e politica sul mondo,

– operazioni dei gruppi imperialisti franco-tedeschi per portare a un livello superiore la loro lotta (rafforzare l’unità politica dell’Europa) per strappare la dominazione sul mondo ai gruppi imperialisti americani.

  1. Nessuno dei due contendenti oggi in campo (la comunità internazionale dei gruppi europei, americani e sionisti e la resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi) può prevalere definitivamente e su larga scala sull’altro.

I gruppi imperialisti della comunità internazionale non sono in grado di vincere la guerra che essi generano e alimentano,

– perché le masse popolari dei paesi oppressi non accettano le condizioni che essi impongono: sia grazie ai progressi in termini di coscienza e di organizzazione fatti durante la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria persino dalle masse popolari più arretrate dei paesi oppressi sia a causa dell’intrinseca insostenibilità di quelle condizioni che comporterebbero l’eliminazione di intere popolazioni e il dissesto ambientale e climatico del pianeta;

– perché man mano che la guerra dilaga nei paesi oppressi, essa si trasforma in guerra tra gruppi imperialisti per la spartizione dei frutti della rapina: lo scontro tra comunità internazionale e la Federazione Russa e la Cina si aggiunge allo scontro tra i gruppi imperialisti USA e i gruppi imperialisti franco-tedeschi.

La resistenza delle masse popolari dei paesi oppressi a sua volta non è in grado vincere la guerra per quanto grandi siano gli atti di eroismo che essa mobilita, per vasto che divenga il reclutamento di combattenti che compie negli stessi paesi imperialisti e per quanto vasto divenga il contrattacco che porta nei paesi imperialisti. Il motivo principale per cui non è in grado di vincere sta nell’arretratezza della concezione del mondo che la guida e dell’ordine sociale che promuove. Proprio per questo essa non è in grado di conquistare in misura sufficiente la simpatia e l’adesione delle masse popolari dei paesi imperialisti e di mobilitare in questi paesi sufficienti forze rivoluzionarie: neanche al livello a cui giunsero, proprio grazie alla concezione del mondo più avanzata che le guidava, la rivoluzione vietnamita, la rivoluzione cubana e la lotta di liberazione nazionale algerina.

Siamo quindi coinvolti in una guerra cronica e dilagante finché essa non susciterà la rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista non scoppierà direttamente a causa della guerra (lo abbiamo visto anche durante la prima parte del secolo XX), ma la guerra alimenterà la rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato che è già in corso, fornirà nuovi combattenti ai partiti comunisti e alle loro organizzazioni e susciterà vasta adesione alle sue iniziative di lotta.

  1. Lo sviluppo della guerra è tale che non è affatto da escludere che nei paesi imperialisti, anche nel nostro, una parte importante della popolazione, anche delle masse popolari e perfino della classe operaia, aderisca inizialmente alla guerra “contro il terrorismo” patrocinata dai gruppi imperialisti e dalle loro autorità pubbliche, soprattutto se il contrattacco delle forze antimperialiste arabe contro i paesi imperialisti si confermerà essere una campagna di lunga durata e su grande scala o se si confermerà che lo scontro tra i gruppi imperialisti americani e i gruppi imperialisti franco-tedeschi è passato a un livello superiore.

Le condizioni in cui la guerra si sviluppa, si prestano alla mobilitazione reazionaria di parti importanti delle masse popolari dei paesi imperialisti. Queste non sono obiettivamente interessate alle imprese criminali dei gruppi imperialisti, all’invasione e all’oppressione dei paesi neocoloniali, alla globalizzazione imperialista. Lo dimostra il corso delle cose: mentre i gruppi imperialisti estendono la guerra e la devastazione nei paesi coloniali, le masse popolari dei paesi imperialisti sono anch’esse vittime dei dissennati tentativi dei gruppi imperialisti di far sopravvivere il loro sistema di relazioni sociali. I gruppi imperialisti opprimono anche le masse popolari dei paesi imperialisti stessi. Lo sviluppo della guerra porta a restrizioni senza fine, anche se alimenta l’occupazione (keynesismo di guerra). Ma la borghesia e il suo clero approfittano delle condizioni favorevoli alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari nella “guerra contro il terrorismo”. Le organizzazioni e le forze che nei paesi oppressi, devastati e aggrediti dalla comunità internazionale e dai suoi governi resistono alle operazioni devastanti e alle spedizioni criminali dei governi dei paesi imperialisti, portano la guerra nei paesi imperialisti con le armi di cui dispongono: gli attentati sono le armi di cui esse dispongono. Finché sono mobilitati e diretti dai gruppi reazionari e guidati dalle ideologie reazionarie che oggi sono alla testa della resistenza dei paesi oppressi ai gruppi imperialisti, anche i combattenti che la resistenza arruola nei paesi imperialisti, non possono fare di meglio. Solo la rinascita del movimento comunista e lo sviluppo della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti daranno anche a questi combattenti un altro indirizzo e metodi di lotta selettivi e più efficaci.

