[Italia] Stalin ai comunisti italiani: dal (n)PCI sull’unità dei comunisti per far avanzare la rivoluzione socialista

Rilanciamo a seguire l’Avviso ai naviganti 96 del (n)PCI, utile per comprendere il ruolo dei comunisti verso le masse popolari e verso tutti quei compagni e compagne che sono alla ricerca di una strada per cambiare l’ordine di cose presente. Importante anche per la comprensione di cosa voglia dire realmente “unità dei comunisti” e su cosa debba fondarsi tale unità. Buona lettura.

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Avviso ai naviganti 96

26 dicembre 2019

(Scaricate il testo in versione Open Office o Word)

Per il nuovo anno – Stalin ai comunisti italiani

Sull’unità dei comunisti per far avanzare la rivoluzione fino all’instaurazione del socialismo

La crisi del capitalismo si aggrava nel nostro paese in ogni campo: dalla crisi economica, alla crisi ecologica, al nichilismo culturale, all’abbrutimento morale, all’ingovernabilità politica con l’asservimento all’UE e alla NATO. Il corso delle cose diventa più favorevole alla rivoluzione socialista. Il compito di noi comunisti è far avanzare la rivoluzione delle masse popolari verso l’instaurazione del socialismo. Due sono i fronti della nostra lotta.

1. Elevare ed estendere la resistenza che le masse popolari oppongono agli effetti del capitalismo in crisi, portando ogni individuo e gruppo a confluire passo dopo passo nella rivoluzione socialista aggregandosi attorno al partito comunista: individuare le migliaia di embrioni di organismi operai e popolari (OO e OP) nelle aziende e nelle zone d’abitazione e i milioni di atti individuali di resistenza, elevarne i protagonisti quanto a fiducia in se stessi e odio e disprezzo verso la borghesia e il suo clero, determinazione, esperienza, forza, obiettivi, raggio d’azione, organizzazione e coscienza. La vittoria su questo fronte è il nostro obiettivo.

2. Consolidare e rafforzare il partito comunista sviluppando la riforma intellettuale e morale dei suoi membri e candidati, elevando la capacità d’azione dei suoi organismi, rafforzando la loro capacità di dirigere le masse popolari, unendo nel partito gli elementi avanzati disposti a mettersi alla sua scuola.

Dei due fronti il secondo è il più difficile per noi, ma è la vittoria su questo fronte che decide della vittoria sul primo. La prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) ha dimostrato in modo inconfutabile questa verità: quindi essa fa parte della nostra scienza. Oggi ignorare, nascondere o accantonare le nostre difficoltà sul secondo fronte e attribuire al primo fronte, in particolare alla “arretratezza delle masse popolari”, la causa della debolezza delle nostre forze, è la principale forma di disfattismo.

Noi ereditiamo dalla storia uno sfasciume di movimento comunista e altri aspiranti comunisti sorgono dalle lotte di ogni giorno. Unirsi e costruire un grande e forte partito comunista questa volta all’altezza del suo compito, è un’aspirazione diffusa. Unità dei comunisti è una parola d’ordine rafforzata 1. dall’apertura con il voto del 4 marzo 2018 della breccia nel sistema politico borghese, nel sistema delle Larghe Intese sul quale è sopravvissuta negli ultimi quaranta anni la Repubblica Pontificia e 2. dall’inconcludenza dei governo M5S-Lega prima e M5S-PD dopo. Noi dobbiamo impugnare la parola d’ordine dell’unità dei comunisti e lottare con determinazione per realizzarla. Decisivo è quindi che lo facciamo seguendo una via giusta, una via che consolidi e rafforzi un partito capace di dirigere le masse popolari a vincere sul primo dei due fronti. Gli elettoralisti mirano a una macchina che raccolga voti. Gli economicisti mirano a creare un centro che onestamente e con determinazione promuova rivendicazioni economiche e politiche. Noi marxisti-leninisti-maoisti miriamo a un partito che usi, rafforzi e promuova ogni appiglio, ogni contraddizione e ogni lotta come mezzo per avanzare verso l’instaurazione del socialismo.

