Il 12 dicembre si svolge a Roma l’ultima udienza del processo di appello per uno dei filoni di inchiesta per la giornata di lotta del 15 ottobre 2011. La sentenza potrebbe essere emessa il 12 o il 14 dicembre.
Esprimiamo solidarietà agli imputati, vicinanza e sostegno. La loro resistenza è un esempio per tutti: hanno tenuto testa alle autorità giudiziarie e poliziesche che hanno manovrato senza tregua per fiaccarli e piegarli e hanno dato un senso al termine “appartenenza di classe”; a quella classe di sfruttati che hanno degnamente e orgogliosamente rappresentato contro la violenza della borghesia.
Dalla loro esperienza, dall’esperienza della battaglia di piazza del 15 ottobre 2011e della battaglia giudiziaria che ne è seguita ci sono molti spunti per ragionare su quello che succede oggi, a più di 8 anni di distanza. Ci limitiamo qui a una riflessione di carattere generale.
Il 15 ottobre 2011 fu la giornata della mobilitazione nazionale contro l’austerità, ribattezzata dai media “la manifestazione degli Indignados italiani”, e scesero in piazza a Roma decine di miglia di persone. Fu la giornata in cui migliaia di giovani e meno giovani decisero di non indietreggiare di fronte alle cariche poliziesche, ai caroselli con i blindati, al lancio di lacrimogeni a pioggia e di rispondere: Piazza San Giovanni fu il terreno di una battaglia campale andata avanti alcune ore.
Già nel corso della giornata era evidente che l’ampiezza e la portata della ribellione stava in qualche modo cogliendo di sorpresa partiti della sinistra borghese, organizzazioni sindacali e associazioni che iniziarono da subito chi a prendere le distanze dalle forme e dai contenuti della lotta di piazza, chi a promuovere schedature di “violenti” e segnalazioni alla Polizia che continuarono anche nei giorni successivi, alimentando anche nell’opinione pubblica la campagna di criminalizzazione dei ribelli, prima che in sede giudiziaria (anzi la prima è stata funzionale alla seconda).
L’iter processuale si è da subito caratterizzato per quello che è: una rappresaglia contro chi è stato catturato (subito o in seguito ai “riconoscimenti”) affinché la sua punizione “esemplare” fosse un messaggio per tutti. Nello specifico del processo in corso, la Procura vuole dimostrare la premeditazione degli scontri, ma sooprattutto comminare condanne per “devastazione e saccheggio”. Se dal punto di vista giudiziario tale obiettivo è ben comprensibile in funzione della rappresaglia, dal punto di vista politico si tratta di una manovra fuori dal tempo e dalla storia: non basteranno le condanne a soffocare la ribellione a condizioni di vita, di lavoro e di esistenza sempre peggiori, sempre più precarie, sempre più indegne, sempre più diffuse.
Oltre a essere in quelle strade e in quelle piazze il 15 ottobre 2011, fin da subito abbiamo contrastato le divisioni fra manifestanti buoni e manifestanti cattivi, le schedature (di cui pure siamo stati oggetto), le dissociazioni e le criminalizzazioni, ma soprattutto abbiamo posto quella ribellione ampia e radicale, che giornalisti e politicanti definivano “teppismo”, in ottica di prospettiva, poiché parlava non solo del presente, ma soprattutto del futuro:
– perché i motivi che l’hanno provocata non solo sussistono ancora tutti, ma si sono aggravati e ulteriormente generalizzati;
– perché il bisogno di risposte e prospettive che emergeva da quella piazza sussiste e si è aggravato;
– perché gli insegnamenti di quella ribellione sono preziosi per chi vuole vederli e vuole farne uso.
Senza assumersi la responsabilità di costruire il futuro, “ribaltare il presente” o “conquistarsi il presente” è un’illusione senza sbocchi. Senza la lotta per imporre il potere della classe operaia e delle masse popolari organizzate al potere della classe dominante, la ribellione è disperata. Il sano, giusto e legittimo odio per le autorità e le istituzioni borghesi, per il capitale e i suoi funzionari, deve combinarsi per l’amore per la classe operaia e per le masse popolari: sono loro la base materiale della solidarietà proletaria, ma soprattutto il cuore del cambiamento necessario e la forza del cambiamento inevitabile.
“Chi ha esitato questa volta lotterà con noi domani” se mettiamo testa e cuore a organizzare non solo la ribellione, ma la rivoluzione socialista.
In questo senso e in quest’ottica gli insegnamenti che derivano dal complesso dell’esperienza del 15 ottobre (la rivolta, i processi e le condanne, ma soprattutto la resistenza dei compagni imputati), devono essere utili per alimentare la mobilitazione di chi oggi è di fronte alla perdita del posto di lavoro, alla chiusura delle aziende, agli effetti della speculazione e della devastazione ambientale, alla devastazione e al saccheggio della sanità pubblica e dell’istruzione pubblica.
Il proletariato non ha mai nulla di cui pentirsi nella lotta di classe. Attraverso il legame con il movimento comunista cosciente e organizzato impara dalle sue esperienze, fa tesoro degli insegnamenti, li usa per fare un passo avanti.
Politicanti, speculatori, padroni, giudici e poliziotti che gonfiano il petto per aver dato “una severa lezione” con le condanne al carcere e ai risarcimenti avranno ben poco da festeggiare se usiamo quelle lezioni ai fini dell’avanzamento della rivoluzione socialista.
Che dieci, cento, mille iniziative di solidarietà con questi compagni si diffondano in tutto il paese. Dieci, cento, mille altri focolai di lotta si propaghino. Dieci, cento, mille nuovi compagni alzino la testa contro gli attacchi repressivi orditi dal sistema dei padroni. Dieci, cento, mille scuole iniziative di base si moltiplichino contro la chiusura e la delocalizzazione delle aziende. Non sono i padroni ad essere forti, sono le masse popolari che devono far valere tutta la forza di cui sono capaci!