A due giorni dalle importanti mobilitazioni in Mali per chiedere la fine dell’occupazione militare francese (perpetuata con la scusa fasulla del terrorismo) e l’abolizione del criminale sistema del Franco CFA, pubblichiamo questa intervista a un operaio comunista di origine senegalese che vive e lavora nel nostro paese ed è in prima linea nel movimento di lotta antimperialista che cresce e si organizza. Nell’intervista emerge come, approfittando dell’indebolimento del movimento comunista cosciente e organizzato e dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, gruppi e Stati imperialisti hanno potuto riprendere a perpetrare la devastazione e il saccheggio (aprono miniere, installano piantagioni, “ripuliscono” la terra dalle popolazioni che ci abitano, vi delocalizzano aziende, impongono opere pubbliche e altre operazioni speculative) e la guerra (con operazioni militari dirette e finanziando e armando “signori della guerra” indigeni) nei paesi oppressi. La prima ondata, e in particolare l’esperienza della rivoluzione cinese, aveva dato uno slancio fondamentale ai movimenti di emancipazione dei Paesi oppressi. Tuttavia, l’intervista dimostra principalmente come oggi una seconda ondata rinasca. Il mondo dei padroni è in fiamme e nei paesi oppressi cresce, così come nei paesi imperialisti, la resistenza spontanea delle masse popolari. Le masse popolari dei paesi oppressi sono tutt’altro che passive e rassegnate. Anche in Italia nascono in varie provincie sezioni locali di organizzazioni come il PASTEF, il Partito dei Patrioti Senegalesi per il Lavoro, l’Etica e la Fraternità, che l’intervistato sostiene attivamente.
Agli immigrati che oggi dall’Italia si organizzano per liberare i propri paesi di origine dal giogo neocoloniale noi diciamo: unitevi alla lotta per l’istaurazione di un Governo di Blocco Popolare in Italia! Il governo di emergenza popolare in un paese imperialista come l’Italia, una volta insediato, di per sé, con la sua sola esistenza, sconvolgerà il processo di ricolonizzazione che la Comunità internazionale ha in corso e darà forza alle forze rivoluzionarie e progressiste dei paesi di tutto il mondo. D’altra parte accoglierà gli immigrati, li metterà tutti a lavoro come metterà a lavoro tutti i lavoratori autoctoni (piena occupazione: questa è la vera, unica lotta al degrado e al razzismo) e armerà (concezione ed esperienza di lotta) quelli disposti a ritornare a fare la rivoluzione nel loro paese d’origine. Inoltre, instaurerà con tutti i paesi e le forze politiche in lotta per liberarsi dal giogo dell’imperialismo relazioni di sostegno e solidarietà.
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Noi diciamo che i lavoratori immigrati vivono una doppia oppressione, quella di classe e quella legata alla loro provenienza. Ci puoi parlare della tua esperienza di lavoratore immigrato qui in Italia?
Sì, l’oppressione di classe è universale perché in tutti i paesi capitalisti del mondo i lavoratori subiscono l’oppressione dei padroni, dello Stato, della borghesia, del sistema. Questo è un problema globale, questa è la verità. Gli stranieri però vivono un’oppressione ulteriore, particolarmente qui in Italia, un paese imperialista. Lo si è visto bene quando è arrivata la legge Bossi-Fini. Prima era più facile ottenere i documenti e rinnovarli. Con questa legge in Italia si è cominciato praticamente a vendere i documenti. Questo voglio proprio che lo scrivi. Varie volte il governo Berlusconi ha fatto la sanatoria e poi i decreti-flussi, per cui per far venire una persona dovevi pagare, pagare, pagare. Le persone si indebitavano pur di trovare i soldi. Per uno che lavora qui i documenti servono per lavorare e se non lavori devi andartene o sei costretto all’illegalità. Anche se lavori qui – mettiamo – 5 anni ma perdi il lavoro, non hai comunque il diritto al documento indeterminato. Per averlo servono un sacco di anni di lavoro. I politici, soprattutto la sinistra, potevano cancellare questa legge che è proprio criminale contro chi lavora. Ho visto gente che è stata 20 anni qui, lavorando e pagando tasse, che è stata mandata via e ha perso tutto, senza poter recuperare nemmeno un euro dei propri contributi. Pensi che questo sia giusto? Cioè, uno che lavora qui 40 anni e torna al suo Paese perde i contributi. Servirebbe una convenzione con l’Italia. Sono pochi i paesi extra-UE che hanno una convenzione con l’INPS, e nessuno di questi è della zona dell’Africa Nera. Questo è gravissimo. Serve un progetto comune, che coinvolga tutti i Paesi dell’Africa Occidentale. I paesi che sono raggruppati nella CEDEAO, o ECOWAS in inglese[1], e che comprende paesi importanti per l’Italia come il Senegal, la Nigeria, la Costa D’Avorio (per esempio l’impresa ENI è presente in tanti paesi dove c’è petrolio) devono fare pressioni per far firmare una convenzione su questo.