Unirsi accantonando le contraddizioni, mantenendo ognuno le sue posizioni”, propongono alcuni compagni. “Unità d’azione per far avanzare le masse popolari nella lotta contro la borghesia e il clero sul primo fronte e affrontare apertamente e onestamente le contraddizioni tra comunisti sul secondo fronte”, diciamo noi. Questa è la lezione della prima ondata della rivoluzione proletaria, questa è la lezioni della storia del movimento comunista del nostro paese. Nel nostro paese milioni di proletari si erano aggregati attorno al PCI, ma non hanno instaurato il socialismo perché nel Partito i comunisti non hanno affrontato apertamente e onestamente le contraddizioni a proposito del suo orientamento generale e della linea da seguiva. Nell’articolo di La Voce 26 (luglio 2007) Pietro Secchia e due importanti lezioni abbiamo illustrato questo aspetto della storia del PCI in uno dei più importanti periodi della storia del movimento comunista italiano. Rivoluzionaria professionale (Edizioni Rapporti Sociali) di Teresa Noce illustra chiaramente la mancanza di lotta sulle contraddizioni di principio che ha caratterizzato il vecchio PCI dopo il 1926 (Congresso di Lione e cattura di Gramsci da parte del governo del fascismo e della monarchia sabauda sostenuto dalla gerarchia vaticana). Nascondere e accantonare le contraddizioni di principio aprì la via alla deviazione revisionista nel Partito: la “via italiana al socialismo” divenne il paravento della rinuncia a instaurare il socialismo e condusse al disfacimento del vecchio PCI.

A conforto della nostra posizione e come viatico per il nuovo anno riportiamo l’esperienza che ci viene dalla prima ondata della rivoluzione proletaria esposta da uno dei massimi dirigenti della nostre forze nel corso di essa, Stalin. L’insegnamento di Stalin conferma la teoria successivamente elaborata da Mao Tse-tung. La lotta tra le due linee nel partito è infatti uno dei sei principali apporti di Mao alla scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la storia.

Dal 22 novembre al 16 dicembre 1926 si tenne a Mosca la settima sessione plenaria allargata del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista eletto dal V Congresso (giugno-dicembre 1924). Tra gli altri temi trattò anche della lotta in corso nel Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS. Su questo tema il 7 dicembre Stalin presentò il rapporto introduttivo della discussione Ancora sulla deviazione socialdemocratica nel nostro partito e il 13 dicembre il discorso di chiusura. I due capitoli che presentiamo costituiscono la prima, Osservazioni preliminari, delle sette sezioni del rapporto introduttivo. Questo e il discorso di chiusura furono prima pubblicati a puntate sulla Pravda in contemporanea con la riunione del Comitato Esecutivo dell’IC e poi in opuscolo. Entrambi sono reperibili integrali nel volume 9 delle Opere Complete di Stalin (Ed. Rinascita 1955).

Lo studio dello scritto di Stalin permetterà ai compagni anche di capire meglio in cosa consiste il salto del maoismo rispetto al marxismo-leninismo. “Dove è la borghesia in un paese socialista?”: un altro dei sei principali apporti di Mao al pensiero comunista è la risposta a questa domanda. È evidente nelle parole di Stalin che questa domanda nel 1926 non è ancora all’ordine del giorno. Essa verrà posta all’ordine del giorno solo negli anni successivi e la giusta risposta ad essa diventerà il fattore determinante dell’esito dello scontro tra le due linee nel Partito Comunista (bolscevico) dell’URSS negli anni ’50, dopo la vittoria sul nazifascismo.

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Stalin – Ancora sulla deviazione socialdemocratica nel nostro partito

Osservazioni preliminari

Compagni, permettetemi di fare alcune osservazioni preliminari prima di passare alla sostanza della questione.

1. Contraddizioni nello sviluppo interno del partito

La prima è sulla lotta all’interno del nostro partito, lotta che non è cominciata ieri e che non è mai cessata.

