Esame di scritti di Alessandro Mustillo su Antonio Gramsci e Federico Engels

Alessandro Mustillo, membro del Partito comunista diretto da Marco Rizzo e componente fino a poco tempo fa dell’Ufficio politico di questo partito, nel novembre 2013 pubblica sul sito di Senza tregua del Fronte della gioventù di quegli anni[1] alcune considerazioni su Gramsci, [2] che rimanda a un suo scritto di un mese prima dove tratta di Engels e di un aspetto e momento particolare del suo pensiero.[3] Con questi due scritti A. Mustillo (AM) pone attenzione a un punto chiave dell’evoluzione del pensiero comunista. Nel 1994 i Comitati d’Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo (Carc, che allora non erano ancora un partito) si erano occupati di questo punto e della linea che ne seguiva per ricostruire in Italia il partito comunista con la sua strategia per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.[4] Ciò che AM scrive su Gramsci è su Engels è materia viva del dibattito per l’evoluzione del pensiero comunista e della sua pratica. In quegli scritti AM tratta di un limite che il primo movimento comunista doveva superare, limite di comprensione delle leggi secondo cui la rivoluzione socialista si sviluppa. Il limite e il modo di superarlo è la materia di questo esame dei due scritti di AM.

Mustillo parte da due dei Quaderni del carcere di Gramsci, il decimo e l’undicesimo, scritti tra il 1932 e il 1933. Inizia parlando della critica di Gramsci a una certa ortodossia marxista e precisa che la critica è rivolta ai revisionisti della Seconda Internazionale, e a Eduard Bernstein (Berlino, 6 gennaio 1850 – Berlino 18 dicembre 1932) come loro massimo esponente. AM scrive:

in Bernstein – sostiene Gramsci – si finisce con valutare l’intervento umano in modo unilaterale «come tesi, ma non come antitesi; efficiente come tesi, ossia nel momento della resistenza e della conservazione, è rigettato come antitesi, ossia come iniziativa e spinta progressiva.» In ultima analisi per Gramsci, parallelamente al revisionismo politico, Bernstein costruisce una teoria della passività.[5]

Gramsci descrive il fenomeno che ci interessa con termini del linguaggio filosofico e probabilmente lo fa per ingannare la censura fascista. Il suo linguaggio però in questo come in altri casi

  1. va tradotto in parole semplici e comprensibili ai lettori del nostro tempo, e in primo luogo a quelli che leggono per imparare come la rivoluzione socialista si costruisce nel nostro paese, e
  2. tenendo conto della difficoltà di comprensione e della terminologia atta a ingannare i censori fascisti, di cui approfittano i revisionisti moderni, che rovesciano le parole di Gramsci a proprio vantaggio (invece di dissolvere l’oscurità, nel buio tramano).

Gramsci vuole dire che Bernstein intende la lotta di classe solo come resistenza e conservazione e cioè come essere contro l’attacco della classe nemica. Significa ad esempio lottare contro gli attacchi dei padroni sul piano sindacale, in campo politico lottare contro i reazionari, i fascisti, i razzisti, gli imperialisti ecc. Questo fanno gli antifascisti, gli antimperialisti, gli antirazzisti, ecc. Ognuna di queste forme di lotta va bene ed è positiva, ma Mustillo dice che secondo Gramsci è anche una forma di passività, e lo condivide.[6] Hanno ragione entrambi. Infatti, ogni lotta che è solo e principalmente contro il nemico dipende dall’iniziativa del nemico: se per ipotesi il nemico non attaccasse e quando non attacca, la lotta si esaurisce. Il movimento comunista invece deve avere l’iniziativa in mano e condurre la guerra.