Noi nella situazione attuale, nell’immediato non siamo in grado di evitare questo sviluppo: come dei semplici cittadini non sono in grado di evitare che le persone ridotte in miseria e che non accettano di morire di miseria, rubino, rapinino e per far fronte alla loro miseria ricorrano ad altre simili vie che colpiscono soprattutto i membri delle masse popolari (i quali sono meno difesi dei membri della borghesia e del clero).

Solo la crescita della rivoluzione socialista può cambiare il corso delle cose.

  1. Nel nostro paese l’adesione alla “guerra al terrorismo” i vertici della Repubblica Pontificia la fanno alla chetichella (con Renzi ora, come prima con i governi Berlusconi e con quello D’Alema ancora prima),

– per la presenza della Corte Pontificia (un’aperta e dichiarata partecipazione alla “guerra al terrorismo” creerebbe problemi al mantenimento della sua direzione sulle masse popolari, indebolirebbe la sua egemonia già in calo e contrasterebbe con la “operazione Bergoglio” che una parte della Chiesa sta conducendo per salvaguardare il suo particolare ruolo),

– perché nel nostro paese esistono più centri di potere sovrani (in particolare gli imperialisti USA e sionisti e la criminalità organizzata) con interessi contrastanti e in scontro tra loro e una aperta promozione della guerra implicherebbe la rottura della finzione della legalità costituzionale, e di questo uno o l’altro dei gruppi della classe dominante potrebbe avvalersi per mobilitare al suo seguito le masse popolari contro i gruppi avversari,

– perché l’opposizione alla guerra ha delle radici abbastanza solide tra le masse popolari del nostro paese.

Le condizioni per la mobilitazione reazionaria delle masse popolari si sono rafforzate anche nel nostro paese, ma le due vie (mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria) restano entrambe ancora aperte. I vertici della Repubblica Pontificia non sono ancora nelle condizioni di (non hanno ancora creato le condizioni necessarie per) reprimere militarmente su larga scala un vasto movimento popolare di insubordinazione e boicottaggio delle leggi e delle misure del loro governo. Non è ancor deciso quale delle due strade imboccheranno le masse popolari del nostro paese e quindi noi dobbiamo tener conto che entrambe sono possibili e lottare con decisione perché imbocchino la prima.

Creare le condizioni per costituire il Governo di Blocco Popolare oggi nel nostro paese è la linea per avanzare nella rinascita del movimento comunista e nella rivoluzione socialista e pone anche le premesse migliori per far fronte alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari se la seconda strada dovesse prevalere (e noi comunisti fossimo quindi costretti ad abbandonare la linea della costituzione del GBP e adottare una linea per far fronte all’adesione di un’ampia parte delle masse popolari alla “guerra al terrorismo”).

  1. La creazione delle condizioni per il Governo di Blocco Popolare si svolge in un contesto in cui diventa più aperta la corsa tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria (“guerra al terrorismo” e stato d’emergenza). Quindi nella nostra azione

– dobbiamo denunciare sistematicamente e senza riserve le responsabilità della comunità internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti e, per quanto ci riguarda, dei vertici della Repubblica Pontificia per la diffusione della guerra nel mondo, contrariamente a quanto fa la sinistra borghese che concentra i suoi strali contro gli autori degli attentati, alimentando in questo modo il tentativo di aggregare le masse popolari intorno alle autorità dei paesi imperialisti in nome della “guerra al terrorismo”;

– far valere che chiedere che i governi dei gruppi imperialisti pongano fine alla guerra, supplicarli, inveire contro di loro, minacciare, esortare, scongiurare, supplicare, esigere, proclamare, strepitare, dimostrare nelle strade e nelle piazze perché essi cambino strada, ecc. significa ingannare il popolo, infondendogli false speranze, ritardando il giorno in cui vedrà chiaro, fargli in realtà accettare per intanto la continuazione della guerra. Questa guerra non è sorta e non dilaga per volontà di questo o quel governo, di questo o quel gruppo imperialista, ma è come il fetore che promana da un cadavere in decomposizione.

  1. Combattere per la pace oggi significa principalmente promuovere l’organizzazione delle masse popolari, in primo luogo dei lavoratori delle aziende capitaliste (cioè degli operai) perché in ogni paese imperialista approfittino delle condizioni favorevoli che concretamente esistono in quel paese e instaurino un loro governo d’emergenza.