Ci sono organizzazioni politiche attive qui in Italia che fanno gli interessi dei lavoratori senegalesi?
C’è un partito nuovo che si chiama PASTEF, che sta per “Patrioti Senegalesi per il Lavoro, l’Etica e la Fraternità”. Non dico che siano di sinistra o destra, ma dal punto di vista della pratica sono antimperialisti: sono contro il neoliberismo, sono per la presenza dello Stato nei settori strategici, contro la moneta CFA, contro le basi militari straniere in Africa, anche e soprattutto in Senegal, contro la politica delle multinazionali che sfruttano tutto. Sono contro il neocolonialismo che è alla base di tutti i problemi. Quello che è particolare di questo Partito è che lo ha creato un giovane ispettore della finanza che ha denunciato un sacco di crimini finanziari nel sistema, per cui l’hanno rimosso, proprio per mano del Presidente, dalla funzione pubblica. Non potrà più lavorare nello Stato, mai più. È successo tre anni fa. Si chiama Ousmane Sonko, aveva già un sindacato e poi ha creato il Partito per combattere il sistema, perché ha detto che tutti i partiti che sono lì sono corrotti e alcuni vogliono semplicemente prendere il posto dei precedenti. Per esempio, c’è un partito che si dice socialista, è membro dell’Internazionale socialista, ma non è affatto socialista e collabora con il governo liberale.
Che tipo di organizzazione ha il PASTEF in Italia?
Alcuni non hanno mai fatto attività politica e anche i capi non hanno esperienza, anche perché spesso nel mio pese chi ha esperienza è corrotto. Sono vergini della politica. Io sto lavorando con loro e sono nel consiglio di direzione di una sezione locale. Ormai c’è una sezione del PASTEF quasi in ogni provincia. Nel 2017 c’erano le elezioni legislative, Sonko ha avuto 37.000 persone che hanno votato per lui, la prima volta che si è presentato. I votanti in Senegal sono 5 milioni: nelle elezioni presidenziali del 2019 ha moltiplicato per 20, passando da 37.000 a 700.000 voti. 700.000 voti! Ma il sistema era proprio mal organizzato. Poi a tanti qui all’estero non è stato permesso di votare bloccando la carta di identità al consolato, perché la polizia politica conosce la gente e sa che tutti i giovani votano per loro, soprattutto quelli che sanno usare bene internet. Una particolarità importante del PASTEF è che i soldi vengono direttamente dalle sottoscrizioni che fanno le persone. Sono stati raccolti raccolto quasi 200 milioni CFA: 320 mila euro che la gente ha dato. Nella mia città, per esempio, c’è gente che ha dato 100/200/300 euro per sostenerlo. Diciamo che quindi la gente dà soldi e questa è una cosa nuova in Africa. Prima c’erano i partiti marxisti-leninisti, ma ora sono pochi in Africa i partiti proprio rivoluzionari, dove i militanti prendono i soldi dalle loro tasche per darli al Partito. Quello che avviene oggi è che chi è contro il potere viene in America o in Francia, firma delle cose e prende soldi e quando prende il potere fa peggio di quello che era prima: si cambia per non cambiare nulla. Noi invece vogliamo l’alternativa, vogliamo proprio una rivoluzione. Questa gente dà soldi perché crede veramente che con Sonko si possa cancellare il sistema.
Qual è il rapporto tra la lotta politica che il PASTEF fa in Italia e la lotta in patria, in Senegal?
Siamo qui in Italia e secondo me bisogna combattere qui e combattere giù. Combattere qui contro tutto quello che abbiamo denunciato: contro l’oppressione di classe e l’oppressione contro i lavoratori stranieri e gli stranieri in generale. E combattere anche giù per cambiare, perché uno che è qui manda soldi alla famiglia e la famiglia lo ascolta. I senegalesi che sono fuori dal Senegal nella maggior parte hanno votato per Sonko. Ha vinto anche nei paesi dove non è andato a fare campagna elettorale. In Cina per esempio, in Turchia, in Egitto, in Arabia Saudita, ha vinto proprio! Qui è intorno al 50% perché a tante persone è stato impedito di votare. Qui ha vinto una coalizione, dice che è all’opposizione, ma in realtà è l’alternativa che hanno i francesi contro i progressisti. Sai che loro hanno sempre qualcuno di riserva, quando uno sale lo cambiano subito, così fanno in Africa. Quello che ha vinto qui si chiama Idrissa Seck[2], è stato primo ministro liberale. Dal 2000 fino ad ora ci sono stati sempre liberali, erano i socialisti di prima, ma lavorano con la Banca Mondiale, appoggiano le basi militari. Sono “socialisti neocolonialisti”!