Il punto di cui Mustillo parla è cruciale. Infatti, sta trattando della questione ideologica principale del movimento comunista sulla rivoluzione socialista, se la facciamo costruendola o se possiamo stare ad aspettare che scoppi. C’è chi sa che la rivoluzione socialista si costruisce e quindi ci mette tutta la sua intelligenza e tutte le sue energie e chi impiega intelligenza ed energie nel resistere aspettando. Sono due linee opposte e si distinguono come una attiva e l’altra passiva. Di questo sta parlando Mustillo, che si pone sulla prima delle due linee. Più oltre infatti dice che è sbagliata la teoria della Seconda Internazionale e del Partito socialdemocratico tedesco di cui Bernstein fu dirigente, che “si caratterizzano per l’attesa che la rivoluzione si compia da sé.”[7]

Pensare che la rivoluzione si compia da sé, e cioè che a un certo punto scoppi, è un errore a due facce. Chi su questo errore organizza e guida le masse popolari nella lotta politica è in malafede e arriva a essere un criminale, perché le conduce alla sconfitta (che in guerra è il risultato dell’errore) e quindi va combattuto. Chi tra le masse popolari crede che la rivoluzione scoppi e resiste in attesa che questo avvenga, all’opposto va apprezzato, per la sua resistenza e va educato a comprendere che deve trasformare questa resistenza in attacco e come può farlo. Gramsci parla di come si passa da questo stato di passività allo stato di attività in un passo tra i più importanti di quelli che ha scritto in carcere e Mustillo lo segnala. Scrive

Per Gramsci «il determinismo meccanico diventa una forza formidabile di resistenza morale, di coesione, di perseveranza paziente ed ostinata. “Io sono sconfitto momentaneamente, ma la forza delle cose lavora per me a lungo andare ecc.” La volontà reale si traveste in un atto di fede, in una certa razionalità della storia, in una forma empirica e primitiva di finalismo appassionato, che appare come un sostituto della predestinazione, della provvidenza, delle religioni confessionali.» Ma Gramsci che spiega questo fenomeno a livello di massa, proprio per l’arretratezza culturale delle masse e il loro essere abituate al pensiero metafisico, accusa i dirigenti politici. «Occorre sempre dimostrare la funzionalità del determinismo meccanico, che spiegabile come filosofia ingenua della massa e in quanto solo tale elemento intrinseco di forza, quando viene assunta a filosofia riflessa da parte degli intellettuali, diventa causa di passività…»[8]

“Determinismo meccanico” è quel modo di pensare secondo cui per ragioni di meccanica si determinano certi effetti, come l’acqua condensata nelle nuvole per ragioni meccaniche si fa pioggia o neve e cala dal cielo alla terra. “Quando si combineranno determinati elementi del cui corso non siamo padroni allora la rivoluzione scoppierà”, pensano in tanti e nel frattempo non cedono, non si piegano alle leggi dei padroni, non si vendono. Questo richiede una forza che Gramsci apprezza e a ragione. È una forza eroica, e infatti tanti preferiscono perdere la vita che piegarsi. Non porta però alla vittoria. Per certi versi, dice Gramsci, è come la fede del cristiano che è afflitto ma resiste convinto che gli verrà in aiuto la provvidenza divina. È il comunista che pensa: “un giorno la storia mi darà ragione”. La sua resistenza è nobile, ma il suo modo di pensare gli va contro. Il comunista è quello che fa la storia sapendo di farla.

Tutti quei dirigenti politici che affermano il contrario e inducono le masse popolari ad aspettare[9] le portano alla rovina. Nel peggiore dei casi sono opportunisti in malafede che sono responsabili diretti della sconfitta delle masse popolari che sono indotte dalle circostanze a seguirli. Nel migliore dei casi sono dogmatici, indotti a pensare che le cose succedono senza bisogno che gli uomini le facciano, e sono quindi mentalmente pigri. La loro attività intellettuale si esprime nel ripetere fino alla noia la loro dottrina sulla rivoluzione che scoppia, oppure nel calcolare quando scoppierà. Mustillo cita qui Gramsci secondo il quale “nella politica l’assunzione della legge statistica come legge essenziale, fatalmente operante, non è solo errore scientifico, ma diventa errore pratico in atto; essa inoltre favorisce la pigrizia mentale e la superficialità programmatica.»[10]

