Quando dal 1969 iniziarono a diffondersi su scala sempre piĆ¹ ampia i Consigli di Fabbrica (CdF) e nel 1970 furono riconosciuti dallo Statuto dei Lavoratori come la forma organizzata degli operai al posto delle Commissioni Interne (strutture di rappresentanza costituite da operai nominati dai sindacati), iniziĆ² in tutto il paese un sommovimento radicale e profondo, durato fino allāinizio degli anni ā80.
I Consigli di Fabbrica sono stati lo strumento attraverso cui centinaia di migliaia di operai hanno iniziato a far valere la forza della loro organizzazione in modo autonomo, a legare, senza mediazioni, le mobilitazioni dentro le aziende con le mobilitazioni allāesterno delle aziende, quelle degli studenti, delle masse popolari dei quartieri, contro il carovita, per il diritto alla casa, contro il fascismo e la repressione.
Stiamo raccogliendo parte di quella esperienza attraverso le testimonianze di chi vi ha preso parte (le āInterviste sui CdFā) affinchĆ© quegli operai parlino agli operai e ai lavoratori di oggi, agli studenti, alle donne, a tutti coloro che cercano una strada per fare fronte ai padroni che chiudono e delocalizzano le aziende, che si oppongono alla cancellazione delle conquiste ottenute con le lotte dei decenni passati, quando il movimento comunista era forte in Italia e nel mondo e che vogliono organizzarsi per la riscossa.
Le interviste verranno pubblicate nella versione integrale sul nostro sito, qui di seguito pubblichiamo stralci delle prime che abbiamo raccolto, selezionati perchĆ© pur sinteticamente consentono di comprendere il ruolo della classe operaia e la sua forza nella trasformazione della societĆ .
Per unāanalisi sullāAutunno Caldo del 1969 consigliamo la lettura dellāarticolo āAutunno Caldo e ruolo dei comunistiā pubblicato su La Voce del (nuovo)PCI n. 63: āDobbiamo usare lāesperienza di quegli anni, per tanti versi gloriosa e ancora viva tra i lavoratori, per rafforzare in ogni operaio e in ogni proletario la comprensione e la convinzione che ĆØ possibile uscire dal marasma in cui la borghesia ci ha portati, che ĆØ possibile organizzarsi per farla finita con il sistema di potere e di gestione della societĆ imposto dalla borghesia, che ĆØ possibile instaurare il socialismo, ma a certe condizioniā.
Intervista a Pietro Vangeli – SAMPAS di Milano
Come funzionava il CdF e che peso politico aveva?
Ogni reparto, da 15 a 30 lavoratori, eleggeva il proprio delegato. Non aveva alcuna importanza la tessera sindacale, ogni delegato era eletto perchƩ aveva la fiducia e il riconoscimento dei suoi compagni. Ed era revocabile in ogni momento. Il CdF era composto da 12 delegati ed era riferimento per tutto: gestione delle ferie, dei permessi, delle malattie lunghe, dei cambi di reparto e dei passaggi di livello, anche se erano molto rari perchƩ il posto era fisso e non venivano cambiate le mansioni con frequenza.
Il CdF faceva riunioni ordinarie, in cui venivano affrontati i temi della gestione e del controllo operaio sulla fabbrica, e riunioni straordinarie quando particolari necessitĆ lo richiedevano. Le decisioni venivano sottoposte alle assemblee di reparto, per questioni attinenti al reparto, o allāassemblea generale per lāapprovazione. La partecipazione agli scioperi era del 100%, in caso di necessitĆ si faceva il picchetto per impedire lāaccesso dei pochi impiegati che sapevamo essere dei crumiri e che provavano a entrare.
Il CdF aveva una stanza per le riunioni, alcuni uffici e anche uno spazio biblioteca per gli operai.
Eā utile ragionare sul fatto che grossomodo, al di lĆ di alcune specificitĆ che cambiavano azienda per azienda e del fatto che ogni CdF si caratterizzava per essere o controllato e diretto dal PCI ā cioĆØ piĆ¹ di destra, piĆ¹ incline a tener conto delle esigenze dellāazienda ā o diretto dai partiti e dalle organizzazioni alla sinistra del PCI, il funzionamento dei CdF era il medesimo per ogni azienda. Quindi provate a moltiplicare il funzionamento di un CdF ā ad esempio un delegato ogni 30 operai, nelle grandi aziende cāerano CdF con centinaia di delegati ā per le fabbriche del territorio, della provincia, della regione e avrete unāidea di come e quanto lāorganizzazione della classe operaia fosse influente nel movimento di tutto il resto delle masse popolari.