Secondo te i lavoratori africani stabilmente in Italia tendono a mobilitarsi più sul problema del Franco CFA e del neocolonialismo che su questioni come il documento e le condizioni di lavoro qui in Italia?
Ascolta, sono troppo sensibili a quello che succede nei loro Paesi. In Francia stanno lì anche 20 anni senza tornare, in Italia tornano giù ogni anno. Sonko, il candidato del PASTEF, ha detto che quando è venuto qui ha ricevuto più sicurezza che altrove: l’hanno ricevuto all’aeroporto con una 4×4 blindata, hanno pagato tanti senegalesi, si sono organizzati anche se non avevano mai fatto politica: 80 guardie del corpo tipo buttafuori per il suo meeting all’Hotel Fiera a Brescia il 30 novembre 2018, con 6 guardie del corpo italiane armate professioniste. Solo in 4 persone sapevano dove dormiva, nemmeno io lo sapevo. Questa è gente che non aveva mai fatto politica eppure vedi cosa sono stati in grado fare. Io dico di cominciare da quello che c’è nell’attualità in Africa per mobilitarli. È un problema di pedagogia: sono qui da 10, 20, 30 anni e non sono mai riusciti a fare qualcosa di così concreto. Partiamo dall’Africa e dopo aggiungiamo un’altra piattaforma che uniremo alle rivendicazioni sui paesi d’origine. Se riesci ad unire questa gente contro il neocolonialismo, contro il Franco CFA, alla fine parli anche dei documenti e della discriminazione in Italia e riesci anche a dire ai partiti italiani che sono contro queste cose di fare fronte con te.
Quando mi hai descritto il PASTEF – antimperialista, contro le multinazionali, l’FMI e la presenza delle basi straniere ecc. – ho pensato che ci sono in Italia altre organizzazioni panafricaniste su posizioni simili. Per esempio il 14 settembre a Milano il CODAI – la Comunità della Diaspora Africana in Italia – ha fatto una manifestazione contro il Franco CFA, a cui ha aderito Urgences Panafricanistes di Kemi Seba; a Roma, a giugno, c’era Mohamed Konare e solidali. Ci sono rapporti tra queste organizzazioni?
Allora, il problema è che questa gente deve lavorare insieme. Perché non possono lavorare con il PASTEF, che è in tutta Italia? Non credo non vogliano farlo, non dico questo, anche perché dal punto di vista politico e organizzativo il PASTEF è il partito più strutturato e diffuso. Anche le altre organizzazioni sono serie, sia Urgences Panafricanistes, sia Konare, sia l’organizzazione della Costa d’Avorio che lotta per far rilasciare Gbagbo [il Fronte Popolare Ivoriano, NdR]. Io ho sempre lavorato con loro e conosco tutti i loro capi, anche in Europa. Però come mai tutta questa gente non può incontrarsi? Non so se hanno provato, ma mi chiedo perché non fare una piattaforma insieme contro il Franco CFA e contro il terrorismo. Quelli che sono a Milano, a Firenze, devono organizzarsi e mettere insieme una piattaforma comune per la liberazione dell’Africa.
Qual è il ruolo che devono avere i comunisti africani oggi rispetto a organizzazioni antimperialiste di massa come il PASTEF?