Mustillo quindi è convinto che la rivoluzione si fa, o meglio che non avviene per evoluzione naturale e spontanea come fiore nel prato o per contrasto meccanico di elementi come il fulmine nella tempesta, ma richiede “un atto cosciente e determinato da parte di un soggetto rivoluzionario.”[11] Il soggetto è il partito comunista che, diciamo noi, deve essere costituito da membri che sperimentano e portano un modo di pensare e di essere nuovo, cioè soggetti e oggetti di una riforma intellettuale (coscienza) e morale (condotta). [12]

Questo modo di pensare nuovo è attivo, è teoria che si pone “l’obiettivo pratico di fare la storia”[13] Pensare non è più solo descrivere la realtà, ma trasformarla, come dice Mustillo citando la 11° delle Tesi su Feuerbach di Marx su cosa sono i veri filosofi e poi citando Engels secondo il quale il vero filosofo, l’erede della filosofia classica tedesca, è la classe operaia tedesca.

Pensare, in definitiva, è principio per costruire e specificamente per costruire la rivoluzione socialista. Questo dice Gramsci e questo prima di lui aveva detto Engels e Mustillo ne parla nell’altro articolo qui citato, che scrisse nell’ottobre del 2013.[14] Il riferimento è alla scoperta di Engels riportata nella sua prefazione del 1895 a Le lotte di classe in Francia di Karl Marx. È la scoperta che la rivoluzione socialista è diversa da tutte le rivoluzioni che l’hanno preceduta perché non consiste in una insurrezione delle masse popolari di cui una minoranza assume la guida e prende il potere, ma consiste in un processo di accumulazione delle forze guidato da un partito comunista in cui le masse popolari si strutturano muovendosi alla conquista del potere come un esercito. Sono quindi forza organizzata con direzione cosciente (il partito). La materia, come ho detto sopra, è all’ordine del giorno dopo la costituzione dei Comitati d’Appoggio alla Resistenza – per il Comunismo perché fissa il loro compito, e viene più volte riportato nella letteratura dei Carc e delle altre forze dette della “carovana del (nuovo)Partito comunista italiano”. Ne scrive il Manifesto programma del (nuovo)Pci: “La questione di come la classe operaia sarebbe arrivata a prendere il potere, fu posto per la prima volta chiaramente da F. Engels nel 1895, nella sua Introduzione della ristampa degli articoli di K. Marx Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850.” I compagni del (nuovo)Pci rispondono che “la rivoluzione proletaria ha la forma di un accumulo graduale delle forze attorno al partito comunista, fino ad invertire il rapporto di forza.” Engels dice:

E’ passato il tempo dei colpi di sorpresa, delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta di una trasformazione completa delle organizzazioni sociali, ivi devono partecipare le masse stesse; ivi le masse stesse devono già aver compreso di che si tratta, per che cosa danno il loro sangue e la vita…Ma affinché le masse comprendano quel che si deve fare è necessario un lavoro lungo e paziente, e questo lavoro è ciò che noi stiamo facendo adesso.[15]

Più oltre aggiunge che “Lungi dal conseguire la vittoria con una sola grande battaglia (il proletariato) deve progredire, lentamente, di posizione in posizione, con una lotta dura e tenace…”[16]

In conclusione, da questo esame risulta la continuità del pensiero comunista come evoluzione del pensiero scientifico tramite l’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe nei secoli. Qui ne vediamo il corso attraverso le parole di Engels e di Gramsci (ma anche di Antonio Labriola) e la sua confluenza oggi nella teoria e nella pratica del (nuovo)Partito comunista italiano e negli organismi che lo affiancano come il P.Carc, e in altra forma nelle considerazioni di un compagno al momento in cui sta scrivendo contributi che avranno peso nella costituzione del Partito comunista guidato da Marco Rizzo. Date le fonti comuni, è naturale che le varie analisi e i vari partiti si confrontino ed esaminino in cosa divergono e in cosa concordano, con la mente rivolta all’obiettivo comune, l’instaurazione del socialismo nel nostro paese. Questo esame ha quindi il fine di rinnovare l’invito a questo confronto ad Alessandro Mustillo, al Partito di cui è membro e a tutti gli interessati.