Se prendiamo la storia del nostro partito dal 1903, dal momento in cui esso è sorto sotto forma dì gruppo bolscevico, e ne seguiamo le fasi successive fino ai nostri giorni, si può dire senza paura di esagerare che la storia del nostro partito è la storia della lotta su contraddizioni all’interno di questo partito, la storia del superamento di queste contraddizioni e del graduale consolidamento del nostro partito attraverso questo superamento. Si potrebbe pensare che i russi sono degli attaccabrighe, che amano le discussioni e creano essi stessi le divergenze, e che per questa ragione lo sviluppo del loro partito procede attraverso il superamento di contraddizioni all’interno del partito stesso. Questo non è vero, compagni. Non si tratta qui di smania di attaccar briga. Si tratta di divergenze di principio che sorgono nel corso dello sviluppo del partito, nel corso della lotta di classe del proletariato. Si tratta del fatto che le contraddizioni possono essere superate soltanto attraverso la lotta per questi o quei principi, per questi o quegli obiettivi, per questi o quei metodi di lotta atti a raggiungere l’obiettivo. Si può e si deve accettare ogni genere di accordo con coloro che, all’interno del partito, la pensano in modo diverso su questioni di politica corrente, su questioni di carattere puramente pratico. Se però queste questioni sono connesse a divergenze di principio, nessun accordo e nessuna linea “intermedia” possono mettere a posto le cose. Non vi è e non vi può essere una linea “intermedia” nei problemi che hanno un carattere di principio. O gli uni o gli altri principi debbono essere posti alla base del lavoro del partito. La linea “intermedia” nelle questioni di principio è la “linea” che porta alla confusione delle idee e all’attenuazione delle divergenze, la “linea” che porta alla degenerazione ideologica del partito, alla morte ideologica del partito.

Come vivono e si sviluppano attualmente i partiti socialdemocratici dell’Occidente? Esistono delle contraddizioni, delle divergenze di principio all’interno di questi partiti? Naturalmente ne esistono. E questi partiti mettono essi in luce le contraddizioni e cercano di superarle onestamente e apertamente, davanti alle masse dei loro iscritti? No. Naturalmente no! La prassi seguita dalla socialdemocrazia consiste nell’accantonare, nel celare queste contraddizioni e divergenze. La prassi della socialdemocrazia consiste nel trasformare le sue conferenze e i suoi congressi in inutili e pompose rappresentazioni teatrali affinché sembri che le cose vanno nel migliore dei modi, affinché i dissensi interni siano celati e mascherati. Ma ciò serve soltanto a confondere le idee e a impoverire il partito dal punto di vista ideologico. Questa è una delle ragioni del declino della socialdemocrazia dell’Europa occidentale, un tempo rivoluzionaria e ora riformista.

Ma non è così, compagni, che noi possiamo vivere e svilupparci. La politica della linea di principio “intermedia” non è la nostra politica. La politica della linea di principio “intermedia” è la politica dei partiti che intisichiscono e degenerano. Una simile condotta può soltanto trasformare il partito in un apparato burocratico funzionante a vuoto, parassitario e staccato dalle masse operaie. Questa non è la nostra via.

Tutto il passato del nostro partito costituisce una conferma della tesi che la storia del nostro partito è la storia del superamento delle contraddizioni interne e del continuo rafforzamento dei ranghi del nostro partito sulla base di questo superamento.

Prendiamo il primo periodo, il periodo dell’Iskra [1900-1903], oppure il periodo del Il Congresso [1903] del nostro partito, quando si manifestarono per la prima volta all’interno del partito delle divergenze tra i bolscevichi e i menscevichi e quando il gruppo dirigente del nostro partito finì per scindersi in due parti: la parte bolscevica (Lenin) e la parte menscevica (Plekhanov, Axelrod, Martov, Zasulic, Potresov). Lenin allora rimase solo. Se sapeste quando si gridò e si pianse allora sugli “insostituibili” che avevano abbandonato Lenin! Tuttavia la prassi della lotta e la storia del partito hanno dimostrato che questo dissenso aveva una base di principio, era una fase che si doveva attraversare perché nascesse e si sviluppasse un partito veramente rivoluzionario, veramente marxista. La pratica della lotta dimostrò allora che quel che importa, in primo luogo non è la quantità, ma la qualità e in secondo luogo non è l’unità formale, ma l’unità poggiante su una base di principio. La storia ha dimostrato che Lenin aveva ragione e che gli “insostituibili” avevano torto. La storia ha dimostrato che, se non fossero state affrontate e superate quelle contraddizioni tra Lenin e gli “insostituibili”, oggi non avremmo un partito veramente rivoluzionario.

Prendiamo il periodo successivo, la vigilia della rivoluzione del 1905, quando i bolscevichi e i menscevichi stavano gli uni di fronte agli altri, sempre ancora in un unico partito, come due campi opposti con due piattaforme completamente diverse, quando i bolscevichi erano sul punto di scindere formalmente il partito e quando, per difendere la linea della nostra rivoluzione, furono costretti a convocare un loro congresso particolare (il terzo). Perché la parte bolscevica del partito ebbe allora il sopravvento? Perché si conquistò le simpatie della maggioranza del partito? Perché essa non cercava di nascondere le divergenze di principio, e lottava per superarle isolando i menscevichi.

