Editoriale
Anche senza l’opera e l’azione cosciente e organizzata dei comunisti, le masse popolari si mobilitano contro gli effetti della crisi generale in corso. Si mobilitano per difendere le conquiste, i diritti e le tutele ottenuti con le lotte dei decenni passati e che la borghesia imperialista sta eliminando, si mobilitano per difendere il livello di benessere e civiltà raggiunto negli anni del capitalismo dal volto umano di cui la classe dominante fa carta straccia, si mobilitano per opporsi al degrado materiale, morale e culturale a cui è abbandonata la società, contro la repressione, contro la guerra fra poveri che i padroni tentano costantemente di scatenare.
Senza l’intervento e l’azione cosciente e organizzata dei comunisti ognuna di queste mobilitazioni, indipendentemente dalla volontà, dalle idee e dagli obiettivi di chi la promuove, può diventare terreno di manovre della borghesia imperialista per alimentare questa guerra: per concedere a qualcuno a danno di un altro, mettere in contrapposizione e in concorrenza le rivendicazioni di un settore con quelle di un altro settore delle masse popolari, ecc.
Il ricatto “lavoro o ambiente e salute” ne è un esempio e la questione dell’Ex-ILVA di Taranto incarna bene questa contraddizione.
Aspettare e sperare che il peggioramento della situazione generale e la ribellione spontanea delle masse popolari faccia prima o poi scoppiare la rivoluzione è pertanto diventato, lo è già e lo sarà via via di più, una intollerabile ingenuità.
La storia del movimento comunista internazionale offre molti insegnamenti a riguardo: se i comunisti non si mettono alla testa della costruzione della rivoluzione socialista, se non la dirigono con un piano di guerra, anche quando si presentano le condizioni essi non sono né pronti, né capaci di approfittarne per instaurare il socialismo. Solo nel nostro paese, in 100 anni, tale situazione si è presentata ben tre volte: nel Biennio Rosso (1919 / 1920), con la Resistenza (1943 / 1945) e nel decennio 1968 / 1978.
Sulla base del bilancio della vastissima esperienza del vecchio movimento comunista internazionale e italiano, il (nuovo)PCI e la sua Carovana, di cui il P.CARC fa parte, hanno elaborato la linea per la rivoluzione socialista in un paese imperialista alle condizioni attuali.
Il cuore del discorso è far nascere in tutto il paese organismi operai e popolari
– che si costituiscono nelle aziende capitaliste, nelle aziende pubbliche e nei territori sulla base della necessità di affrontare i problemi provocati dalla crisi,
– che indicando i passi da compiere e le azioni da attuare per risolverli conquistano la fiducia del resto delle masse popolari,
– che iniziano ad affrontarli con i mezzi e gli strumenti che hanno già oggi a disposizione.
A fronte del fatto che le attuali autorità e istituzioni borghesi operano in nome e per conto degli interessi della classe dominante, tali organismi possono assumere – e assumeranno – il ruolo di nuove autorità pubbliche. Ruolo che assumeranno tanto prima e tanto meglio man mano che si consolida e si sviluppa il legame con il movimento comunista cosciente e organizzato.
La rete di organismi operai e popolari legati alla Carovana del (nuovo)PCI costituisce la rete del nuovo potere, l’azione pratica degli organismi operai e popolari costituisce il contenuto della mobilitazione rivoluzionaria che come comunisti dobbiamo favorire, sostenere, alimentare, orientare fino a farla confluire nel fiume della rivoluzione socialista.
Il nuovo potere, che per sua natura nasce piccolo e si sviluppa in modo non uniforme e contraddittorio, a macchia di leopardo, soppianterà il potere delle autorità e delle istituzioni della classe dominante. La rete del nuovo potere diventerà la rete delle nuove autorità pubbliche di cui le masse popolari si fidano, a cui richiedono orientamento, da cui accettano la direzione.
Pertanto chiamiamo gli operai tutti, quelli delle aziende in crisi e a rischio di chiusura o di delocalizzazioni, quelli di aziende che oggi “sembrano in salute”, quelli di aziende grandi e quelli di aziende piccole a prendere spunto, caso per caso, dai problemi più gravi e urgenti che hanno di fronte per iniziare a ragionare sulle possibili soluzioni in modo coerente con i loro interessi e costituire così sul loro posto di lavoro organizzazioni operaie. Chiamiamo i lavoratori delle aziende pubbliche a costituire organizzazioni popolari prendendo spunto caso per caso dai problemi più gravi e urgenti della loro azienda e dai problemi che compromettono la produzione e l’erogazione dei servizi necessari alle masse popolari (utenti).