[1] Il Fronte della gioventù si sarebbe negli anni successivi legato strettamente al Partito comunista diretto da Rizzo,

[2] A. Mustillo, Gramsci, l’autonomia del marxismo e la lotta contro la revisione, Estratti della prima e seconda parte dell’incontro di formazione per i militanti del FGC tenuto a Roma il 1 novembre 2013, in http://www.senzatregua.it/?p=577. (da qui in poi AG)

[3] A. Mustillo, Engels su lotta di strada e rivoluzione, in http://www.senzatregua.it/2013/10/21/engels-su-lotta-di-strada-e-rivoluzione/ (da qui in poi FE).

[4] Federico Engels, 10-100-1000 Carc per la ricostruzione del partito comunista, ed. Rapporti Sociali, Milano, 1995. L’opuscolo fu pubblicato dai Carc (Ed. Rapporti Sociali) in occasione del centenario della morte di Engels.

[5] AG, cit.

[6] “fino a quando si rimane ancorati alla semplice concezione della propria esistenza nell’espressione degli anti- e degli a-privativi, si continua a restare sul campo di gioco avversario. Si inizia quel processo di distacco generico, che non è però sufficiente a generare l’autonomia del campo politico, rispetto al terreno avversario. Definirsi anticapitalisti, antimperialisti evitando accuratamente di definirsi comunisti, parlare di antifascismo senza avere ben chiare le ragioni materiali per cui si è antifascisti, ma solo come moto d’orgoglio storico, destinato in questo modo a divenire minoritario, sono tutti esempi di questo processo, estremamente diffuso nella sinistra, preludio della capitolazione.” (AG, cit.)

[7] AG, cit.

[8] AG, cit.

[9] Aspettare che la rivoluzione scoppi, aspettare che Arcelor Mittal a Taranto decida il destino della fabbrica, aspettare che il Movimento 5 Stelle che è arrivato al Parlamento faccia le cose giuste, aspettare che al governo ci vada un Salvini e che le cose giuste le faccia lui visto che il M5S non le ha fatte, ecc.

[10] La pigrizia mentale è caratteristica dei dogmatici, cosa nota nel movimento comunista. Tra le varie affermazioni ne cito una da Rapporti Sociali (n. 2 – novembre 1988, Rapporto di capitale, dove l’autore critica quelli a cui il lavoro di Marx è servito “così come un guanciale per la pigrizia di pensare, la quale si acquieta nella presunzione che tutto sia già stato provato ed aggiustato” (Hegel, Scienza della logica). Al riguardo vedi anche Mao Tse tung che scrive: “il dogmatismo è sempre apprezzato soltanto dalle persone pigre. Ben lungi dall’essere di qualche utilità, il dogmatismo reca un danno incalcolabile alla rivoluzione, al popolo e al marxismo-leninismo. Per poter elevare la coscienza delle masse popolari, stimolare il loro dinamico spirito creativo e realizzare il rapido sviluppo del lavoro pratico e teorico, è ancora necessario distruggere la superstiziosa fiducia nel dogmatismo.” (A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato, 1956 in Opere, ed. Rapporti Sociali, Milano, 1991, vol. 5.)

[11] AG, cit.

[12] La necessità di una riforma intellettuale e morale della società a partire dai membri del partito comunista è uno dei cardini del pensiero di Gramsci.

[13] AG, cit

[14] FE, cit.

[15] Citato da Mustillo in FE, cit.

[16] Citato da Mustillo in FE, cit.

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