Potrei richiamarmi, quindi, alla terza fase di sviluppo del nostro partito, al periodo che seguì la sconfitta della rivoluzione del 1905, al periodo del 1907, allorquando una parte dei bolscevichi, i cosiddetti “otzovisti”, con alla testa Bogdanov si staccò dal bolscevismo. Questo fu un periodo critico nella vita del nostro partito. Fu il periodo in cui parecchi bolscevichi della vecchia guardia abbandonarono Lenin e il suo partito. I menscevichi gridarono allora che per i bolscevichi era la fine. Ma non fu la fine del bolscevismo e, nel corso di circa un anno e mezzo, l’esperienza della lotta dimostrò che Lenin e il suo partito avevano avuto ragione a condurre la lotta per superare le contraddizioni all’interno dei ranghi del bolscevismo. Queste contraddizioni furono superate non già cercando di nasconderle, ma portandole alla luce e lottando nell’interesse del nostro partito.

Potrei richiamarmi anche al quarto periodo della storia del nostro partito, al periodo 1911-1912, quando i bolscevichi ricostituirono il partito che era stato disgregato dalla reazione zarista e cacciarono via i liquidatori. Anche qui, come nei periodi precedenti, i bolscevichi procedettero alla ricostituzione e al rafforzamento del partito non già cercando di nascondere le divergenze di principio con i liquidatori, ma portandole alla luce e superandole.

Potrei poi indicare la quinta fase di sviluppo del nostro partito, il periodo precedente la Rivoluzione dell’Ottobre 1917, allorquando una parte dei bolscevichi, con alla testa alcuni noti capi del partito bolscevico, tentennavano e non volevano che si passasse all’insurrezione d’Ottobre, ritenendola un’avventura. Si sa che anche questo contrasto fu superato dai bolscevichi non già tentando di nascondere le divergenze, ma con la lotta aperta per la Rivoluzione d’Ottobre. La prassi della lotta ha dimostrato che se non si fossero superate queste divergenze avremmo potuto porre la Rivoluzione d’Ottobre in una situazione critica.

Potrei indicare, infine, i successivi periodi di sviluppo della lotta all’interno del nostro partito: il periodo della pace di Brest [1918], il periodo del 1921 (discussione sui sindacati) e gli altri periodi che voi conoscete e sui quali quindi non mi dilungherò. È noto che in tutti questi periodi, come nel passato, il nostro partito si sviluppò e si rafforzò superando contraddizioni interne.

Che cosa ne risulta?

Risulta che il PC(b) dell’URSS si è sviluppato e si è rafforzato attraverso il superamento delle contraddizioni interne del partito. Risulta che il superamento delle divergenze all’interno del partito mediante la lotta è la legge dello sviluppo del nostro partito.

Ci si potrebbe obiettare che questa è una legge valida per il PC(b) dell’URSS, ma non per gli altri partiti proletari. Non è vero. Questa legge è la legge di sviluppo di tutti i partiti che hanno una certa consistenza, si tratti del partito proletario dell’URSS o dei partiti proletari dell’Occidente. Se in un piccolo partito di un piccolo paese, in un modo o nell’altro le divergenze possono essere nascoste avvalendosi del prestigio di una o di parecchie persone, in un grande partito di un grande paese lo sviluppo attraverso il superamento delle contraddizioni costituisce un elemento inevitabile per l’incremento e il rafforzamento del partito. Così stavano le cose nel passato. Così stanno le cose oggi.