In ogni caso l’appartenenza o meno al sindacato o la sigla sindacale di appartenenza sono aspetti del tutto secondari, sempre. Il marasma degli ultimi 30 anni ha creato situazioni in cui gli operai più di sinistra, più combattivi, più lungimiranti sono stati costretti a iscriversi alla UGL (vedi articolo sull’Hitachi a pag. 5), in altri casi hanno disdetto ogni tessera, in altri ancora resistono nella CGIL, o sono finiti nella CISL o nella UIL, hanno costituito in azienda i sindacati di base… Partire dal contenuto e non dalle sigle e dalle etichette!
Chiamiamo i lavoratori autonomi, i piccoli commercianti, le partite IVA a costituire organizzazioni popolari di zona (comune, provincia) e a legarsi saldamente alle organizzazioni operaie e popolari per impedire ogni tentativo di contrapposizione e di guerra fra poveri che esponenti, partiti e movimenti della classe dominante, a ogni livello, alimentano e promuovono. Chiamiamo infine i giovani, le donne, gli immigrati a formare ovunque organizzazioni popolari zona per zona, quartiere per quartiere, per mettere mano da subito ai mille effetti del degrado e dell’abbandono del territorio, dell’emarginazione sociale, del razzismo di Stato e della guerra contro i poveri promossa dall’alto, dalle istituzioni e autorità borghesi.
Siamo perfettamente coscienti che facciamo e indichiamo di fare cose che non sono di immediata comprensione per gli operai e per le masse popolari perché sono cose molto diverse da ciò che il vecchio movimento comunista prima, e i partiti della sinistra borghese poi, hanno indicato di fare. Il PCI diretto dai revisionisti alla Togliatti e alla Berlinguer e la sinistra borghese sorta dopo lo scioglimento del PCI hanno mobilitato gli operai e le masse popolari per raccogliere voti alle elezioni e per spingerle a partecipare alle lotte rivendicative sotto la direzione dei sindacati di regime. Questa linea non ha evidentemente consentito di instaurare il socialismo, ha progressivamente disperso il patrimonio di esperienza e di organizzazione che la classe operaia e le masse popolari avevano ereditato dalla vittoria della Resistenza e le ha lasciate alla mercé della borghesia.
Indichiamo però una via che centinaia di migliaia di operai hanno imboccato spontaneamente negli anni ‘70 del secolo scorso e prima ancora nel Biennio Rosso con i Consigli di Fabbrica (vedi articolo a pag. 5), esprimendo una forza tale che essi non sono riusciti a instaurare il socialismo solo per le gravi tare ideologiche, i limiti e gli errori espressi dal movimento comunista del nostro paese.
Il 2020 è sotto il segno della rivoluzione socialista non perché la rivoluzione scoppia, ma perché i comunisti la costruiscono passo dopo passo e fase dopo fase. Pertanto chi si definisce comunista e ha la falce e il martello nel cuore, deve impegnarsi senza riserve per
– sostenere in ogni azienda gli operai avanzati e in ogni zona e contesto gli esponenti avanzati delle masse popolari che in qualche modo, in un campo o nell’altro, resistono all’uno o all’altro aspetto del catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista,
– aiutare ogni gruppo di lavoratori, di giovani e di elementi delle masse popolari a occuparsi con più forza ed efficacia della sua lotta particolare,
– spingere ogni gruppo e ogni organismo ad andare oltre il suo caso particolare e legarsi agli altri gruppi che anch’essi nel loro particolare resistono e, assieme, creare la spinta dal basso necessaria a costituire un proprio governo d’emergenza che farà fronte al sabotaggio, al boicottaggio, alle sanzioni e all’aggressione della comunità internazionale dei gruppi imperialisti fino a instaurare il socialismo.
Ogni passo fatto in questo senso, anche quello che superficialmente sembra piccolo o persino insignificante, è un passo avanti nella rivoluzione socialista.