Tutte le altre forme di lotta per la pace, di protesta contro la guerra hanno effetti positivi solo se il movimento comunista le combina, in altre parole se noi le combiniamo, con l’unica efficace forma di lotta contro la guerra e per un mondo in pace, se le facciamo servire come strumenti ausiliari della rivoluzione socialista, come spunti e rivoli che alimentano la rivoluzione socialista. In caso contrario, da sole, le denunce, le rivendicazioni e le proteste producono effetti negativi. La denuncia senza proposta di soluzione, in questo come negli altri terreni (l’inquinamento, l’alterazione climatica, la fame, la disoccupazione, l’emigrazione, la miseria, ecc.), genera a seconda dei casi demoralizzazione, disperazione, rassegnazione, inerzia, assuefazione, cinismo. La rivendicazione e la protesta senza risultati generano demoralizzazione e inerzia, rassegnazione, senso di impotenza: dopo la grande mobilitazione mondiale per impedire la guerra di Bush contro l’Iraq del 2003, il movimento contro la guerra si è via via ridotto (lo stesso con ogni probabilità succederà per la mobilitazione contro il riscaldamento del pianeta dopo la mobilitazione mondiale dello scorso 28 novembre in occasione di COP 21);

– dobbiamo indirizzare l’opposizione popolare alla guerra (quella condotta già anche con mezzi militari) nella lotta contro la guerra di sterminio non dichiarata condotta dalla borghesia contro le masse popolari, contrariamente a quanto fanno la sinistra borghese e recentemente anche il Vaticano (le dichiarazioni di papa Bergoglio sulla “terza guerra mondiale a pezzi” sono esemplari): essi cercano di distogliere l’attenzione delle masse popolari dalla guerra di sterminio non dichiarata (che le colpisce direttamente e su vasta scala) a cui esse possono e devono far fronte e deviarla verso la guerra militare a cui non possono far fronte se non fanno fronte alla prima.

  1. La sinistra borghese per lotta contro la guerra intende dimostrazioni e altre forme di denuncia e protesta (denuncia-rivendicazione-protesta). Le masse hanno avuto tempo e modo (in particolare con le mobilitazioni del 2003) di rendersi conto che questa “lotta contro la guerra” non serviva a niente e gradualmente l’hanno disertata: ora questa “lotta contro la guerra” non c’è più. Ovviamente, ma è legge del movimento reale della società, le masse non hanno discusso, stabilito che fare dimostrazioni contro le guerre (stile 2003) non serve a niente e lasciato perdere: se le cose si svolgessero così, non andrebbero come vanno. Nella realtà, le masse popolari si appassionano a una lotta se rende; altrimenti, se non rende e chi la promuove non cambia registro, l’abbandonano. Gli esponenti della sinistra borghese propongono di riprenderla, senza degnarsi di capire e spiegare perché la lotta di un tempo ha portato al mondo di oggi con la guerra sempre più diffusa. Perché mai oggi dietro suo invito le masse popolari dovrebbero tornare a quella lotta di ieri, che si è mostrata inefficace? La lotta contro la guerra di sterminio non dichiarata finalizzata a costituire un governo di emergenza popolare (nell’immediato a creare le condizioni per la sua costituzione) è l’unica reale, efficace, non illusoria, non retorica lotta contro la guerra imperialista: contro la guerra che la comunità internazionale dei gruppi imperialisti americani, sionisti ed europei sta conducendo nel mondo (direttamente e per interposta persona).

Compagni, l’evoluzione del corso delle cose ci pone in modo più pressante di fronte alla necessità e alla responsabilità di trasformare le nostre idee e la nostra condotta per essere all’altezza dei nostri compiti e far fronte agli avvenimenti! Apprendere la scienza comunista, assimilarla e usarla nella nostra azione è la cura per superare le residue concezioni e atteggiamenti da FSRS (Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista), che sono alla base del dogmatismo e del settarismo nelle nostre file e le residue concezioni e atteggiamenti da “sinistra della sinistra borghese”, che alimentano movimentismo, eclettismo e liberalismo nelle nostre file. E’ la cura contro quella malattia le cui manifestazioni sono indicate nel n. 51 de La Voce del (n)PCI: “la tendenza a dire, a professare (cioè inalberare e lanciare) parole d’ordine e concezioni più ‘rivoluzionarie’ dell’attività che effettivamente si compie”, “a proclamarsi comunisti ma operare a naso, a buon senso, alla cieca”, “a proclamare e venerare gli scritti dei fondatori e dei maggiori esponenti della scienza comunista, a propagandare la scienza comunista come dottrina a cui credere e da professare anziché usarla come guida per comprendere la realtà e per trasformarla”.  È una malattia, come dice giustamente il (n)PCI, “ancora diffusa anche nelle file della Carovana, dobbiamo ancora debellarla. E i tempi stringono, il corso delle cose non lascia alibi, la crisi economica, l’emigrazione, la disgregazione sociale, la guerra premono alle porte”.

 

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