Mentre gli Agnelli – Elkann portavano a compimento la fusione tra FCA e PSA / Peugeot da cui è nato il terzo monopolio del mercato automobilistico mondiale, in ottobre negli stabilimenti ex FIAT di FCA ci sono stati ben tre incidenti mortali sul posto di lavoro. Il 1° Ottobre nello stabilimento di Cassino (Lazio), nel reparto manutenzioni, è morto Fabrizio Greco, schiacciato tra due presse. Il 26 Ottobre nello stabilimento SEVEL di Atessa (Abruzzo) è morta a causa di un infarto Antonietta Cadoni, impiegata sulle linee dello stabilimento considerato “numero uno” per produttività e danni fisici riportati dagli operai. Il 29 Ottobre nello stabilimento MOPAR di None (Piemonte), uno dei depositi regionali di ricambistica degli stabilimenti FCA, è morto un altro operaio, anch’egli colto da malore mentre era in produzione. Da segnalare che sui media non c’è più traccia di quest’ultimo incidente: nelle settimane successive all’accaduto sono addirittura scomparsi dalla rete gli articoli delle cronache locali che nell’immediato avevano riportato la notizia, con ogni probabilità silenziate da FCA.
“Lavorare in sicurezza al primo posto” recita il primo dei dieci principi del World Class Manifacturing (WCM), il principale metodo di organizzazione del lavoro vigente in FCA e nel resto delle aziende del gruppo Agnelli – Elkann. Tuttavia la realtà, come dimostrato dal bollettino di guerra di ottobre, è decisamente l’opposto. L’organizzazione del lavoro del WCM e il regime di intenso sfruttamento della forza lavoro degli operai che ne deriva sono il principale fattore di messa a repentaglio delle condizioni di sicurezza in queste aziende. Un regime di sfruttamento che descriviamo prendendo in prestito le parole di Delio Fantasia, operaio dello stabilimento FCA di Cassino che nel suo libro Oltre i cancelli così descrive l’organizzazione del lavoro nella sua azienda:
“Faccio un piccolo esempio per capirci meglio. Supponiamo che io sia addetto al montaggio delle spazzole tergicristallo e per svolgere le operazioni debba prelevare le spazzole da un contenitore e fissarle al parabrezza dell’automobile. Ebbene, il professor Hajime Yamashina consiglia di avvicinare il più possibile il cassone con il materiale da montare e mantenerlo sollevato da terra ad altezza d’uomo, in modo che il lavoratore compia meno passi e meno piegamenti durante l’intera giornata: si risparmiano svariati centesimi di secondo a lavorazione. Fin qui nulla da ridire, se non fosse che il tempo risparmiato con questo correttivo non equivale a un minor sforzo per il lavoratore, ma deve essere impiegato per compiere altre operazioni, tipo montare anche lo specchietto retrovisore, in modo da essere totalmente saturo. Per il lavoratore, quindi, non si tratta di un minore sforzo, ma di un netto aumento del numero delle lavorazioni da compiere. Ora provate a moltiplicare il tempo risparmiato con questo banale espediente, ovvero avvicinare di un metro il cassone con il materiale da montare, e oplà, si perdono in un sol colpo un centinaio di posti di lavoro. Loro la chiamano ottimizzazione dei tempi e taglio agli sprechi, ma in realtà è solo un modo per aumentare la capacità produttiva con tagli dei tempi e del personale”.
Questa organizzazione del lavoro improntata al massimo profitto per i padroni e al massimo sfruttamento della forza lavoro è il principale, ma non l’unico, dei fattori che nuocciono alle condizioni di sicurezza di chi lavora in FCA e nelle altre aziende del gruppo Agnelli-Elkann. Sicurezza che è d’altro canto minata dal sistema di abuso e disconoscimento delle malattie professionali a danno degli operai con ridotte capacità lavorative. Sicurezza che è infine attaccata attraverso il regime della cassa-integrazione e dei contratti di solidarietà, le principali leve della morte lenta delle aziende FCA in Italia, che relega alla marginalità sociale e arreca danno alla condizione psico-fisica degli operai periodicamente estromessi dalla produzione. Negli stabilimenti del gruppo Agnelli / Elkann la sicurezza è di certo al primo posto nella classifica dei diritti che vengono negati agli operai. Tutto ciò mentre i padroni portano avanti i loro progetti di “morte lenta” della produzione automobilistica in Italia, dilapidano miliardi per impreziosire i giocattoli di famiglia, acquisiscono gruppi editoriali come fatto di recente con GEDI, moltiplicano speculazioni finanziarie in giro per il mondo.
È prendendo spunto da questa realtà che nella prima metà del 2020 daremo luogo a una campagna di agitazione e propaganda sul tema della sicurezza sul lavoro nelle aziende. Per sostenere ogni operaio che non vuole rassegnarsi alla negazione del proprio diritto a un lavoro dignitoso e sicuro. Per alimentare la costituzione di organizzazioni operaie che come i Consigli di Fabbrica, sorti a seguito dell’Autunno Caldo del ’69, promuovano il controllo operaio su tempi e ritmi di lavoro. Le organizzazioni operaie sono gli anticorpi necessari per impedire che nelle aziende degli Agnelli / Elkann si muoia di lavoro, ci si infortuni o ci si ammali come avviene oggi. Esse sono lo strumento di cui gli operai devono dotarsi per prevenire le mosse degli Agnelli / Elkann che con una mano peggiorano di giorno in giorno le condizioni di lavoro e di sicurezza e con l’altra delocalizzano la produzione all’estero.
Le aziende ex-Fiat (oggi spezzettate tra FCA, CNHi, MOPAR e altre numerose denominazioni benché i padroni restino gli stessi) erano e restano fra le più grandi concentrazioni operaie del paese. Negli stabilimenti ex-Fiat la classe operaia del nostro paese, guidata dal vecchio movimento comunista, ha scritto alcune fra le pagine più alte e importanti della storia della sua lotta contro la borghesia e il clero. Oggi il movimento comunista che rinasce sulle macerie lasciate dai revisionisti moderni e dalla sinistra borghese ha il compito di legarsi alla loro resistenza perché tornino a far valere la loro forza e a svolgere il ruolo di traino e impulso che hanno sempre esercitato sull’insieme della classe operaia del paese. Non sono gli Agnelli / Elkann ad essere forti, sono gli operai che devono ancora far valere tutta la loro forza.
Invitiamo i lavoratori del gruppo che stanno leggendo, così come gli operai di altre fabbriche, a scrivere a Resistenza per descrivere la situazione della loro fabbrica, per parlare della sicurezza o di altre questioni che sentono il bisogno di trattare e di fare uscire dai cancelli. Il nostro giornale può e deve essere il vostro giornale. Se serve tuteleremo con l’anonimato chi ci scriverà. È un modo per rompere il muro del silenzio e per contribuire attivamente alla campagna che stiamo avviando. È un modo per cercare e trovare insieme le soluzioni ai problemi che vivete in fabbrica.