Corso sulla concezione comunista del mondo a Reggio Emilia

Per fare la rivoluzione socialista in Italia bisogna sapere come farla. Sapere significa studiare, scoprire, sperimentare, insegnare. La Carovana del (nuovo)Partito comunista italiano fino dal momento in cui è partita, quaranta anni fa, si è posta in prima linea nello scontro di classe contemporaneamente studiando la storia del movimento comunista internazionale e nazionale fino al presente, scoprendo principi e metodi della lotta di classe e sperimentandone la validità. Alla fine del primo decennio di questo secolo nella Carovana del (nuovo)Pci abbiamo iniziato anche a insegnare in modo programmatico quanto abbiamo appreso e così contribuire ad accendere di nuovo la fiamma, cioè rianimare “la fiducia di essere capaci di conoscere la verità e la fiducia di essere capaci di cambiare il mondo, di costruire un mondo a misura dei loro bisogni, delle loro migliori aspirazioni e dei loro migliori sentimenti”. [1]

Una forma di insegnamento sono i corsi sul Manifesto Programma del (nuovo)PCI che il Partito dei Carc tiene in più parti del paese. Dal 2010 a oggi il Centro di Formazione del Partito ha tenuto 78 corsi che sono stati seguiti da 357 studenti. Il 14 dicembre è iniziato il settantanovesimo corso, a Reggio Emilia, città capitale della lotta di classe del nostro paese. Celebriamo questo nuovo inizio inoltrando ai partecipanti al corso e a tutti gli interessati uno scritto di Antonio Gramsci scritto esattamente un secolo fa. Gramsci ha sempre compreso l’importanza del sapere per fare la rivoluzione socialista e noi seguiamo la sua linea e la portiamo avanti. Vogliamo portarla avanti fino alla vittoria e siamo certi di poterlo fare. Con questo la Commissione Gramsci del Partito dei Carc augura a tutti un 2020 decisivo per la costruzione della rivoluzione socialista nel nostro paese.

La scuola di cultura (da L’Ordine nuovo, dicembre 1919)

Il primo corso della scuola di cultura e propaganda socialista ha avuto principio la settimana scorsa, con la prima lezione di teoria e la prima esercitazione pratica, e in modo che non ha mancato di riempirci di soddisfazione. Dal principio ci riteniamo autorizzati a nutrire le migliori speranze per l’esito. Perché negare che alcuni di noi dubitavano? Dubitavamo che, trovandoci appena una o due volte la settimana, stanchi ognuno del proprio lavoro, ci fosse impossibile trovare in tutti quella freschezza senza la quale le menti non possono comunicare, gli animi non possono aderire, e la scuola non può compiersi, come serie di atti educativi vissuti e sentiti in comune. Forse ci rendeva scettici l’esperienza delle scuole borghesi, la tediosa esperienza di allievi, l’esperienza dura di insegnanti: l’ambiente freddo, opaco ad ogni luce, resistente ad ogni sforzo di unificazione ideale, quei giovani uniti in quelle aule non dal desiderio di migliorarsi e di capire, ma dallo scopo, forse non detto eppure chiaro e unico in tutti, di farsi avanti, di conquistarsi un «titolo», di collocare là propria vanità e la propria pigrizia, di ingannar oggi se stessi e gli altri domani.

E abbiamo visto intorno a noi, affollati, stretti l’uno all’altro nei banchi scomodi e nello spazio angusto, questi allievi insoliti, per la maggior parte non piú giovani, fuori quindi dell’età in cui l’apprendere è cosa semplice e naturale, tutti poi affaticati da una giornata di officina o di ufficio, seguire con l’attenzione piú intensa il corso della lezione, sforzarsi di segnarlo sulla carta, far sentire in modo concreto che tra chi parla e chi ascolta si è stabilita una corrente vivace di intelligenza e di simpatia. Ciò non sarebbe possibile se in questi operai il desiderio di apprendere non sorgesse da una concezione del mondo che la vita stessa ha loro insegnato e ch’essi sentono il bisogno di chiarire, per possederla completamente, per poterla pienamente attuare. È una unità che preesiste e che l’insegnamento vuole rinsaldare, è una vivente unità che nelle scuole borghesi invano si cerca di creare.

La nostra scuola è viva perché voi, operai, portate in essa la miglior parte di voi, quella che la fatica della officina non può fiaccare: la volontà di rendervi migliori. Tutta la superiorità della vostra classe in questo torbido e tempestoso momento, noi la vediamo espressa in questo desiderio che anima una parte sempre piú grande di voi, desiderio di acquistar conoscenza, di diventare capaci, padroni del vostro pensiero e dell’azione vostra, artefici diretti della storia della vostra classe.

La nostra scuola continuerà, e porterà i frutti che le sarà possibile: essa è aperta a tutti gli eventi, un caso qualunque potrà allontanare e disperdere domani tutti noi che oggi ci raduniamo attorno ad essa e le comunichiamo e prendiamo da essa un poco del calore, della fede che ci è necessaria per vivere e per lottare; i conti li faremo poi, ma per ora segniamo questo, all’attivo, segniamo questa impressione di fiducia che ci viene dalle prime lezioni, dal primo contatto. Con lo spirito di queste prime lezioni vogliamo andare avanti.

 

[1] Manifesto Programma del (nuovo)PCI, ed. Rapporti Sociali, Milano, 2008, pag. 3.

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