Il PASTEF è un partito di massa che ha un ruolo fondamentale se vuoi arrivare a un governo che non sia sotto il giogo del neocolonialismo. Un governo così ha bisogno di un grande movimento di massa anticapitalista e antimperialista ed è questo che protegge masse e comunisti. Dove non c’è un movimento di massa, come in Rwanda, se parli sei morto. Non c’è una radio libera, un giornale libero, non c’è l’opposizione. Non puoi dire niente, tutti sono sorvegliati: è un sistema fascista. Molti senegalesi pensano che Kagamé in Rwanda sia un esempio da seguire, ma in realtà è un fascista. Ci sono le prove: ha ammazzato quattro presidenti africani, è un agente della CIA, è lui che ha preso il posto di Mobutu e fa il lavoro sporco che Israele fa in Medio Oriente. Tutti i marxisti-leninisti che hanno lavorato con lui sono stati ammazzati. Se rimani in Africa ti ammazzano, devi venire in Europa. Questo ti fa capire anche che i comunisti rispetto a organizzazioni come il PASTEF devono avere il ruolo di organizzatori e formatori. Se parli con molti militanti del PASTEF ti diranno che vogliono cancellare il sistema, ma non riescono a spiegarti la geopolitica in termini di strategia imperialista. Prendi l’esempio di quello che ad esempio è successo in Costa d’Avorio. Nel 2010 sulle questioni ivoriane tutti in Senegal sostenevano il liberale Ouattara contro Gbagbo, che era un panafricanista, perché Ouattara diceva che era musulmano e che il problema era che in Costa d’Avorio non vogliono un musulmano come presidente. Questo era una bugia: se in Mali, Burkina o in tutto il Sahel ci sono musulmani che hanno sostenuto il liberale Ouattara, in Algeria la popolazione ha sostenuto Gbagbo, perché hanno un livello di politica superiore e hanno capito cos’è il neocolonialismo. Adesso anche in Senegal è cambiata la situazione ma questo perché i marxisti hanno fatto un lavoro usando le organizzazioni di massa. Per esempio c’è un movimento che si chiama FRAPP, “Front pour une Révolution Anti-impérialiste Populaire et Panafricaine”, che è gestito da un giovane militante che si chiama Gui Marius Sagna, che era il direttore della campagna elettorale del PASTEF durante le elezioni dei deputati. In questi giorni hanno fatto una grande manifestazione contro quello che è successo in Guinea-Conakry [la Repubblica di Guinea], dove il presidente ha fatto due mandati e vuole cambiare la Costituzione, la quale dice che non può più presentarsi. Subito c’è stata una grande manifestazione a Dakar di quasi 100.000 persone.
Com’è il movimento comunista in Senegal?
Dall’inizio della politica in Senegal (dalla fine della II GM) alla caduta del Muro di Berlino quasi la maggioranza dei partiti all’opposizione erano partiti marxisti. C’erano quelli pro-Albania, pro-Cina, pro-Unione Sovietica – quest’ultimo riceveva soldi dal PCUS ed aveva più possibilità finanziarie. Ma i maoisti sono quelli che hanno più lavorato nel mondo contadino e anche operaio. Sono riusciti anche a controllare il movimento degli studenti per quasi 30 anni, oltre che i sindacati: erano forti nei sindacati degli operai, degli insegnanti, dei contadini. Hanno creato anche delle ONLUS, che erano un modo per lavorare con le masse, per tagliare il rapporto tra Stato neocoloniale e le masse e insegnare alle masse ad essere autonome. Per esempio c’era uno della nostra gente, dei maoisti, che ha fatto una grande cooperativa al sud-est per produrre la banana. Fu un’esperienza bellissima per organizzare i contadini e anche le donne a produrre e vendere la banana con cooperative autonome. Questo dal 1970 alla caduta del Muro. C’era anche un’organizzazione delle donne fortissima, femminista, che ha fatto cambiare proprio la legge sulla famiglia. L’organizzazione si chiama Yeewu Yewwi, tante donne della piccola borghesia che però hanno combattuto l’oscurantismo feudale. Era proprio un’organizzazione anti-feudale che ha combattuto anche l’islamismo radicale. Si trattava di numerosi gruppi di sinistra, in alcuni casi di ispirazione maoista, che si sono anche combattuti, ma che alla base collaboravano. In Senegal c’era il partito proprio maoista, l’organizzazione maoista clandestina, il Reenu Réew, gente che ha incontrato Mao, anche Ho Chi Minh, Che Guevara, alcuni sono andati in Guinea Bissau e Angola, a sostenere a lotta armata. Alcuni hanno lavorato anche con Sankara. Poi c’era il partito legale, l’And-Jëf, che era un partito antifeudale, antimperialista e anticapitalista, che prende tutte la base, va alle elezioni, cerca di avere consigli comunali. Ma chi entrava ad esempio nei consigli comunali, poteva rendersi conto che non aveva niente da fare lì. Hanno la maggioranza e dopo ti cooptano nella loro criminalità. Alla fine ti senti male e prendi il loro profumo di bestia. Il parlamentarismo della borghesia è fallito, anche per la borghesia stessa: non sanno cosa fare con questo parlamentarismo, hanno sempre problemi. Cosa vanno a fare i comunisti in queste istituzioni se non combatterle – da fuori? Cosa voi farci dentro, alla fine? I capi del movimento comunista dopo la caduta del muro sono andati via, hanno cambiato tutto, alla fine hanno cancellato il marxismo e hanno ripudiato tutto, è finita. Oggi per ricostruire anche nella prospettiva del socialismo bisogna partire da questi movimento come il PASTEF dove ci sono tanti giovani che vogliono cambiare il sistema ma non hanno esperienza politica.