Vorrei qui richiamarmi all’autorità di Engels, che diresse per parecchi decenni, assieme a Marx, i partiti proletari dell’Occidente. Siamo nel decennio 1880-1890, quando in Germania vigeva la legge speciale contro i socialisti,(1) quando Marx e Engels si trovavano a Londra, nell’emigrazione, e l’organo estero illegale della socialdemocrazia tedesca, Il Socialdemocratico,(2) dirigeva di fatto l’attività dei socialdemocratici tedeschi. Bernstein era allora un marxista rivoluzionario (non aveva ancora fatto in tempo a passare nel campo dei riformisti), ed Engels manteneva con lui un’animata corrispondenza sulle questioni politiche più scottanti per la socialdemocrazia tedesca. Ecco che cosa egli scriveva allora a Bernstein (20 ottobre 1882):

Sembra che ogni partito operaio di un grande paese possa svilupparsi soltanto attraverso una lotta interna, in piena conformità con le leggi dello sviluppo dialettico in generale. Il partito tedesco è diventato quello che è attualmente nella lotta fra gli eisenachiani e i lassalliani,(3) dove persino le baruffe ebbero una funzione importante. L’unificazione divenne possibile soltanto quando la banda di mascalzoni, educata appositamente da Lassalle per servirgli da strumento, si fu logorata, ma anche allora i nostri acconsentirono troppo affrettatamente a questa unificazione. In Francia, coloro che pur avendo abbandonato la teoria bakuniniana continuano tuttavia ad adoperare mezzi bakuniniani di lotta e, nello stesso tempo, a sacrificare il carattere di classe del movimento ai propri scopi particolari, devono anch’essi logorarsi prima che l’unificazione diventi nuovamente possibile. Predicare l’unificazione in simili circostanze sarebbe pura follia. Le prediche morali non servono contro le malattie infantili, che sono inevitabili nelle circostanze attuali”. Poiché, dice Engels altrove (1885), “le contraddizioni non possono mai essere messe a tacere per molto tempo, ma vengono sempre risolte con la lotta”.

Ecco anzitutto qual è il modo giusto di concepire l’esistenza di contraddizioni all’interno del nostro partito e lo sviluppo del nostro partito attraverso il superamento di queste contraddizioni mediante la lotta.

1. La legge speciale contro i socialisti, promulgata in Germania nel 1878 dal governo di Bismarck, vietava tutte le organizzazioni del partito socialdemocratico, le organizzazioni operaie di massa e la stampa operaia. In base a questa legge le pubblicazioni socialdemocratiche venivano confiscate e i socialdemocratici perseguitati. Il Par­tito socialdemocratico tedesco dovette passare all’illegalità. Sotto la pressione del movimento operaio di massa la legge venne abrogata nel 1890.

2. Der Sozialdemokrat: giornale illegale, organo Par­tito socialdemocratico tedesco. Si pubblicò dal settembre 1879 al settembre 1890, dapprima a Zurigo e poi, a cominciare dall’ottobre 1888, a Londra.

3. Gli Eisenachiani erano i seguaci di Marx che nel 1869 ad Eisenach, capeggiati da August Bebel e Wilhelm Liebknecht, avevano costituito il Partito Operaio Socialdemocratico di Germania. I Lassalliani erano i membri e seguaci dell’Associazione Generale dei Lavoratori di Germania fondata nel 1863 da Ferdinand Lassalle (1825-1864). Le due organizzazioni nel Congresso di Gotha (22-27 maggio 1875) si fusero e costituirono il Par­tito socialdemocratico tedesco. Marx aveva criticato a fondo il Programma di Gotha: i marxisti facevano gravi concessioni di principio ai lassalliani. La critica di Marx al momento fu ignorata. Fu pubblicata solo nel 1891 ed è nota come Critica del Programma di Gotha. In essa Marx indica un programma di transizione dal capitalismo al comunismo per la Germania di quel tempo. Da allora entrò nell’uso dei marxisti chiamare socialismo la fase di transizione al comunismo che inizia con la conquista del potere da parte del proletariato organizzato attorno al suo Partito, vale a dire con l’instaurazione della dittatura del proletariato.

2. Le origini delle contraddizioni all’interno del partito

Ma da dove vengono queste contraddizioni e divergenze, qual è la loro origine?

Penso che l’origine delle contraddizioni all’interno dei partiti. proletari va ricercata in due circostanze.

Quali sono queste circostanze?

In primo luogo, la pressione della borghesia e dell’ideologia borghese sul proletariato e sul suo partito nelle condizioni della lotta delle classi, pressione alla quale non di rado cedono gli strati più instabili del proletariato, e quindi anche gli strati più instabili del partito proletario. Non si deve credere che il proletariato sia completamente isolato dalla società, sia ai di fuori della società. Il proletariato è una parte della società, ai cui vari strati è legato da numerosi fili. Il partito è una parte del proletariato. Perciò anche il partito non può non avere legami con i vari strati della società borghese e non subire la loro influenza. La pressione della borghesia e della sua ideologia sul proletariato e sul suo partito si esprime nel fatto che idee, costumi, usanze, stati d’animo borghesi spesso penetrano nel proletariato e nel suo partito attraverso determinati strati del proletariato legati, in un modo o nell’altro, alla società borghese.