Intervista a Roberto Rugi – SbisĆ di Firenze
Comāerano i rapporti con il sindacato e con il PCI?
Con i sindacati andava meglio che con il PCI, perchĆ© il sindacato era in qualche modo interno al CdF e quindi doveva quasi per forza aderire alla sua linea e alle sue iniziative. Invece il PCI aveva un atteggiamento piĆ¹ āortodossoā, ragionava di massimi sistemi anche quando i risultati si ottenevano. Basti pensare allāintroduzione delle mense, dopo il 1969: sembra un piccolo risultato, ma prima si mangiava con la gavetta. Poi le mense diventarono aperte agli esterni e questo fu il grande punto di forza dei CdF, perchĆ© gli operai iniziarono a capire che tutti i problemi non si possono risolvere in fabbrica, quindi iniziarono a guardare alla societĆ : non era difficile allāepoca trovare picchetti operai a difesa degli sfratti, venivano trattati i problemi delle scuoleā¦ si cominciĆ² a capire che la battaglia era unica e collegava tutte le lotte, era allāorigine di ognuna di esse.
Si crearono grossi legami tra i CdF e i movimenti studenteschi, un legame importantissimo fu quello dellāantifascismo: molti erano i presidi o le azioni dei CdF contro i movimenti fascisti e le loro manovre nei quartieri.
Quindi i CdF, oltre a occuparsi dei problemi di fabbrica e del territorio, volevano cambiare la societĆ ?
Certo, anche se non sempre era chiaro che sistemi usare di volta in volta. Per esempio: una volta che abbiamo occupato contro la chiusura tre, quattro, cinque fabbriche, qual ĆØ il passo successivo? O si ricomincia a produrre o diventa un problema. Ci appoggiavamo ai partiti storici della sinistra che erano gli unici che potevano intervenire, e intervenivano, ma sempre secondo le regole e rispettando i limiti imposti dalla societĆ capitalista. Su questo non si riusciva a sfondare, ĆØ stato uno dei principali nodi.
Intervista a Ines Arciuolo ā FIAT Mirafiori, Torino
Come mai si sono esaurite queste esperienze? Per la forza del nemico o per limiti interni al movimento comunista dellāepoca?
Non contano solo i fattori interni. Nel 1980 ci sono stati 23000 espulsi. Vuol dire che gli Agnelli avevano espulso gli scioperanti, la parte piĆ¹ combattiva della fabbrica. Venne decapitato il movimento operaio e quelli che restarono non erano certo le avanguardie. Certo allora la fabbrica era ingovernabile per il padrone ed ĆØ giusto chiedersi come mai si sgretolĆ² la grande forza del movimento operaio in Fiat. Eā chiaro che mancava la direzione politica, mancava il Partito e il sindacato remava contro ed era proprio il sindacato a trattare con il padrone. Ricordo che durante la lotta dei 35 giorni [nel 1980 ā ndr] chiedemmo la trattativa a Milano con il controllo degli operai, ma niente da fare, venne fatta a Roma. Nonostante il voto contrario degli operai i sindacati decisero per i 23mila cassa-integrati.
Intervista a Anna Musini ā FIAT Mirafiori, Torino
Cosa ne pensi dellāobiettivo che come P.CARC perseguiamo di far rinascere una rete di organizzazioni operaie che si ispirino ai Consigli di Fabbrica di ieri?
Ć un obiettivo giusto tanto piĆ¹ nella situazione di adesso in cui gli operai non possono neanche soffiarsi il naso. Anche noi perĆ² uscivamo dal periodo di Valletta. La lotta per il contratto del ā69 fu lāinizio di tutto e il momento piĆ¹ bello della storia dei metalmeccanici, ĆØ stato un momento di propaganda enorme in favore della classe operaia dove lāopinione pubblica torinese era tutta unita coi lavoratori. (ā¦) Ai tempi di Valletta, in Fiat gli operai non avevano i minuti di pausa, con la lotta per il contratto del ā69 ne ottenemmo ben 40. Prima dellāAutunno Caldo in Fiat, a livello di repressione aziendale, cāera un clima come quello che cāĆØ oggi. Le cose cambiarono grazie alle lotte e allāorganizzazione operaia.