Cosa significa per te maoismo?
Il maoismo è una versione nuova del marxismo, niente di più. Diciamo che Mao ha portato tanti punti nuovi, che permettono di non cadere nella trappola del revisionismo. Per esempio, tra le tante cose, il fatto che lotta di classe non si ferma mai, che anche dopo la rivoluzione socialista non finisce la lotta di classe, che un nemico del proletariato può essere anche dentro il Partito, che una cosa bella può diventare una cosa brutta, la dialettica. Il maoismo ha avuto anche un fondamentale ruolo di spinta nella lotta di emancipazione dei popoli oppressi dall’imperialismo. Per esempio vediamo la resistenza che il Vietnam è riuscito a tenere in 30 anni di imperialismo americano. Infatti Mao ha portato di nuovo la questione della rivoluzione nei paesi di periferia, che significa, secondo la teoria di Samir Amin, l’economista maoista egiziano, che c’è il Centro capitalista e la Periferia, e che è sempre stato così da cinque secoli. C’è il Centro e c’è la Periferia, per cui in tutto quello che facciamo noi dalla periferia lo facciamo perché stiamo lavorando per il centro. Amin parlava di “disconnessione”, di staccarsi proprio. Diceva che il centro ha cinque monopoli: di soldi [monopolio sulla finanza]; di nucleare [monopolio sui mezzi di distruzione di massa]; della tecnologia scientifica e della ricerca; il monopolio della comunicazione, i satelliti [monopolio sui media globali + monopolio dell’accesso alle risorse naturali]. Con questo riescono a controllare il mondo, per fare qualcosa di positivo e liberarsi bisogna disconnettersi. Quando ti stacchi non dipendi più dal Centro capitalista. Per esempio Gbagbo voleva fare la moneta della Costa D’Avorio. Sai che da sola la Costa D’Avorio fa il 47% della moneta CFA, se avesse fatto la sua moneta sarebbe caduto il Franco CFA. Allora dal Centro l’hanno combattuto, anche perché ha pagato tutti i debiti della Costa d’Avorio, non voleva più toccare i soldi della Banca Mondiale e voleva andare avanti con le proprie risorse. Quello che diceva Samir Amin, lo diceva anche Sankara, per quello lo hanno ammazzato, o anche Samora Machel in Mozambico, che ha fatto la stessa fine. Sankara diceva: “développement endogène ou autocentré”: non serve produrre cotone per venderlo, devi produrlo prima per la soddisfazione della popolazione, capisci?
Noi diciamo che la prima ondata della rivoluzione socialista mondiale si è esaurita principalmente perché i comunisti dei paesi imperialisti non sono riusciti a fare la rivoluzione in un paese imperialista e che la seconda ondata della rivoluzione socialista mondiale sarà quella che porterà i comunisti a fare la rivoluzione in un Paese imperialista. Tu cosa ne pensi?
Secondo me è importante e la rivoluzione nel Centro. Per esempio dopo la seconda guerra mondiale in Francia i comunisti non hanno preso il potere quando l’esercito rosso era a Berlino. In questo modo hanno lasciato De Gaulle prendere il potere, malgrado fossero abbastanza forti per evitarlo, fare la guerra rivoluzionaria e prendere il potere. Hanno lasciato De Gaulle prendere il potere, fare il neocolonialismo in Africa, fare la guerra in Indocina, fare la guerra in Algeria. De Gaulle ha bombardato la Cabilia (una regione del nord – est dell’Algeria) e ha fatto la guerra lì, ha fatto fuori e ammazzato un sacco di progressisti in Africa. Tuttavia il pericolo delle tue parole è che quelli che sono alla periferia pensino che devono aspettare che arrivi la rivoluzione nel centro per cambiare qualcosa. Per esempio, in Africa alcuni paesi hanno avuto partiti rivoluzionari, ma hanno avuto problemi con il partito comunista francese, che diceva che dovevamo fare prima la rivoluzione in Francia e poi liberare le colonie. E lo vedi come è andata a finire.
[1] In francese, “Communauté économique des États de l’Afrique de l’Ouest” (CEDEAO), in inglese “Economic Community of West African States” (ECOWAS).
[2] Del partito liberale REWMI, prende il 20,51% alle elezioni presidenziali del 24 febbraio 2019, risultando il secondo eletto dopo Macky Sall (Alleanza per la Repubblica, 58,26%) e prima di Ousmane Sonko (PASTEF, 15,67%).