In secondo luogo, l’eterogeneità della classe operaia, l’esistenza di vari strati in seno alla classe operaia. Penso che il proletariato, come classe, può essere suddiviso in tre strati.

Uno strato è costituito dalla massa fondamentale del proletariato, dal suo nucleo, dalla sua parte permanente, la massa dei proletari “purosangue” che già da tempo ha rotto i legami con la classe dei capitalisti. Questo strato del proletariato costituisce il sostegno più sicuro del marxismo.

Il secondo strato comprende coloro che di recente sono usciti da classi non proletarie: dai contadini, dai piccoli borghesi, dagli intellettuali. Questa gente, proveniente da altre classi ed entrata solo recentemente nelle file del proletariato, ha portato nella classe operaia i propri costumi, le proprie abitudini, le proprie esitazioni, i propri tentennamenti. Questo strato costituisce il terreno più favorevole per i vari raggruppamenti anarchici, semianarchici e “di ultrasinistra”.

Infine, il terzo strato è costituito dall’aristocrazia operaia, dal vertice della classe operaia, dalla parte più benestante del proletariato, che è portata ai compromessi con la borghesia, che è dominata dallo spirito di adattamento verso i potenti della terra, dalla aspirazione a “diventare qualcuno”. Questo strato costituisce il terreno più favorevole per i riformisti e gli opportunisti dichiarati.

Nonostante la differenza formale, questi ultimi due strati della classe operaia costituiscono il terreno più o meno comune che alimenta l’opportunismo in generale: l’opportunismo aperto, nella misura in cui prendono il sopravvento gli stati d’animo dell’aristocrazia operaia; l’opportunismo coperto da una fraseologia “di sinistra”, nella misura in cui hanno il sopravvento gli stati d’animo degli strati semipiccolo-borghesi della classe operaia, che non hanno ancora rotto definitivamente con l’ambiente piccolo-borghese. Il fatto che gli stati d’animo “di ultrasinistra” coincidano spessissimo con stati d’animo di aperto opportunismo non rappresenta nulla di strano. Lenin disse più di una volta che l’opposizione di “ultrasinistra” non è che l’altra faccia dell’opposizione di destra, menscevica, apertamente opportunista. Questo è assolutamente esatto. Se un “ultrasinistro” è per la rivoluzione soltanto perché aspetta la vittoria della rivoluzione il giorno dopo, è chiaro che costui deve cadere nella disperazione e nella delusione se la rivoluzione subisce un arresto, se la rivoluzione non vince proprio il giorno dopo.

Naturalmente ad ogni svolta nello sviluppo della lotta di classe, ad ogni inasprimento della lotta e ad ogni aumento delle difficoltà, le differenze di vedute, di costume e di stati d’animo dei vari strati del proletariato si manifestano immancabilmente sotto forma di determinate divergenze nel partito, e la pressione della borghesia e della sua ideologia inasprisce immancabilmente queste divergenze, dando loro sfogo sotto forma di lotte all’interno del partito proletario.

Queste sono le origini delle contraddizioni e delle divergenze in seno al partito.

Si possono evitare queste contraddizioni e divergenze? No, non si possono evitare. Credere di potere evitare queste contraddizioni significa ingannare se stessi. Engels aveva ragione quando affermava che è impossibile nascondere per molto tempo le contraddizioni all’interno del partito, che queste contraddizioni vanno risolte con la lotta.

Ciò non significa che il partito deve essere trasformato in un circolo di discussioni. Al contrario, il partito proletario è e deve rimanere l’organizzazione combattiva del proletariato. Voglio soltanto dire che non si può chiudere gli occhi e passare sopra alle divergenze all’interno del partito se queste divergenze hanno un carattere di principio. Voglio soltanto dire che unicamente mediante la lotta per una linea di principio marxista si potrà salvaguardare il partito proletario dalla pressione e dall’influenza della borghesia. Voglio soltanto dire che unicamente superando le contraddizioni all’interno del partito possiamo fare grande e forte il nostro partito.

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